Archivi del mese: settembre 2017

Ucraina esplode deposito di munizioni dell’esercito

Ucraina, 270 chilometri da Kiev, due giorni fa è esploso un deposito di munizioni della base militare vicino a Kalynivka nella regione di Vynnytsya. La pericolosità dell’evento ha costretto le autorità a allontanare 30mila persone dalle aeree limitrofe e a chiudere lo spazio aereo sopra la zona.  Le esplosioni, secondo quanto riportato dai servizi di soccorso ucraini, che per il momento denunciano una sola persona ferita, sono iniziate nella serata di martedì.

Deposito-munizioni-esploso-Ucraina

Il Primo Ministro Volodymyr Groysman, appena arrivato nel luogo del disastro, ha parlato di “fattori esterni” dietro l’incidente.  Indagini per sabotaggio.

La procura militare ucraina della regione Meridionale ha aperto un’indagine preliminare penale – per sabotaggio – sulle circostanze che hanno causato l’esplosione e l’incendio del un deposito di munizioni.

Oltre ad augurarci che sia stato un favoloso sabotaggio, e che gli autori siano sani e salvi a bere birrette per festeggiare, il pensiero corre subito ai numerosi depositi di munizioni presenti in sardegna e alla loro pericolosità, alla fabbrica di Domusbombas e via dicendo. Il fattore pericolosità dei siti militari viene spesso dimenticato (si nomina molto di più la pericolosità legata all’inquinamento), un pò perchè è uno degli ultimi per importanza, un pò perchè sono effettivamente tenuti in condizioni di grande sicurezza, ma…Ma questa vicenda ucraina ci dimostra che la sicurezza non è mai troppa è che l’unico modo perchè un deposito di munizioni non salti in aria è che non ci sia, non esista. Ricordiamo a chi non lo sapesse che in 70 anni di occupazione militare della Sardegna gli incidenti dovuti alle attività militari sono stati moltissimi, alcuni dei quali hanno provocato dei morti.

https://www.youtube.com/watch?v=VAeRKqurmJQ

Precipita durante l’airshow, muore il pilota distrutto un eurofighter…

Booom…

L’insulto

Pubblichiamo qui di seguito un contributo tratto dal blog di MORAS:

L’ insulto

Il 15 settembre a L’aquila riprende il processo contro Nadia Lioce, la prigioniera politica sottoposta al regime di 41 bis. Nadia viene giudicata per aver insultato una guardia carceraria e per aver disturbato il silenzio tombale del carcere con la battitura delle sbarre – con una bottiglia d’acqua – per avere i suoi libri e i suoi scritti. Il caso della compagna prigioniera rappresenta solo un frangente, anche se uno dei più toccanti e importanti, della repressione dello Stato contro chi ha osato mettere in evidenza le sue contraddizioni intrise di sfruttamento e prevaricazione.

La perenne e costante emergenza securitaria è studiata ad arte dal sistema che vuole gestire gli strati inferiori della società, la sua stessa crisi e le sue contraddizioni in modo poliziesco e penale. Carceri, C.I.E, istituzioni psichiatriche, caserme e militari ovunque servono non solo per l’accerchiamento repressivo sulle marginalità ma anche per incuneare nei meandri della precarietà quotidiana, il clima di sospetto e insicurezza, fuorviandone la realtà.  Così non fa notizia, o meglio è indifferente per questa società che ci siano ancora uomini e donne che hanno sulla pelle oltre trent’anni di prigionia con vessazioni di ogni genere e torture quotidiane, come appunto il 41 bis, dove solo il poter sognare con un libro in mano è interrotto dall’accanimento fascista, o il fatto che oggi nelle galere dello Stato ci siano ancora 60 bambini e bambine da zero a tre anni o che, come avvenuto nel carcere minorile di Quartucciu, dei giovani, poco più che ragazzi, cerchino con il laccio delle scarpe di porre fine alla loro esistenza e a questa barbarie o, ancora, come il caso di Davide Delogu, compagno anarchico di Cagliari, costretto allo sciopero della fame per poter sfogare la propria rabbia in lacrime di dolore su una foto di un suo amico morto di recente: foto sequestrata dall’amministrazione carceraria per cercare, inutilmente, di sedare l’impulso ribelle e rivoluzionario del compagno prigioniero.

In carcere si vive di sopruso, di tortura e di disumanizzazione e di carcere si muore in mano agli aguzzini dello Stato o ci si libera con l’aiuto delle proprie forze: fino ad oggi ci sono state sei evasioni da penitenziari e oltre settanta da semilibertà o permessi premi. La triste conta invece di chi non riuscendo nel proprio sogno di libertà decide di farla finita, ha i numeri per descrivere a pieno il sistema: da maggio ad agosto ci sono stati 37 suicidi, uomini e donne senza storia e senza clamore, esistenze solo per il dolore dei propri cari.

Il 15 settembre, come tutti i giorni, abbiamo rimarcato la nostra avversità a questo sistema, al suo sfruttamento e alle sue galere, solidarizzando con Nadia Lioce e con tutti i prigionieri e le prigioniere.

 

“Pro disciplina contra a sas chimeras,

de su populu ischiavu reduidu;

han puru antigamente costruidu

sos regnantes, presones e galeras.

Regulamentos e legges severas

pro sos ribelles hana istituidu;

e dogni pegus de s’umanu gregge

han suggettadu cunformas sa legge”

B. Poddighe

LO STUPRO E’ UGUALE PER TUTTI…MA PIU’ UGUALE SE SEI CARABINIERE.

Pubblichiamo un contributo che a partire dallo stupro di Firenze propone un’analisi e dei ragionamenti veramente molto interessanti. Buona lettura:

“In questa faccenda di Firenze, la vera parte lesa è l’Arma”.
Così il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette ha
commentato nell’edizione del mattino dei tele/radiogiornali nazionali il
duplice stupro perpetrato da due schifosi carabinieri, armi alla mano, a
danno di due ragazze giovanissime, sull’uscio di casa loro.
E poi ancora “è triste che per l’operato di qualche carabinieri, si
infanghi il lavoro straordinario di centomila uomini”.
Nella sua arrogante e schifosa presa di posizione il comandante ci dice
una preziosa verità: allo Stato, e quindi al corpo armato che lo difende
(che siano polizia, carabinieri, finanzieri…) della vita violata di
due ragazze di 19 e 21 anni non frega assolutamente nulla.
Gliene frega dell’immagine macchiata di sperma che i due stupratori in
divisa gettano sul “beneamato corpo nei secoli fedele”.
Non è infatti “triste”, per il capo militare, che la vita di due ragazze
sia probabilmente brutalmente segnata per sempre.
E questa verità resta tale anche per tutti gli altri stupri: che siano
perpetrati dal “branco” di Rimini o il ragazzo bengalese a Roma, l’ex
marito geloso italianissimo o l’amichetto di scuola, allo Stato della
vita di una o di due o di centomila donne non importa nulla.
Lo Stato è l’affermazione contemporanea del dominio patriarcale,
affinato scientificamente e militarmente.
Lo Stato è il “padre-padrone” per eccellenza, sia esso incarnato in un
omino pelato e impettito o da schiere di laidi figurini in giacca e
cravatta, la sostanza non muta.
La retorica della sicurezza e della protezione delle donne, la punizione
severa, la castrazione chimica per gli stupratori, non ha nulla a che
vedere con il rispetto della diversità della donna in un contesto
sociale di uguaglianza tra gli individui, ma è parte integrante del
ruolo del padre. Del padrone. Dello Stato appunto.
Il padre ti educa e ti reprime, ma ti protegge (a suo modo,
insindacabile: con la violenza e con la sopraffazione) da quelli che lui
reputa nemici/competitori.
Che allo Stato non importi nulla di seviziare i suoi sudditi (o i suoi
transitanti turistici, visto che le ragazze stuprate a Firenze sono
suddite degli Stati Uniti d’America, non dell’Italia) lo si vede
ottimamente anche nel “protocollo rosa” che applica alle “vittime di
abusi sessuali”.
Non una, ma tre “prelievi biologici” in tre differenti ospedali per
dimostrare scientificamente lo stupro: perchè ovviamente lo stupro va
dimostrato dagli esperti, la parola della ragazza non vale nulla, specie
se è la sua parola contro quella di un carabiniere.
E quindi per affermare che sei stata stuprata davanti alla legge vieni
violentata altre volte, dalle sale d’aspetto estenuanti, dai camici
bianchi con le loro domande, dall’acciaio chirurgico che raschia dalle
pareti uterine “materiale biologico”, dalle analisi del sangue per
capire se eri “sotto effetto di sostanze stupefacenti” perchè, ancora
secondo la legge di Stato, se sei drogata è un pò come dire che in fondo
ci stavi, che te la sei andata a cercare.
Non esiste una concezione secondo la quale io posso essere anche svenut*
sotto l’effetto di mille sostanze perchè mi piace sballarmi o perchè ho
commesso un errore di dosaggio e ho il “diritto” a non essere
violentat*.
Dopotutto siamo nel bel paese dove i parroci cattolici dicono che alle
ragazze piace essere violentate, ecco perchè si vestono da Troie. Un
parroco lo dice pubblicamente, tutti lo pensano privatamente.

Se qualcuna/o ha avuto lo stomaco di leggere i giornali e/o ascoltare le
radio in questi giorno potrà anche aver notato quale linguaggio il
potere (e quindi lo Stato e l’Arma che lo difende) abbia trattato due
episodi simili (anche se con dinamiche differenti) in maniera
assolutamente diseguale.
I tre ragazzi di Rimini diventano il “branco” mentre i due uomini di
Firenze sono due “agenti”.
Lo stupro di Rimini è un atto “selvaggio e violento senza motivazione”
(così come dice il PM) mentre quello di Firenze è “una presunta violenza
sessuale”.
A Rimini gli inquirenti non hanno messo in dubbio per un solo istante i
fatti denunciati dalla ragazza e dal ragazzo in spiaggia, si è parlato
subito di “stupro di gruppo”.
A Firenze, tutt’ora, “i fatti devono ancora essere chiariti”.
Questo ovviamente non per dire che va sempre messa in dubbio la versione
di chi denuncia uno stupro, a contrario, va sempre accetta come
veritiera visto che lo stupro è un fatto quotidiano nella società
attuale, ma questa differenza di trattamento è tanto evidente quanto
eloquente: la verità raccontata da alcuni esseri umani vale più o meno
della verità raccontata da altri, esattamente come la vita di alcuni
esseri umani vale di più o di meno di quelli di altri.
In ogni caso non sono le parole della donna violentata a smuovere la
celerità della legge, ma l’identikit dello stupratore: se è bianco e
porta la divisa non è lo stesso paio di maniche che se è nero e porta
una felpa col cappuccio.
A Firenze il carabiniere che si è costituito è “l’uomo”, a Rimini il
ragazzo arrestato è “l’africano”: da una parte un essere umano,
dall’altra un’etichetta, un immigrato. Il male insomma, nell’Italia del
2017.
La versione del comandante dei carabinieri è la solita riguardo alle
“mele marce” che infangano l’onesto lavoro di centomila uomini.
Ai ragazzi immigrati non si concede questa specificità, non sono tre che
possono gettare merda su milioni di individui della stessa nazionalità
che però non stuprano, anzi: in quanto immigrati hanno fatto ciò che
tutti gli immigrati fanno, delinquere e stuprare.
Le dichiarazioni di Guerlin, del ragazzo congolese che diceva di “non
aver mai alzato le mani su una donna” vengono confutate seduta stante
dalla voce dei giornalisti che adducono “prove inconfutabili” che però
non ci dicono per dimostrare la sua colpevolezza.
Le ammissioni strappalacrime del carabiniere quarantenne che dice che
“la violenza c’è stata ma il rapporto era consensuale” invece stanno a
chiusura di ogni servizio giornalistico. Ossia è l’ultima parola. Ossia,
suona come veritiera conclusione.
Il consenso, poi, per antonomasia è una relazione che non si può
stabilire da sé stessi!
Se io dico che era consensuale, e lei dice che è stupro, come si può
parlare di consenso?! Quanto meno, anche solo per correttezza
linguistica, si deve parlare di “disaccordo” se proprio si vuole negare
fino in fondo anche l’evidenza.

Gli stupri sono differenti a seconda di chi li commette?!
No. Assolutamente. Mai.
E qui è doveroso ricordare che la maggioranza degli stupri (si parla di
più dell’80% in Italia, sulla cifra totale di quelli denunciati dalle
donne che hanno al forza di farlo) avviene in casa, in famiglia, tra
bianchi e bianche, da uomini italiani su donne italiane. E’ differente
però la visione che se ne dà, il modo in cui vengono trattati e
l’effetto che fanno nell’opinione pubblica. Come ogni atto del resto,
visto che viviamo in una società di massa ipertecnologica dove la realtà
è sostituita dalla rappresentazione mediatica della realtà.
E anche la legge che punirà questi stupratori sarà diversa: una sarà la
legge dello Stato che già dice che darà “una punizione esemplare” ai
carabinieri fino a che si parla della faccenda e che in realtà si
tradurrà, tra anni,  in un trasferimento, qualche mese patteggiato ai
domiciliari, cose così.
Un’altra sarà la forca dello Stato razzista e patriarcale che sbatte
dentro i mostri negri per poter sbandierare un risultato securitario
alle prossime elezioni.
Il tutto, come sempre e da sempre, sulla pelle e sulla psiche violata
delle donne.
La cosa più schifosa che avviene oggi, come sempre anche in casi meno
eclatanti, è che le donne vengono chiamate in causa solo come “vittime”
da compiangere o corpi dal quale pretendere analisi biologiche, mai come
individue attive, che possono e vogliono trovare un proprio modo di
farsi giustizia, di riprendersi la forza strappata, la serenità
compromessa forse per sempre.
Le ragazze di Firenze hanno almeno la fortuna di godere di un privilegio
non da poco: sono bianche cittadine di uno degli stati più potenti al
mondo, se no, fossero state le “solite immigrate” nulla di tutta questa
faccenda sarebbe mai finita sui giornali probabilmente. come non si
conosce quasi nessuna delle centinai, migliaia di storie di stupro nelle
strada  a danno di sex workers, di detenute nei CIE, di prigionieri in
galera o di donne in giro per la strada.
Il tema dello stupro è complessissimo e molto più ampio dell’evento
brutale nelle pagine di cronaca, mi rendo conto che possa apparire
limitante parlarne così, ma l’intento di questo articolo è evidenziare
come lo stupro sia un’arma del potere due volte.
Innanzitutto come terrore applicato per sottomettere la donna e per
mantenerla sotto costante minaccia: è giusto rammentare l’esempio
dell’esercito italiano in Grecia nella seconda guerra mondiale e nei
Balcani, come della Somalia, alla fine degli anni ‘90 nelle missioni di
pace dell’Onu, dove lo stupro di massa della popolazione femminile
locale era sistematicamente utilizzato.
E poi c’è la funzione propagandistica,  la funzione pedagogica, dove si
insegna bene chi è il nemico e perchè (lo straniero, perchè è straniero
e gli stranieri insidiano le “nostre donne”, come hanno scritto i
nazisti di Forza Nuova sui loro striscioni) e cosa farne del nemico
(respingimenti, arresti, affondare i barconi,  castrazione…).
E in questa seconda fase lo Stato coccola a dovere i suoi figli
prediletti: gli uomini. Il padre di famiglia, il fidanzato, il fascista
che dice “Spero che a queste zecche che difendono gli immigrati gli
stuprino la mamma o la sorella, poi vediamo!”.
Come parlare della macchina, come augurare che gli righino la fiancata
pure a lui…
E ai figli dello stato piace sentirsi accarezzati e incoraggiati a
vomitare i più bassi istinti forcaioli, sempre più razzisti e violenti,
sempre più fascisti, sempre più macho.
Questi difensori della patria che godono nel dispensare morte e torture
nelle chiacchiere da bar ad ogni episodio che salta agli onori della
cronaca, salvo poi tornare a casa e inveire contro la consorte perchè
non ha preparato la cena o pestarla perchè è una puttana e l’ha tradito.
E’ nel ventre stesso dello Stato che nasce la cultura dello stupro, e
non saranno certo i poliziotti o i carabinieri o chissà quale
istituzione a fermarla.
Sarebbe come chiedere a un falegname di abolire il legno: e lui dopo che
fa?!

In tutto ciò la nostra vicinanza umana e solidale va alle ragazze
stuprate a Firenze e a Rimini, alla lavoratrice trans violentata quella
stessa notte a Rimini, che è stata menzionata solo come tratto
folkloristico dai più, visto che trans ed è poco più di un animaletto
strano, una freak che fa colore sui tabloid.
Il nostro calore d’amore va a tutte le donne e a tutte le individualità
che in questo incasellamento di genere non si riconoscono, violentate
dal patriarcato, soprattutto a quelle invisibili o invisibilizzate dai
media e dal potere e anche dalla nostra indifferenze troppo spesso. A
tutte quelle che hanno reagito e che reagiranno.
Il nostro calore d’odio va agli stupratori, agli sbirri che li
difendono, ai medici che li aiutano nel finire il lavoro sul corpo delle
donne, alla chiesa che per sterminare le streghe ha radicato in tutt*
noi l’odio e la diffidenza per l’universo femminile.

Senatore Cotti allo stand della RheinMetall…

Ieri il senatore dei 5 stelle Roberto Cotti è riuscito a entrare all’interno di una delle più grandi fiere degli armamenti d’Europa, in corso di svolgimento a Londra. Il senatore arrivato di fronte allo stand della Rheinmetall ” ha esposto per qualche minuto striscioni di protesta, uno dei quali raffigurava le bombe prodotte nell’Isola e imbarcate all’aeroporto di Elmas. Poi sono arrivati una decina di agenti in assetto antisommossa, che lo hanno identificato e fermato, prima di sequestrare i manifesti e fargli cancellare le foto dallo smartphone. Per chiudere, l’espulsione dalla fiera e l’inserimento in una blacklist che non gli permetterà di accedere a qualsiasi fiera che tratti armamenti.”

Nel frattempo all’esterno un centinaio di manifestanti venivano portati via di peso dalle forze dell’ordine.