Archivi del mese: gennaio 2020

DAI BANCHI ALLE DIVISE

riceviamo e pubblichiamo:

DAI BANCHI ALLE DIVISE

Breve riflessione sull’accettazione della repressione e della militarizzazione indotta dal sistema scolastico.

Siamo ad un punto morto. Ho visto sgretolarsi la conflittualità, l’ho vista volare via, lasciando spazio all’accondiscendenza, che come una graminacea ha infestato l’attitudine di noi studentesse, studenti e student.

La scuola, in quanto organo del mostro statale, ha giocato bene le sue carte. Questa istituzione è diventata letteralmente ‘una palestra per l’asservimento’ atta all’appiattimento della coscienza e del ragionamento al fine di legittimare le dinamiche repressive, militaresche e l’occupazione militare, che di giorno in giorno si fanno sempre più padrone di questo mondo.

Tutto ciò che accade nelle scuole non è altro che in funzione dell’immagine che la scuola stessa deve mantenere, i famosi ‘obiettivi da raggiungere’, il ‘dover finire il programma’, becero nozionismo puro, impartito agli/le student+ come carne da macello, secondo dei rapporti di forza professor+-student+ completamente sballati, simil padrone-lavoratore. Ci ritroviamo a dover rincorrere un ‘bene superiore’ (in questo caso il diploma/fine del programma, ma questo meccanismo è tipico sia della repressione con il benessere e la tranquillità sociale, sia del militarismo con la difesa e la supremazia), che giustifica qualunque sopruso e abuso avvenuto durante il raggiungimento dell’obiettivo, in nome di questo fantomatico traguardo che in qualche modo, secondo loro, ci ripagherà di tutto ciò che abbiamo subito e continuiamo a subire quotidianamente.

La completa mancanza di problematizzazione, critica e auto-critica dovuta all’infinito inseguimento degli ‘obiettivi’ ha portato noi student+ a non avere quel dubbio costante e
necessario per farci domande su ciò che abbiamo intorno e mettere in discussione tutti i retaggi e le imposizioni culturali che costantemente ci inquinano. L’apprendimento è rinchiuso tra mura di eternit.

Ci inseriscono forzatamente nel mondo del lavoro con stage e alternanza scuola-lavoro (spesso presso caserme o basi militari), abituandoci a essere sottopagat+ o peggio ancora non pagat+, creando i soggetti perfetti per alimentare il sistema capitalista e consumista, rendendoci parte attiva di esso (più di quanto non lo fossimo già in precedenza) contro la nostra volontà.

Siamo mess+ sotto torchio costantemente da griglie di valutazione e autovalutazione che ci impongono un malato senso del dovere, una nevrosi continua, funzionale a distruggere l’individualità del soggetto, annichilendo le potenzialità di ogni persona, piegandoci ai dettami della competitività malsana, la quale legittima qualunque azione in visione del fine, insegnandoci a poter sovrastare chiunque in nome di una meta  fasulla, che fondamentalmente non ci lascerà in mano nulla se non un foglio di carta timbrato.

Non è forse questo il tipico modus operandi repressivo? Il senso del dovere non è lo stesso che tiene vivo l’apparato militare? La competitività? Il famoso bene superiore e tutta la fabbrica di morte che viene alimentata in suo onore?
Tanto tra cinque anni è tutto finito‘, questa è la frase più comune che sento nei corridoi della mia scuola, come se abbassare la testa e resistere a questi ritmi collerici fosse solo una fase da superare.

È qui il problema.

Ci abituano ad arrenderci, a sopportare, a fare a meno del conflitto, facendo risultare ogni presa di posizione come controproducente e non conveniente, plasmando le nostre personalità in modo da accertarsi che tutto ciò che ci hanno imposto, tutti i limiti che ci hanno messo, il senso di arrendevolezza e la propensione alla servitù possa perpetuarsi nel tempo cercando di radere al suolo qualsiasi possibilità di insurrezione.
Ci hanno inaridit+, le scuole sono diventate caserme (oltre agli infiniti controlli polizieschi che subiamo in nome della legalità, suscitando negli/lle student+ ancora più ansia di quanta non ne abbiano già e normalizzando il controllo e la sorveglianza come pratiche completamente normali), ognun+ è diventat+ il carceriere di se stess+, ci siamo chiusi nelle nostre celle fatte di nozioni distruggendo la socialità e la solidarietà. È possibile pensare che tutto questo non avrà un riflesso nelle nostre vite e nel nostro
comportamento?

Udienza Sorveglianze Speciali rinviata al 3 marzo

Martedì mattina, a causa di una giornata di astensione dalle udienze, l’udienza in merito alla richiesta di Sorveglianza Speciale ai nostri 5 compagni è stata rinviata.

Veniamo a sapere che la data fissata per il rinvio è MARTEDÌ 3 MARZO, ALLE ORE 9.

 

Riflessioni a margine dell’Operazione Lince

Riceviamo a pubblichiamo lo scritto dell’Assemblea per l’Autodeterminazione, in merito all’Operazione Lince e alle richieste di Sorveglianza Speciale, il doppio colpo repressivo partito a settembre 2019 verso le lotte antimilitariste sarde.

Scarica, leggi e diffondi lo scritto: Riflessioni a margine dell’Operazione Lince

“Rispondere alla repressione significa, ora più che mai, opporsi ad azioni immonde come la guerra, alla povertà che da questa ne deriva, al conseguente ordinario controllo delle autorità, ed è oramai non solamente doveroso, ma necessario.
Quanto accaduto in Sardegna – e in particolare a Cagliari – non ci stupisce, e in parte forse c’era da aspettarselo. Lottare contro la guerra e i suoi loschi interessi non è una cosa che lo Stato può far passare liscia, se poi si unisce il fatto che a farlo sono migliaia di persone con molte pratiche differenti, tutte ugualmente rispettate, ecco che forse  appare ancora più scontato. Se fra questi poi si annidano dei sognatori testardi e ribelli, a cui non basta l’idea di un mondo senza eserciti, ma sognano un mondo di libertà e uguaglianza, allora si ha quasi la certezza che lo Stato reprimerà.”

1 Febbraio – Presidio al CPR di Macomer

riceviamo e pubblichiamo:
Aderiamo alla Settimana di azioni e mobilitazione per la chiusura di tutti i CPR, per la liberazione immediata di tutte le persone rinchiuse.
Per Vakhtang

NO CPR NÉ A MACOMER NÉ ALTROVE

Presidio 1° febbraio 2020
Solidarietà ai e alle prime arrivate
Appuntamento a Macomer alle 15:30 al campo sportivo Sertinu in via Papa Simmaco
Per la chiusura immediata del CPR di Macomer, per la libertà di movimento, perché nessuna persona sia imprigionata e deportata a causa della sua provenienza e della sua condizione economica.
Da lunedì 20 gennaio è operativo il Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), realizzato all’interno dell’ex carcere speciale di Macomer. La gestione di questo campo di prigionia per immigrati e immigrate è stata affidata a una società controllata dalla multinazionale ORS, specializzata nella gestione privata di centri di detenzione.
I e le prigioniere del CPR, ipocritamente definite “ospiti”, vengono rinchiuse all’interno di questo carcere, circondato da alte mura, filo spinato e barriere d’acciaio, senza aver commesso alcun reato se non quello di esistere, per la sola ragione di non essere cittadine e cittadini europei e di non avere i documenti in regola.
La reclusione all’interno di questo lager può arrivare fino a sei mesi, in attesa che si organizzi la loro deportazione nel presunto paese d’origine.
Questi osceni campi di detenzione per migranti hanno più volte cambiato nome (CPA, CPT, CIE ed ora CPR) ma sono sempre stati luoghi di pestaggi e torture, cui le e i prigionieri hanno risposto con autolesionismo, evasioni e rivolte, come insegna l’esperienza del lager che ha funzionato a Elmas, dal 2007 al 2015. I CPR sono luoghi chiusi e impenetrabili a qualsiasi controllo, dove può accadere di tutto, persino omicidi, come quello di Vakhtang, pestato e ucciso dalle guardie il 18 gennaio scorso al CPR di Gradisca d’Isonzo.
Antirazzist@

BANCALI – IN VENTI CONTRO 1

Una nuova notizia arriva dal carcere di Bancali, vicino Sassari.

Un detenuto in 41 bis avrebbe ricevuto un sonoro pestaggio da parte di venti agenti penitenziari. A raccontarlo è la sorella che aggiunge di non aver mai visto il fratello, detenuto da sette anni, così sconvolto. I giornali riportano la notizia dandogli un tono da misterioso gossip e precisano che il prigioniero avrebbe conficcato nei giorni precedenti una penna nel viso di un secondino. Il garante dei detenuti parla di un carcere sotto organico e promette ” chiarezza” , chissà cosa intende. Non si sono certo dimostrati sotto organico nel pestare un detenuto in venti.

Dal canto nostro non ci suona nuova questa musica. I pestaggi nelle carceri sono una realtà provata ed assodata. Il terrore e la vendetta messi in atto dalle guardie carcerarie a chi è costretto tra le sbarre sono un metodo sperimentato, purtroppo. Chi non abbassa la testa o chi reagisce ai soprusi subisce la lezioncina con la benedizione di amministrazione penitenziaria e quant’altro. Per noi il carcere resta una struttura da abbattere. Ora non resta che aspettare di capire se la guardia colpita ha imparato che la penna, proverbialmente, ferisce più’ della spada.

Solidarietà dalla Bulgaria

riceviamo e pubblichiamo:

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Annullato presidio al tribunale e udienza per le Sorveglianze Speciali

Notizia di ieri sera (21/01/2020) è che per il 28 gennaio l’Unione delle Camere Penali ha indetto una giornata di astensione dalle udienze in protesta contro la legge sulla prescrizione.

L’udienza per la richiesta di sorveglianza speciale sarà quindi rinviata e di conseguenza annullato il presidio di solidarietà indetto per la mattina.
Non appena sarà resa nota la data del rinvio ne daremo notizia.

Chiediamo a tutti e tutte di far girare questa informazione.

Comunicato di solidarietà dal Turritano

riceviamo e pubblichiamo:

NESSUNA PACE PER CHI VIVE DI GUERRA.

Il 28 Gennaio al Tribunale di Cagliari saranno giudicati non solo le nostre compagne e compagni, ma soprattutto delle idee e pratiche ben precise. Sono l’antimilitarismo e l’azione diretta ad essere chiamate a giudizio, perché sono queste idee e pratiche che lo Stato vuole sradicare dalla nostra terra e da ogni individuo che decida di ribellarsi all’inerzia e alla complicità a cui questa società ci abitua giorno dopo giorno.
La lotta di questi ultimi anni aveva espresso la sua idea più profonda in poche e semplici parole:”Nessuna pace per chi vive di guerra”. Nessuna pace, dunque, per le fabbriche di armamenti, per gli eserciti, per le aziende della filiera bellica dall’università alle ditte impiegate per trasportare bombe.
Lo Stato etichetta tutto ciò con la parola “terrorismo”, da usarsi a seconda dei casi verso un “nemico” esterno o interno. Il terrore così inteso genera paura perché rivolto verso un tutti in cui chiunque può riconoscersi. Eppure le azioni messe sotto accusa (dalle manifestazioni alle scritte, dai blocchi delle esercitazioni alle azioni di disturbo) hanno tutte un destinatario ben preciso, nessun terrore incondizionato ma ben rivolto ai signori della guerra e al loro Capitale.
La nostra solidarietà va a queste pratiche e alle mani che hanno tentato di portare anche solo per un attimo un po’ di quella paura a chi esercita per davvero il terrore sulla terra e le sue genti.

28 GENNAIO H 9.00

PRESIDIO CONTRO LA SORVEGLIANZA SPECIALE

davanti il Tribunale di Cagliari.

Tagliarono i nostri rami e bruciarono i nostri tronchi, ma mai riuscirono a sradicare le nostre radici”.

Solidali dal Turritano

Sulle Sorveglianze Speciali inflitte a Genova – Una questione di autodifesa collettiva

Ripubblichiamo da Roundrobin il testo di un compagno che, insieme ad altri tre, si è visto applicare la Sorveglianza Speciale in questi primi giorni del 2020. Nella situazione in cui siamo anche qui in Sardegna, a livello repressivo, tra Operazione Lince e richieste della medesima Sorveglianza, ci sembrano parole preziose e ragionamenti importanti da condividere.

Ai 4 compagni mandiamo un abbraccio ed esprimiamo tutta la nostra solidarietà. Coraggio! 

Per scaricare il testo: Una questione di autodifesa collettiva

UNA QUESTIONE DI AUTODIFESA COLLETTIVA

Sulle quattro Sorveglianze Speciali inflitte dalla Corte d’Appello di Genova

L’8 gennaio 2020, il Tribunale di Genova ha notificato al nostro avvocato la decisione: a me, Greg, Ciccio e Amma verrà applicata la misura della Sorveglianza Speciale per la durata di due anni. Per due anni saremo tenuti a non frequentare altri sottoposti a misure di prevenzione o  pregiudicati (quindi moltissimi compagni e amici), a non detenere armi (chi sa che si intende per armi?), a fissare il nostro domicilio e a comunicare i nostri spostamenti alla polizia, a non partecipare a manifestazioni e riunioni,  a “presentarci a ogni chiamata dell’Autorità di Pubblica Sicurezza” (sembra di capire che vogliano mandarci a firmare quando ci sono cortei o iniziative sul territorio). Per me, Amma e Ciccio si aggiunge l’obbligo di soggiorno nelle rispettive province di residenza (con possibilità di spostarci previa comunicazione agli sbirri), per Greg fortunatamente no.

Come siamo arrivati fin qua? Facciamo un passo indietro.

Il 5 gennaio 2019, esattamente un anno fa, nel centro di La Spezia, un piccolo ma rumoroso corteo rompeva la monotonia e disturbava l’ultimo giorno di saldi post-natalizi, portando solidarietà a Paska, compagno tuttora agli arresti domiciliari a causa dell’Operazione Panico e allora detenuto nel carcere spezzino, dove aveva subìto un pestaggio da parte delle guardie e dal quale esigeva il trasferimento  (ottenendolo poco tempo dopo). L’acqua di una fontana si colorava di rosso, vernice rossa veniva sparsa su via Prione e sulle soglie di alcuni negozi, venivano appiccicati manifestini sui muri e su alcune vetrine, lanciati slogan e tenuti brevi comizi. Nelle ore successive venivamo fermati in 14 tra compagni e compagne, trattenuti diverse ore in Questura, sottoposti a meticolosi fotosegnalamenti (a caccia di tracce di vernice) e rilievi delle impronte digitali, per poi essere rilasciati con fogli di via da città e provincia e denunce per “danneggiamento” (reato poi derubricato in “imbrattamento”).

A seguito di questi fatti (e di alcuni presidi e saluti alle carceri locali in solidarietà con Paska e gli altri detenuti), la Procura spezzina  proponeva  al Tribunale di Genova tutti i 14 fermati per l’applicazione della Sorveglianza Speciale. Nel processo di primo grado la richiesta veniva respinta, ma ad aprile la Procura ricorreva in appello aggiungendo nuove carte, volte a dimostrare la nostra “pericolosità sociale”. Lo scorso 19 dicembre, la Corte d’Appello di Genova applicava la SS a noi quattro. Sulla decisione hanno influito prevalentemente tre episodi, successivi a quello di La Spezia e tutti “torinesi”: per Amma, la contestazione in aula del processo Scripta Manent (11 febbraio 2019) e gli scontri al corteo del 9 febbraio, tenuto in seguito allo sgombero dell’Asilo Occupato, corteo per il quale è stato arrestato e si trova tuttora agli arresti domiciliari; per noialtri tre, il “fermo di massa” di Via Aosta in occasione del corteo successivo (30 marzo), quando in 150 compagni e compagne fummo bloccati in mezzo alla strada da centinaia di celerini  mentre ci avviavamo al concentramento, con il sequestro da parte degli sbirri di numerosi “oggetti atti ad offendere” e “armi da guerra” (come il Codice classifica le bottiglie molotov) per il quale sono state denunciate 90 persone (compresi noi tre). Oltre a ciò, a carico di noi quattro vengono variamente citati episodi più o meno recenti o remoti. Tra questi, ai miei occhi spiccano le violazioni di vecchi fogli di via (violazioni che la legge del 2011 ha inserito tra le possibili motivazioni di una SS), le iniziative di giugno all’Aquila in solidarietà ad Anna, Silvia e gli altri compagni in sciopero della fame e, per quanto mi riguarda, anche due contestazioni a iniziative “regolarmente autorizzate” – come scrivono i giudici – dei fascisti (rispettivamente Casapound a Trento e Forza Nuova a Bolzano). Che si tratti di fascisti, ovvero dei massimi responsabili storici degli orrori dell’ultimo secolo, ai giudici non sembra importare granché. D’altronde, le loro iniziative erano “regolari”, rientravano nella normale vita democratica. Come rientra nella normale vita democratica un fine settimana di saldi, che conta molto di più della pelle di un compagno prigioniero pestato dalle guardie. Per non parlare di spazi occupati com’era l’Asilo, noti luoghi di malaffare, o di quei “terroristi” dell’Operazione Scripta Manent, cui qualcuno osa esprimere solidarietà. Disturbare, protestare, imbrattare, solidarizzare con i compagni in carcere, organizzarsi per resistere a possibili cariche, scontrarsi con la polizia, attaccare i templi del capitale, lottare… Tutte queste brutte cose, nella vita democratica proprio non ci rientrano.  Mentre le nostre condizioni di vita, lavoro e salute peggiorano sempre di più, e vediamo i nostri cari ammalarsi di cancro a trenta o quarant’anni; mentre, con la rete 5G, avanza il controllo tecnologico più totalitario; mentre uomini e donne vengono fatti morire in mare, o stuprate, torturate, vendute e venduti come schiavi nei lager gestiti o finanziati dai nostri Stati; mentre la terra agonizza sotto i colpi dell’industria e l’umanità rischia di crepare in un forno globale a 50 gradi; mentre venti di guerra sempre più impetuosi minacciano di trascinarci tutti nella Terza Guerra Mondiale… mentre, insomma, i padroni ci assassinano, “socialmente pericolosi” saremmo noi, che cerchiamo di metter loro i bastoni tra le ruote.

Cosa ci dicono queste Sorveglianze?

Parlare di un inquietante “precedente” sarebbe inesatto: i precedenti, in tema di repressione ,si accumulano da anni, ed è difficile dire cosa precede cosa. Di sicuro si tratta dell’ennesimo attacco ad alcuni compagni e dell’ennesima  ammonizione lanciata contro le lotte e chi lotta.  Niente di cui stupirsi, certo: lo stupore e lo scandalo ce li hanno rubati da un pezzo. Tuttavia, senza nulla togliere in assurdità ad altre vicende (come quelle dei compagni torinesi e sardi che  rischiano a loro volta di trovarsi “sorvegliati”), questa storia mostra molto bene l’assoluta arbitrarietà della Sorveglianza Speciale. Arbitraria almeno due volte: primo per ciò che è, ovvero una condanna non penale basata su elementi e valutazioni marcatamente opinabili e discrezionali (cos’è la “sicurezza pubblica”? cosa la mette in pericolo, e cosa no?); secondo, per la scelta di quelli a cui applicarla. Se a decidere per la Sorveglianza sono state quelle giornate torinesi, a proporci come sorvegliati è stata quella sera spezzina del 5 gennaio 2019. Se non ci fossimo trovati “nel posto sbagliato al momento sbagliato”, questo procedimento non sarebbe neppure partito. Rovesciando il proverbio, si può dire che un topolino ha partorito una montagna. Non serve essere “profeti di sventura”  per  immaginare che questo parto  potrebbe non essere l’ultimo, preparando nuove Sorveglianze per altri e altre. E quindi?

Non io, non noi, ma i fatti stessi fanno appello ad organizzarsi e reagire. Senza alcun vittimismo (non sono certo queste le peggiori ingiustizie del mondo), si tratta di una questione di autodifesa collettiva. Se si può finire “sorvegliati”  a partire da un imbrattamento, o per la partecipazione a contestazioni o cortei, allora è la possibilità stessa di protestare (non dico di lottare) ad essere messa fuori gioco. Un movimento che non intende o non riesce ad opporsi ad attacchi  come questo, a mio avviso, non ha futuro.

Da parte mia, mi sento tranquillo. Dal momento in cui la Sorveglianza mi sarà notificata, mi atterrò alle prescrizioni (salvo “novità” particolarmente afflittive o umilianti), almeno finché la Cassazione non si esprimerà al riguardo. Per il resto, qualsiasi sarà la decisione dei supremi ermellini,  non c’è misura di polizia che possa impedirmi di pensare, di parlare, di scrivere, di coltivare e diffondere le mie idee; di continuare, in un modo o nell’altro, a dare il mio contributo all’avvento del mondo che porto nel cuore.

Un forte abbraccio ad Amma e ai cari Paska, Vespertino e  Giovanni. Forza compagni!

Contro la Sorveglianza Speciale.

In solidarietà a tutti i colpiti delle Operazioni Panico, Scintilla, Scripta Manent, Renata e Prometeo.

In solidarietà a Madda e Leo, compagni in carcere, e a tutte le compagne e i compagni incarcerati, detenuti, inquisiti, ristretti, “sorvegliati”.

Contro lo Stato e il capitale, contro ogni forma di dominio e sfruttamento.

Per un mondo di liberi e uguali, senza servi né padroni, senza carceri né guardie.

Per la solidarietà cosciente e voluta tra tutti gli esseri umani, sulle macerie delle classi e di ogni sopraffazione.

Per un rapporto nuovo, rispettoso ed erotico con la Terra che abitiamo.

Per ciò che io chiamo “comunismo anarchico”, o anarchia.

 

Rovereto, 10 gennaio 2020

Carlo

 

Magomadas – Incendiato impianto per fanghi di depurazione fognaria

Risale a pochi giorni fa la notizia di un incendio appiccato nell’impianto, gestito dalla società Geco e situato a Magomadas, nella zona del Marghine.

Questo impianto, usato per trattare fanghi di depurazione fognaria, era da qualche settimana sotto l’occhio dell’opinione pubblica e locale a causa della denuncia su vari social di Mauro Pili, ex presidente della Regione Sardegna e leader del partito Unidos. Aveva infatti ripreso i lavori in corso nell’impianto e pubblicato il video, sostenendo che i fanghi giunti in Sardegna, attraverso i porti di Cagliari e Olbia, provenivano da Puglia e Campania, in quantità molto superiori di quelli che produce invece la Sardegna stessa. Questi fanghi venivano sommariamente interrati in una buca poco profonda, secondo il racconto di Pili. In ogni caso, questo ha scatenato una bufera intorno allo stabilimento.

Secondo i giornali, intorno agli operai e alla struttura si è visto giorno dopo giorno un clima sempre più ostile: da minacce sui social di bruciare le macchine o sparare sui lavoratori e sui mezzi, al seguire e riprendere i lavori in corso dentro lo stabilimento e pure nel trasporto logistico dei fanghi.

Questa ostilità ha infine trovato, a quanto pare, uno sfogo: qualcuno ha ben pensato di passare dalle parole, che tante persone della comunità esprimevano, ai fatti. Infatti i progetti del fango…si sono impantanati, andando in fumo.

Aldilà dello scalpore, di norma questi tempi, che questo attacco ha suscitato, tra opinione pubblica, società Geco e lo stesso Pili, che prova a giocare sul filo dell’ambiguità, cosa possiamo trarre da questo evento?

Senz’altro possiamo vedere come rimane vivo, ancora in qualche zona della Sardegna, quel senso di auto-organizzarsi e prendere in mano da sé una situazione che mina la salute e l’integrità del proprio territorio, della propria comunità. Spesso si parla di costante resistenziale sarda, intendendo se non altro proprio questo sentimento individuale di mettersi in gioco e risolvere, con i mezzi a propria disposizione, i problemi che interessano il proprio circondario. In prima persona, senza deleghe, attese politiche e inutili. Questo fatto potrebbe iscriversi in questo approccio, che nell’isola negli ultimi tempi si esprime attraverso soprattutto minacce, scritte sui muri o con l’uso di armi o ordigni, ad esponenti pubblici o complici di tali situazioni invadenti o problematiche.

Inoltre, ci sembra opportuno ragionare sulla natura dell’impianto attaccato, perché ennesima prova dell’uso che lo Stato Italiano ama fare della Sardegna. Trattandola ancora come un deposito di spazzatura, dalle scorie nucleari ai rifiuti campani a questi fanghi, adempie il suo ruolo di colonia, sfruttata in tutto e per tutto per estrarle le sue risorse e assicurare il benessere per il continente, tra basi militari, industrie e paradiso vacanze. A questo status quo si lega una repressione sociale, capillare passiva nell’occupazione militare dei Carabinieri e altri militari in tutta l’isola, ma pura attiva, come dimostrano i mille avvisi di garanzia comminati ad altrettanti pastori per le lotte di un anno fa, ma pure l’Operazione Lince per le lotte antimilitariste arrivata pochi mesi fa.

Per cui, non possiamo che essere contenti se, in questo clima, qualcuno decide di alzare la testa e di non accettare l’ennesimo deturpamento imposto davanti ai nostri occhi.