Di seguito una riflessione-testimonianza delle giornate calde in Francia, viste in prima persona da un compagno sardo.
Durante le ultime settimane in Francia si parla solo di una cosa: il movimento dei “Gilets Jaunes”, i giubbotti gialli. Due sabati di fila, il 17 e il 24 novembre, hanno visto strade invase dalle folle gialle, in praticamente ogni angolo dell’esagono francese. L’origine e le rivendicazioni di base del movimento sono piuttosto facili da esplicitare: sulla scia della vertenza del costo ormai altissimo della benzina, dei gruppi autonomi di persone (nel senso che non sono legati ad alcun sindacato o partito) hanno indetto uno sciopero nazionale il 17 novembre, prendendo come simbolo il giubbino giallo che ci si mette in caso di incidente o fermo sulla strada, insomma la giacca catarifrangente. Questo semplice simbolo si è diffuso rapidamente ovunque, grazie anche all’attività senza sosta dei social network. Da una vertenza semplice, facendo leva su un problema pratico e terra-terra, il movimento ha preso forma come anti-governo e anti-riforme Macron.
Fare quindi un’analisi, o comunque un’idea, di cosa effettivamente si muova in Francia, diventa abbastanza complicato. Con una rivendicazione di base simile, a seguito anche della scarsa popolarità del governo Macron, facilmente migliaia e migliaia di persone sono scese in piazza: tutti toccati a modo loro, in piazza si sono visti dagli operai più mal pagati, ai lavoratori d’ufficio, a svariate famiglie a dei ricconi capricciosi. Tutti insieme, tutti vestiti col giubbotto giallo, a gridare “Macron, démission!”.
Una piazza ovunque fortemente interclassista, ma, pur tale, completamente senza organizzatori e capi. Una vera folla, un vero ammasso di gente semplicemente incazzata. Una rabbia diffusa, una cattiva fiducia nello Stato che pervade tutte le classi sociali.
Ad una prima occhiata, si capisce bene come, mediaticamente, sia l’estrema destra del Rassemblement National di Le Pen a dare un grande supporto: l’ondata populista della destra trova pane per i suoi denti nelle vertenze simili, tanto più nelle situazioni interclassiste come questa, dove può fare leva sulla rabbia dei poveri e dei lavoratori, tenendo stretti dalla sua i padroni e ricchi, per arrivare al trono democratico dell’Eliseo.
Ad una prima occhiata, i più movimentisti avranno sicuramente esultato, vedendo nelle centinaia di migliaia di persone un focolaio, un altro, dopo la Loi Travail del 2016, un’onda da cavalcare per arrivare a chissà quale posizione di potere o contro-potere. L’atteggiamento della sinistra istituzionale è vario: mentre il partito di sinistra “anti-capitalista” di Melanchon, la France Insoumise, si getta a piene mani in quello che il capo- partito definisce il movimento del popolo, lo storico sindacato militante, la CGT, prende un po’ le distanze per osservare. Il suo studio dimostra i suoi frutti vicino alla frontiera francese, dove dei Gilets denunciano degli immigrati nascosti in un camion e la reazione del sindacato è stata immediata.
Ciononostante, questo è parte del movimento giallo. È un ammasso così vario di persone che da degli infami razzisti, si passa a camionisti che incoraggiano a bloccare i porti e le grosse arterie per danneggiare indotto ed economia statale a insegnati e postini che si lanciano sulle barricate. Nelle pratiche, il movimento si avvicina al suo predecessore contro la legge lavorativa macroniana: barricate, scontri, cordoni di sbirri forzati ed infranti, blocchi stradali e di stazioni. Il tutto viene fatto colorato, a parte il giallo dei giubbotti, da molti tricolori francesi, e accompagnato dalla Marsigliese (rigurgito nazionalista di una destra populista o possibile riscoperta della matrice conflittuale dell’inno da parte di qualcuno poco pratico delle lotte?).
Lo sfogo totale che prende la piazza, che prende la nazione francese intera, ribolle di uno spirito di rivincita che in Italia abbiamo visto forse alla nascita del movimento, anche esso giallo, che adesso è al governo. Nella Francia dove la cultura dello sciopero e la pacificazione statale è o in ritardo o semplicemente diversa da come è stata vissuta (passivamente) dall’Italia, le città vengono completamente bloccate con soli pochi giorni di preavviso, senza che nessuno chiami la piazza o ne prenda le redini. La differenza perciò con i gialli italiani è la mancanza completa di organizzazione centrale.
La destra nei media si fa sentire, la sinistra nelle piazze si fa riconoscere. Da Parigi, dove le barricate hanno bruciato i Champs Elysées e i suoi negozi di lusso, a La Réunion, una delle isole coloniali africane ancora sotto dominio francese dove la situazione è diventata insurrezionale, portando il governo a bloccare il costo della benzina per tre anni, oltre che far intervenire l’esercito, la rabbia è tanta. Diretta sia verso l’ecologia, sia verso i problemi sociali, sia verso un semplice bisogno, questa rabbia ha fatto sì che gli scioperi del sabato siano stati per ora combattivi e caldi, dando occasione a tanti battesimi di fuoco, rimessa in atto di pratiche da parte di anziani e una boccata d’aria fresca per molti.
Intanto sabato 1 dicembre, c’è ancora corteo. Tanto la frequenza del sabato ha funzionato per lavoratori e studenti, tanto è stata comunque accompagnata da azioni parallele, di bloccaggio e di protesta, sulle autostrade come nelle stazioni, durante tutta la settimana.
Come compagni, cosa si vede dentro questa folla, così varia e pericolosa (per il governo)? Alcuni reputano la situazione interessante, altri la denigrano, mentre i casseurs, gli “sfascia tutto”, tanto messi alla gogna dai media, sono comunque stati presenti dall’inizio. Vedere famiglie rilanciare lacrimogeni, anziani e studenti che non si sorprendono nel vedere dei cappucci neri tra la folla gialla, vedere così tanti giovani e lavoratori che fanno esperienza di blocco e lotta, non può che essere, tuttavia, motivo di interesse. Ma senza cadere in un becero movimentismo, davanti a dei numeri così alti nelle strade dopo due anni di deserto, un intervento, con delle parole d’ordine che ci sono vicine, che sono effettivamente proprie, non forse è così difficile immaginarselo.
Dare lo stimolo giusto in un momento di piazza simile, ha portato e può portare ad azioni condivise da gialli e incappucciati. È nella pratica, nel fatto, dunque che si possono riconoscere i soggetti con cui lottare e farsi riconoscere da loro come complici nelle strade. Un movimento senza organizzazione, allo “sbando”, può degenerare nel peggior populismo, così come può essere una miniera d’argento (ma forse non d’oro) per esperienze e legami, così come per infliggere danni e colpire l’economia e il dominio delle merci. Le posizioni di partiti e sindacati, che non aspettano altro che salire sul carro dei vincitori, non possono che essere poco sorprendenti. Fornire stimoli dunque, agire assieme agli arrabbiati e diffondere pratiche e posizioni comprensibili quanto efficaci, questo può essere un ruolo interessante.
Starci in mezzo, con i piedi per terra, pronti a correre quando serve, a bloccare dove più scorre l’economia, a colpire dove si apre un pertugio. Questo può essere un ruolo interessante, dentro una piazza che può diventare ancora più ingestibile.