Archivi del mese: ottobre 2019

Contributo radiofonico sull’operazione Lince e sulle richieste di sorveglianza speciale

Buon ascolto!

https://radiocane.info/operazione-lince/

 

Taglio delle reti alla Sella del Diavolo: comunicato di A Foras

Dalla spiaggia del poetto fino a Cala Mosca e alla cima della Sella del Diavolo una grossa parte del territorio comunale di Cagliari è interdetta alla popolazione. A questa si aggiungono un gran numero di strutture militari, alcune delle quali sono attualmente in uso da parte dell’esercito italiano mentre altre sono oggi inutilizzate ma mai restituite al libero utilizzo dei cagliaritani.
È una situazione inaccettabile che mostra lo strapotere dell’esercito italiano in Sardegna, il quale può continuare a rubare la terra sarda persino nella stessa Cagliari.
Poche ore fa una e-mail arrivata all’indirizzo di posta elettronica di A Foras ci ha informato che alcune decine di metri di quelle reti sarebbero state tagliate per protesta.
Secondo quanto apprendiamo dalla mail stessa, tale protesta è avvenuta in risposta alla recente operazione repressiva che ha colpito diversi antimilitaristi.
In Sardegna tanti gruppi, movimenti, collettivi e singoli individui portano avanti diverse forme di protesta contro l’occupazione militare della Sardegna.
A Foras è convinta che tutte esse meritino rispetto e perciò riteniamo opportuno divulgare questa notizia. Di seguito il testo del messaggio:

“In risposta all’operazione repressiva contro gli antimilitaristi e alle richieste di sorveglianza speciale sono state tagliate decine di metri di rete nel territorio militare della Sella del diavolo.

tagliamo le reti

invadiamo i poligoni.”

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Cagliari – Tagliate reti militari

Riceviamo e pubblichiamo:

In risposta all’operazione repressiva contro gli antimilitaristi e alle
richieste di sorveglianza speciale sono state tagliate decine di metri di
rete nel territorio militare della Sella del diavolo.

tagliamo le reti
invadiamo i poligoni.

Ansia militante

Riceviamo e pubblichiamo:

Ansia militante

Ho bisogno di dire la mia, sono la madre di uno dei cinque giovani indagati e per cui è stata richiesta la sorveglianza speciale .

E’ molto complicato per me vivere la giornata di questi tempi, non solo per cosa accade al movimento antimilitarista in Sardegna ma per il tanto altro che sta accadendo.

La protesta in questi mesi è cresciuta, i giovani sono tornati in piazza. Da Fridayforfuture, al sostegno per il popolo curdo, passando per NoTav, Decreto Sicurezza e altre legittime battaglie come il lavoro, la casa, la violenza sulle donne.

Vedo la voglia di esprimere in tanti modi il dissenso verso un mondo che sta andando alla rovescia. Le modalità sono diverse, ma tutte necessarie e giuste. Meno male che ci sono.

Conosco la fatica e la gestione dell’ansia materna, che inizia dalla scoperta dell’attesa e non finisce mai, ha infinite facce, quelle della quotidianità e della straordinarietà. Noi madri di figli militanti abbiamo imparato ognuna a suo modo , a farci i conti, a volte il conto è infinito. Noi madri orgogliose di avere figli che si preoccupano e occupano di ciò che accade del mondo non possiamo far altro che occuparci di loro, da lontano generalmente, un’occupazione impegnativa che deve essere invisibile e leggera.

Questo compito ci prende gran parte della nostra vita, in alcuni casi ha risvegliato la nostra militanza di giovani donne impegnate in battaglie del passato, ha fatto si che ritrovassimo grazie ai nostri figli il gusto del sapere, del conoscere le lotte e questa ricerca e lettura del mondo è diventata parte integrante del nostro agire da lontano.

Sapere è molto meglio di non sapere, vedere ciò che va visto e conoscere ci fa condividere battaglie altrimenti per noi lontane e questa è la parte che mi piace di più. Mi piace perché mi fa sentire vicina e coinvolta nella vita di mio figlio e dei suoi compagni e compagne, dà una motivazione seria e importante all’ansia che provo quando non so quanto vorrei sul dove, come e perché. E’ anche sollievo.

Non sempre o forse troppo spesso non ci è dato sapere tutto, non è previsto , non per mancanza di affetto e rispetto da parte loro ma perché quella che vivono o dovrebbero poter vivere è la vita che hanno scelto, io sono con le loro scelte contro e alla ricerca del vero e di soluzioni a tanti grandi problemi. Non quello che il potere ( con le sue mille forme) ci dice ma quello che è.

Il prezzo per questi giovani è alto, in termini di scontri, di delusioni, di scelte, di affetti e impegno.

Non è accettabile in nessun luogo e per nessun motivo che un uomo e una donna non possano esprimere attraverso le scelte e le azioni il loro ruolo nel mondo, e che ciò diventi motivo di intimidazione con misure repressive, eclatanti articoli sui giornali, definizioni pesanti non è accettabile.

I nostri figli non sono terroristi eversori sono CONTRO, in un sistema che tanto deve cambiare , in una terra bellissima. Ecco andare contro è non voler essere allineati ,è lottare per cambiare le cose. Questa parola che fa paura è stata usata con molta leggerezza, ha spaventato ma non allontanato nessuno. Siamo tutti insieme e non si lascia indietro nessuno, mai.

Riguardo la richiesta di sorveglianza che è già stata fatta una volta e rifiutata , mi pare che siamo pronti, sappiamo cosa ci aspetta.

Ho un figlio solo ma gli altri per me sono come lui e sanno di avermi a loro fianco.

Mia nonna direbbe “chi va al mulino s’infarina”, bene allora siamo tutti infarinati, dalla testa ai piedi, ma abbiamo la forza per scrollarcela di dosso, ognuno forse pagherà un prezzo ma questo lo abbiamo sempre saputo.

Una mamma con l’ansia militante

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Manifesto di solidarietà per gli indagati dell’Operazione Lince

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Manifesto in formato stampa: Manifesto Indagati e Solidali

Uta – Di carcere si muore

Veniamo a sapere che l’8 Ottobre un detenuto, giocando a calcio nel campetto della struttura detentiva di Uta, ha avuto un infarto. È stato trasportato in ospedale, dove gli è stata impiantata una sonda nella gamba ed è stato tenuto là fino all’11 ottobre quando l’hanno riportato in carcere.

Ma il giorno dopo, il 12, è stato trovato morto.

Non abbiamo purtroppo in questo momento ulteriori notizie o informazioni, quindi ci limitiamo a diffondere la notizia. Cercheremo di fornire aggiornamenti.

Mandiamo un abbraccio ed esprimiamo vicinanza con i suoi famigliari.

Che il carcere di Uta sia una struttura di morte e sofferenza non ci stupisce, del resto la qualità della vita e delle infrastrutture è nota a tutti. Dai topi, ai vermi, alla mancanza d’acqua, alle scarse cure mediche, fino ai buchi nei fondi destinati alle ristrutturazione (uscita oggi la notizia della chiusura indagini, dopo soli 5 anni).

Fino a quando delle galere non resteranno che macerie. Tutti liberi, tutte libere.

 

 

Comunicato di A’Foras sul corteo di Capo Frasca

A CAPO FRASCA UNA GIORNATA BELLISSIMA CON TANTI SIGNIFICATI. 

ASSEMBLEA GENERALE DI A FORAS DOMENICA 27 OTTOBRE A BAULADU

Dopo la splendida giornata di sabato, proviamo a mettere in ordine i pensieri ed evidenziare alcuni spunti usciti dalla bella manifestazione di Capo Frasca.

Innanzitutto vorremmo ringraziare tutti e tutte coloro che si sono spese per l’organizzazione e la costruzione di questo corteo, dalle realtà organizzatrici che si sono fatte carico di far tornare tutti e tutte noi di fronte ad una base militare dopo due anni e mezzo in cui era mancata la presenza davanti ai poligoni, fino alle compagne ed i compagni che si sono alternate tra intensi compiti tra i bus, i banchetti, il palco e le situazioni più tese. Molto spesso ci dimentichiamo di loro e non pensiamo mai che se non fosse per chi si annulla tra compiti politici e logistici, probabilmente queste giornate non ci sarebbero.

Il lavoro congiunto di più di 40 organizzazioni, con altre decine di adesioni che si sono aggiunte col tempo, è un risultato notevole già di per sé. Abbiamo limato differenze, abbiamo prodotto una sintesi fra posizioni di partenza differenti ma accomunate dal medesimo obiettivo: liberare la Sardegna dalla presenza militare. Ognuno ha portato il contributo dato dalla propria storia ed esperienza, e il risultato è stato quello di includere tantissime persone in una giornata in cui ci siamo resi conto di essere forti e numerosi, uniti e disposti a lottare tutti assieme.

Prima del 12 ottobre erano due anni e mezzo che non si manifestava davanti a una base, ma in questo tempo non siamo stati fermi. Sono stati prodotti, dal gruppo economia di A Foras, due dossier sui poligoni di Teulada e Quirra che rappresentano una delle fonti più aggiornate sulla situazione di quei territori in merito all’occupazione militare. Abbiamo portato avanti momenti di formazione collettiva e di coinvolgimento dei territori, con i campeggi, le camminate, partecipazione a momenti di dibattito anche fuori dall’isola. Il bel risultato del 12 ottobre dipende anche da questo impegno costante, che ci ha permesso di costruire relazioni e fiducia con tante persone e movimenti.

Il primo dato da raccogliere è che ci sono migliaia di persone che sono disponibili a lottare e mobilitarsi contro l’occupazione militare seriamente, sembrerebbe un dato scontato ma se pensiamo al fatto che la mobilitazione è stata tirata su completamente dal basso e in qualche modo minata da silenzio o posizioni faziose della carta stampata, così come da politici e sindacati mainstream, è un risultato notevole. Soprattutto se pensiamo che poche settimane prima dell’appuntamento di Capo Frasca, la Procura di Cagliari ha messo in piedi un grave tentativo di intimidazione e repressione con l’Operazione Lince che ha colpito 45 militanti del movimento sardo contro le basi. Eppure il successo della manifestazione dimostra che nessuno si è lasciato spaventare, anzi abbiamo acquisito una maggiore determinazione.

Migliaia di persone che non hanno fatto mancare il loro apporto politico e artistico, difficilmente si è riusciti a portare in passato dei momenti qualitativamente intensi e così emozionanti sopra e sotto il palco. Difficilmente prima di sabato scorso, si è riusciti a collaborare così attivamente con le famiglie dei militari morti nei poligoni sardi, aggiungendo una casella fondamentale nel panorama del movimento contro l’occupazione militare della Sardegna.

Il secondo dato che va analizzato è che ci sono centinaia di persone che nonostante il palco e gli interventi musicali e politici, hanno presenziato con determinazione davanti agli scudi della celere per ore provando ad aggirare lo sbarramento per arrivare al poligono.

Da qui dobbiamo partire e capire come organizzarci nel prossimo futuro per far convivere tutte le parti fondamentali di questo movimento, far comprendere quanto sia importante la militanza di base perché la risposta all’occupazione militare sia efficace e legittimata dal consenso e l’attivismo popolare. A Foras ha dimostrato di essere un interlocutore serio negli ultimi anni per tutto il movimento, uno dei pochi forse che si è preoccupato di fare in modo che tutte le espressioni avessero spazio e rispetto negli eventi organizzati, uno dei pochi che è riuscito a contrastare la narrazione militarista su carta stampata e sui media, uno dei pochi purtroppo che da tre anni, pur con tanti problemi, ha mantenuto vivo con continuità lo studio, l’inclusione e la mobilitazione contro l’occupazione militare della Sardegna.

Non ci dobbiamo aspettare che tutti e tutte vogliano far parte di A Foras, ma abbiamo il compito di fare in modo che le proposte siano sempre attraversate e attraversabili, così come il corteo di Capo Frasca. Esistono “tanti modi e un unica lotta” come scrivono in tanti e siamo d’accordo, ma come metodo dobbiamo virare verso l’inclusione popolare senza il feticcio delle azioni, guardando a iniziative ragionate, utili a portare numeri, empatia, complicità. La legittimità popolare ha, come conseguenza diretta, la possibilità di allargare geograficamente, politicamente e praticamente la concretezza delle nostre azioni, renderle più efficaci, condivise e libere dai limiti che ci impone la controparte.

Sabato di nuovo abbiamo vissuto in un recinto, nonostante le autorità sapessero che migliaia di persone avrebbero raggiunto il presidio hanno preferito chiudere il ponte e non far fare il piccolo corteo concordato nelle strade bianche, di fatto congestionando il traffico e causando tensioni inutili.

A Foras ha provato con le sue proposte a tracciare un percorso che ci possa permettere di raggiungere questi obiettivi:

—> Proposta concreta per l’istituzione di un corso specialistico in bonifiche presso l’Università di Cagliari e l’Università di Sassari.

—> Campagna di pressione su l’assessorato alla sanità sardo e alle dirigenze delle ASL locali per l’istituzione di un registro tumori sardo e la redazione dei registri epidemiologici comunali.

—> Nella prossima primavera inizio di una serie di azioni simboliche per bonificare siti militari dismessi e lasciati a marcire sul territorio sardo.

—> Mozione nei comuni di Cagliari, Sant’Antioco, Bosa, Olbia e Porto Torres contro l’attracco delle navi militari e contro il passaggio nei flussi d’acqua di mezzi anfibi o imbarcazioni; divieto per esercitazioni urbane e l’utilizzo delle arterie centrali di paesi e città ai mezzi corazzati a tutela dei cittadini e della fluidità del traffico.

—> Campagna muraria “Un manifesto per paese” per raccontare ai 377 paesi della Sardegna qual’è la vera invasione in Sardegna, MILITARE!

—> Costruzione di momenti di azione diretta da praticare durante esercitazioni imponenti, cercando un coinvolgimento ampio ed esteso.

A Foras attualmente è attivo in diverse parti della Sardegna, dobbiamo fare in modo che sempre nuovi comitati in tanti paesi si organizzino e lottino per contrastare l’occupazione militare e la narrazione militarista in tutte le parti della società. Partendo da quelle centinaia di persone che hanno deciso di salire sui bus per raggiungere Capo Frasca e di partire e tornare tutti insieme, abbiamo molti elementi per far ripartire la nostra azione con forza e determinazione.

Ci vediamo il 27 ottobre a Bauladu per la prossima assemblea generale sarda contro l’occupazione militare.

A INNANTIS, CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE RISPOSTA POPOLARE!

Cagliari – Richieste cinque sorveglianze speciali

Ieri sera è arrivata la notizia che il PM Guido Pani ha fatto richiesta di cinque sorveglianze speciali. I destinatari di tale richiesta sono gli stessi cinque compagni a cui Pani, meno di un mese fa, aveva fatto notificare le accuse di 270bis, associazione sovversiva con finalità di terrorismo.

Le udienze dovrebbero svolgersi i primi di Dicembre, ma su questo non abbiamo ancora notizie certe. Vi terremo aggiornati, seguite il blog anche per scoprire quali saranno le iniziative di solidarietà. A seguire il manifesto in solidarietà ai compagni, versione web e versione stampabile. Diffondiamolo!

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immagina 2019   Versione stampabile

Per approfondire sulla sorveglianza speciale:

La sorveglianza speciale è la più pesante fra le misure di prevenzione (le altre sono gli avvisi orali e i fogli di via), può essere data per un periodo che va da uno a quattro anni, tale misura non serve a individuare e reprimere la colpevolezza, ma bensì la presunta pericolosità degli individui. Non servono quindi prove o processi per condannare o scagionarsi, si gioca tutto in un’udienza dove il pm porta le informazioni a carico dell’imputato per dimostrarne la pericolosità. Queste informazioni non è richiesto dal giudice che siano supportate da prove, anzi per la maggior parte sono il risultato delle indagini e delle successive profilazioni che la polizia fa dei compagni.

Viene quindi valutato lo “stile di vita”, che lavoro si svolge, dove si vive, con chi si vive, chi si frequenta e dove lo si fa. Viene rivoltata e giudicata l’intera vita presente e passata delle persone e non è importante che questa magari non sia delittuosa, anzi. Ciò su cui i pm insistono è l’ipotesi che le caratteristiche e le idee di determinate persone possano portare al compimento futuro di reati.

Cosa prevede la sorveglianza?

Innanzitutto non prevede appello, non trattandosi di un processo non vi sono secondi gradi o cassazione, si può tentare un sorta di riesame, che non è mai stato accolto.

Viene data da uno a quattro anni, tendenzialmente prevede il rientro notturno (con possibile verifica della presenza in casa a qualsiasi ora della notte), il divieto di partecipare a manifestazioni pubbliche e assemblee, il divieto di frequentare pregiudicati o portatori di altre misure di prevenzione, l’abbandono di lavori saltuari, il ritiro della patente (anche per i 4 anni successivi  alla fine della sorveglianza), la limitazione negli spostamenti fuori dalla città di residenza (cioè ci si può spostare solo previa comunicazione alla polizia), vi sono stati dei casi in cui è stato dato l’obbligo o il divieto di dimora.

In caso di violazione di anche solo una di queste prescrizioni scatta un processino che può portare all’arresto del sorvegliato, se questo dovesse accadere, il sorvegliato riprenderà a scontare la sorveglianza speciale non appena uscirà dal carcere. Cioè le due misure non si sovrappongono.

Questo enorme ricatto crea le condizioni perché i sorvegliati speciali diventino carcerieri di loro stessi, in particolar modo quando sentono il fiato della DIGOS sul collo.

La misura della sorveglianza speciale è chiaramente uno strumento perfetto – e molto pericoloso – per far fuori i compagni dalle lotte, apparentemente più leggera del carcere per molti si è rivelata invece molto pesante da viversi, anche per la facilità con cui i giudici comminano un anno o due di misura.

A chi avesse voglia di approfondire ulteriormente consigliamo la visione di questo breve video – molto carino – montato dai compagni torinesi durante la campagna di solidarietà di qualche anno fa, quando a 8 di loro fu chiesta la sorveglianza.

 

 

 

Comunicato su Capo Frasca 2019

Capo Frasca 2019, una giornata dal sapore conosciuto.

Quando siamo andati via era buio, sul ponte che porta all’ingresso della base c’erano ancora i celerini schierati e le camionette con i lampeggianti accesi dietro di loro.

A qualcuno è sembrato di vivere un déjà-vu del 23 novembre 2016, quando dopo una bellissima giornata di lotta, alla celere non rimase che presidiare le decine di metri di rete tagliata, mentre i manifestanti allegri e soddisfatti se ne andavano via.

La giornata di ieri, è stata una bella giornata.

Tante, tante persone, quasi tutte determinate a far capire ai militari che la pausa e le difficoltà le stiamo lasciando dietro di noi, che la voglia di tornare a lottare è tanta, forse anche più di prima.

E’ stato bello vedere come la partecipazione eterogenea abbia saputo proporre vari contributi alla giornata e che questi, salvo da rari e inopportuni elementi, siano stati apprezzati e rispettati da tutti, seppur nelle reciproche differenze.

Senza giudizi, rimproveri o recriminazioni ci sembra sano e giusto che ognuno manifesti secondo le proprie tensioni nel rispetto degli altri, senza ledere la libertà altrui e senza mettere in pericolo o difficoltà l’incolumità e le iniziative degli altri.

E’ stato bello vedere alcune persone intervenire sul palco e poi confrontarsi faccia a faccia col nemico, con gli sbirri ovviamente a difesa dei loro colleghi in mimetica e stellette, e sputargli addosso tutto l’odio e il disprezzo che si meritano. Perché se è importante la comunicazione lo è sicuramente anche il conflitto, o la preparazione ad esso.

E’ stato bello vedere il ponticello riempirsi e avanzare, spingendo indietro il cordone di DIGOS e giornalisti, e poi ancora riempirsi fino a far sentire i brividi sulla pelle durante i cori più rabbiosi, fino a non indietreggiare davanti ai tentativi di alleggerimento dei celerini.

E’ stato bello vedere tante facce nuove e tante facce conosciute, chi si ritrova e chi si conosce. Tanti che nel 2014 o nel 2016 qui non c’erano e ieri avevano voglia di iniziare a rifarsi.

In tanti hanno deciso di seguire senza pensieri o tentennamenti la voglia di far vedere e sentire una rabbia che si covava da tempo. Non ci sono state esitazioni neanche pensando all’operazione Lince, che solo venti giorni fa ha sparso in tutta la Sardegna accuse, anche molto pesanti, proprio per le lotte antimilitariste, sperando di frenarle.

Questa è un’ottima ricetta invece per rilanciarle: la miglior solidarietà è riproporre le stesse pratiche perseguitate dalla procura cagliaritana, scacciare insieme la paura per trovare nuovi modi per inceppare la macchina della guerra.

Ci auguriamo che la giornata di ieri venga vissuta da tutti e tutte nello stesso solco tracciato tra il 2014 e il 2017, e cioè del TANTI MODI UN’UNICA LOTTA: la convivenza delle diverse pratiche fu il punto di forza su cui creare partecipazione, varietà delle proposte e delle azioni, distribuzione geografica dell’intervento e solidarietà incondizionata a tutti i colpiti dalla repressione.

Dobbiamo continuare a non accettare la divisione proposta da sbirri e giornalisti in buoni e cattivi, in giornate tranquille e giornate di “scontri”, e difendere le condizioni perché non vi sia mai spazio per la dissociazione.

Le basi militari le chiuderemo con tanti momenti e modi diversi, con periodi concitati, per affinare le esperienze, e periodi statici per allacciare rapporti e aggiungere tasselli al percorso che stiamo immaginando.

I gruppi organizzatori di questa giornata in questi due anni difficili hanno continuato a vedere possibili spiragli di complicità, alcuni vincenti, altri forse discutibili, a proporre pratiche alternative o nuove, e ieri hanno raccolto quello che hanno seminato. Tutto questo non va assolutamente disperso.

Abbiamo condiviso e espresso alcune critiche nei confronti di un rischioso arretramento delle pratiche di azione diretta verso una lotta d’opinione, ma ieri siamo stati per fortuna prontamente smentiti dalla determinazione di centinaia di persone.

Ora tocca a noi, tocca a tutte e tutti rimboccarsi le maniche e contribuire a questa fase di ripresa delle lotte attraverso una diffusa assunzione di responsabilità, sforzandoci di immaginare nuovi modi per raccogliere e rilanciare l’entusiasmo creato ieri.

Non vediamo l’ora di ritrovarci con quella determinazione di fronte a un poligono, ognuno con le sue idee e le sue pratiche, per ricreare quell’ostilità verso i militari che fermò la STAREX, per bloccare un’altra volta la Trident, per tagliare ancora tante decine di metri di reti militari.

Contro la guerra e i suoi complici.

NBS

Nave militare attracca al Molo Ichnusa

Stamattina chiunque passi per le strade del Porto di Cagliari noterà una grossa e ingombrante presenza al molo. Si tratta della Carson City, un trasporto veloce di classe Spearhead della marina militare americana, che si suppone sia in dotazione all’esercito italiano (visto il tricolore che sventola in cima). Insomma un colosso grigio che dall’Alabama a Cagliari trasporta morte. Il tutto sotto gli occhi vigili della Vigilanza privata e della Polizia. La presenza della nave è talmente incredibile che dei passanti curiosi, tra cui un militare fuori servizio, non esitano a fare foto e selfie con la Carson. Un ricordo lo volevamo pure noi.

Come se non bastasse, le vie del centro hanno visto il transito di numerosi mezzi militari: jeep e furgoni targati EI passano come se nulla fosse per Via Roma, ormai sicuri di quanto la presenza militare in città sia normalizzata e sia quasi un fatto turistico. Si fa pure vedere un mezzo pesante della compagnia Fratelli Rubino, noto complice della logistica bellica.

È possibile, anzi probabile, che questo massiccio movimento sia dovuto all’inizio delle esercitazioni militari nei poligoni sardi, che vedranno l’isola teatro bellico nei mesi di ottobre, novembre e dicembre. Prova che la guerra, nei poligoni così come nelle nostre città, non si ferma mai.

Come forma di opposizione a queste esercitazioni, questo sabato, 12 ottobre, ci sarà un corteo alla base militare di Capo Frasca. Auspichiamo non sia l’unica.