Archivi del mese: novembre 2018

Francia – Uno sguardo sui Gilets Jaunes

Di seguito una riflessione-testimonianza delle giornate calde in Francia, viste in prima persona da un compagno sardo.

Durante le ultime settimane in Francia si parla solo di una cosa: il movimento dei “Gilets Jaunes”, i giubbotti gialli. Due sabati di fila, il 17 e il 24 novembre, hanno visto strade invase dalle folle gialle, in praticamente ogni angolo dell’esagono francese. L’origine e le rivendicazioni di base del movimento sono piuttosto facili da esplicitare: sulla scia della vertenza del costo ormai altissimo della benzina, dei gruppi autonomi di persone (nel senso che non sono legati ad alcun sindacato o partito) hanno indetto uno sciopero nazionale il 17 novembre, prendendo come simbolo il giubbino giallo che ci si mette in caso di incidente o fermo sulla strada, insomma la giacca catarifrangente. Questo semplice simbolo si è diffuso rapidamente ovunque, grazie anche all’attività senza sosta dei social network. Da una vertenza semplice, facendo leva su un problema pratico e terra-terra, il movimento ha preso forma come anti-governo e anti-riforme Macron.

Fare quindi un’analisi, o comunque un’idea, di cosa effettivamente si muova in Francia, diventa abbastanza complicato. Con una rivendicazione di base simile, a seguito anche della scarsa popolarità del governo Macron, facilmente migliaia e migliaia di persone sono scese in piazza: tutti toccati a modo loro, in piazza si sono visti dagli operai più mal pagati, ai lavoratori d’ufficio, a svariate famiglie a dei ricconi capricciosi. Tutti insieme, tutti vestiti col giubbotto giallo, a gridare “Macron, démission!”.

Una piazza ovunque fortemente interclassista, ma, pur tale, completamente senza organizzatori e capi. Una vera folla, un vero ammasso di gente semplicemente incazzata. Una rabbia diffusa, una cattiva fiducia nello Stato che pervade tutte le classi sociali.

Ad una prima occhiata, si capisce bene come, mediaticamente, sia l’estrema destra del Rassemblement National di Le Pen a dare un grande supporto: l’ondata populista della destra trova pane per i suoi denti nelle vertenze simili, tanto più nelle situazioni interclassiste come questa, dove può fare leva sulla rabbia dei poveri e dei lavoratori, tenendo stretti dalla sua i padroni e ricchi, per arrivare al trono democratico dell’Eliseo.

Ad una prima occhiata, i più movimentisti avranno sicuramente esultato, vedendo nelle centinaia di migliaia di persone un focolaio, un altro, dopo la Loi Travail del 2016, un’onda da cavalcare per arrivare a chissà quale posizione di potere o contro-potere. L’atteggiamento della sinistra istituzionale è vario: mentre il partito di sinistra “anti-capitalista” di Melanchon, la France Insoumise, si getta a piene mani in quello che il capo- partito definisce il movimento del popolo, lo storico sindacato militante, la CGT, prende un po’ le distanze per osservare. Il suo studio dimostra i suoi frutti vicino alla frontiera francese, dove dei Gilets denunciano degli immigrati nascosti in un camion e la reazione del sindacato è stata immediata.

Ciononostante, questo è parte del movimento giallo. È un ammasso così vario di persone che da degli infami razzisti, si passa a camionisti che incoraggiano a bloccare i porti e le grosse arterie per danneggiare indotto ed economia statale a insegnati e postini che si lanciano sulle barricate. Nelle pratiche, il movimento si avvicina al suo predecessore contro la legge lavorativa macroniana: barricate, scontri, cordoni di sbirri forzati ed infranti, blocchi stradali e di stazioni. Il tutto viene fatto colorato, a parte il giallo dei giubbotti, da molti tricolori francesi, e accompagnato dalla Marsigliese (rigurgito nazionalista di una destra populista o possibile riscoperta della matrice conflittuale dell’inno da parte di qualcuno poco pratico delle lotte?).

Lo sfogo totale che prende la piazza, che prende la nazione francese intera, ribolle di uno spirito di rivincita che in Italia abbiamo visto forse alla nascita del movimento, anche esso giallo, che adesso è al governo. Nella Francia dove la cultura dello sciopero e la pacificazione statale è o in ritardo o semplicemente diversa da come è stata vissuta (passivamente) dall’Italia, le città vengono completamente bloccate con soli pochi giorni di preavviso, senza che nessuno chiami la piazza o ne prenda le redini. La differenza perciò con i gialli italiani è la mancanza completa di organizzazione centrale.

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La destra nei media si fa sentire, la sinistra nelle piazze si fa riconoscere. Da Parigi, dove le barricate hanno bruciato i Champs Elysées e i suoi negozi di lusso, a La Réunion, una delle isole coloniali africane ancora sotto dominio francese dove la situazione è diventata insurrezionale, portando il governo a bloccare il costo della benzina per tre anni, oltre che far intervenire l’esercito, la rabbia è tanta. Diretta sia verso l’ecologia, sia verso i problemi sociali, sia verso un semplice bisogno, questa rabbia ha fatto sì che gli scioperi del sabato siano stati per ora combattivi e caldi, dando occasione a tanti battesimi di fuoco, rimessa in atto di pratiche da parte di anziani e una boccata d’aria fresca per molti.

Intanto sabato 1 dicembre, c’è ancora corteo. Tanto la frequenza del sabato ha funzionato per lavoratori e studenti, tanto è stata comunque accompagnata da azioni parallele, di bloccaggio e di protesta, sulle autostrade come nelle stazioni, durante tutta la settimana.

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Come compagni, cosa si vede dentro questa folla, così varia e pericolosa (per il governo)? Alcuni reputano la situazione interessante, altri la denigrano, mentre i casseurs, gli “sfascia tutto”, tanto messi alla gogna dai media, sono comunque stati presenti dall’inizio. Vedere famiglie rilanciare lacrimogeni, anziani e studenti che non si sorprendono nel vedere dei cappucci neri tra la folla gialla, vedere così tanti giovani e lavoratori che fanno esperienza di blocco e lotta, non può che essere, tuttavia, motivo di interesse. Ma senza cadere in un becero movimentismo, davanti a dei numeri così alti nelle strade dopo due anni di deserto, un intervento, con delle parole d’ordine che ci sono vicine, che sono effettivamente proprie, non forse è così difficile immaginarselo.

Dare lo stimolo giusto in un momento di piazza simile, ha portato e può portare ad azioni condivise da gialli e incappucciati. È nella pratica, nel fatto, dunque che si possono riconoscere i soggetti con cui lottare e farsi riconoscere da loro come complici nelle strade. Un movimento senza organizzazione, allo “sbando”, può degenerare nel peggior populismo, così come può essere una miniera d’argento (ma forse non d’oro) per esperienze e legami, così come per infliggere danni e colpire l’economia e il dominio delle merci. Le posizioni di partiti e sindacati, che non aspettano altro che salire sul carro dei vincitori, non possono che essere poco sorprendenti. Fornire stimoli dunque, agire assieme agli arrabbiati e diffondere pratiche e posizioni comprensibili quanto efficaci, questo può essere un ruolo interessante.

Starci in mezzo, con i piedi per terra, pronti a correre quando serve, a bloccare dove più scorre l’economia, a colpire dove si apre un pertugio. Questo può essere un ruolo interessante, dentro una piazza che può diventare ancora più ingestibile.

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Askari et tzeraccus: imbrattata sede del PSd’AZ

Apprendiamo dai giornali online che nelle scorse notti qualcuno ha ben pensato di lasciare un messaggio al partitello sardista PSd’Az. Questo, ormai si sa, ha scelto di infangare la sua tradizione storica per salire sul carro dei vincitori ed infami (praticamente un classico per i partiti, no?), alleandosi con la Lega. Infatti la visita di Salvini, che si svolgerà domani a Cagliari, sarà un pranzo proprio nella loro sede, in viale Regina Margherita.

È sulla porta di questa sede che qualcuno (“i soliti ignoti dello spray”) ha scelto di lasciare un suo pensiero: “Psd’Az tzeraccus, Sardegna libera dal razzismo”. E ancora, poco lontano, su un muro si legge: “Partito sardo d’azione mercenari askari”.

Anche la sede della Lega non è stata esonerata dal trattamento e sulle serrande della sede cagliaritana è comparsa la scritta “razzisti carogne” ed una bella colata di vernice rossa.

Non possiamo che condividere questo pensiero, ripetendo ancora:

Salvini bairindi!

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TORINO – PROCESSO A DUE COMPAGNI DELLA CASSA ANTIREP DELLE ALPI OCCIDENTALI

Lunedì 19 novembre si è svolto, presso il tribunale di Torino, il processo di primo grado che vedeva due compas della Cassa AntiRep delle Alpi occidentali imputati per un acceso diverbio avvenuto con carabinieri in borghese nel dicembre 2017.
Il processo si è chiuso con la condanna di entrambi gli imputati a 8 mesi per resistenza e danneggiamento, ma ha anche annullato le misure cautelari a cui erano sottoposti dallo scorso 21 marzo.
Riportiamo qui sotto la dichiarazione letta in aula dagli imputati.
Contro divise, galere, misure e restrizioni!

Se siamo oggi in quest’aula ed abbiamo valutato opportuno intervenire nel processo con una nostra dichiarazione non è per entrare tecnicamente nel merito dei fatti specifici di cui siamo imputati: sappiamo benissimo che di fronte ad una ricostruzione senza testimoni da parte di appartenenti alle forze dell’ordine – per quanto lacunosa, adulterata e contraddittoria questa possa risultare – una nostra versione dei fatti avrebbe ben poco peso.
Prendiamo quindi l’occasione piuttosto, anche oggi, per non avallare con il nostro silenzio il ricorso alle misure cautelari in funzione oggettivamente repressiva e punitiva che è andato consolidandosi come consuetudine, specie – ma non solo – per la Procura di questa città.
Di fatto, obblighi e divieti di dimora, obblighi di firma, avvisi orali e sorveglianze speciali hanno assunto il ruolo di strumenti privilegiati al fine di perseguire persone e ambiti collettivi che esprimono un’alterità critica all’ordine vigente, al di là della rilevanza penale che le condotte a loro imputate possano rivestire. Riteniamo quindi che questi strumenti, al pari di una sempre più invasiva presenza di divise e apparati di controllo disseminati su ogni territorio, siano oggettivamente uno dei tanti segni dell’evolversi in senso sempre più autoritario, discriminante e repressivo della società in cui ci troviamo a vivere.
Ora, senza nulla togliere alla portata repressiva di altri analoghi provvedimenti, prendiamo ad esempio il nostro caso: dal 21 marzo scorso siamo obbligati a firmare tutti i giorni (periodicità che per uno degli imputati è scesa a tre giorni a settimana dall’inizio di novembre) presso una caserma distante 20 km dal nostro domicilio, ovvero quasi 8 mesi di obblighi giornalieri per un diverbio dalle conseguenze oggettivamente di scarsissimo rilievo. Una limitazione della libertà personale, un notevole dispendio di energie e di risorse economiche che di fatto costituiscono una vera e propria pena da scontare in attesa che un tribunale si esprima sulla nostra colpevolezza o meno.
Un astuto meccanismo giudiziario a cui si aggiunge la beffa: in caso di condanna, il periodo di limitazione della libertà a cui si è stati sottoposti non serve neppure, per legge, in termini di pena già scontata.
Siamo convinti che la Legge non sia che una leva tra le tante per piegare la vita delle persone ai dettami di un ordine ingiusto e prevaricatore. Ed è per questo che in tempi così bui di assuefazione ad un ordine di tale natura confidiamo, anche con questa dichiarazione, di dare il nostro contributo ad una più ampia presa di coscienza e di posizione nei confronti dei meccanismi di controllo e coercizione individuale e sociale.

Gli imputati

Mutamenti

Dopo i progetti su Sant’Elia e su Sant’avendrace riecco altri mutamenti nella città di Cagliari. Il cosiddetto water front della città partirà da Viale Colombo ed arriverà sino alla fiera per ricongiungersi a Sant’Elia.

I palazzi di proprietà della difesa, passati alla Regione, saranno trasformati in palazzi di lusso e tutta la passeggiata di viale Colombo sarà modificata secondo questi “grandi” progetti : ristrutturazione della Fiera, costruzione di piste ciclabili e passeggiate per dare a quella porzione di città un aspetto appetibile ai turisti. Mentre intanto il resto della città muore.

La sempre piu’ frequente progettazione di palazzi di lusso a discapito di edilizia popolare e di interventi sulle situazioni di disagio lascia poco spazio alla fantasia circa il nuovo volto della città. Un enorme progetto di gentrificazione e riqualificazione è in atto e viene incorniciato dalle istituzioni con proclami circa il benessere della città e la lotta al degrado. L’ intento palese è spostare nelle periferie estreme, ora chiamate Area Metropolitana, i cittadini poveri e lasciare la città nelle mani di ricchi e speculatori per offrire un’immagine dorata ai turisti, croceristi o meno.

L’intensificarsi dei B&B, ufficiali o no, l’apertura di ristoranti e localini ,quasi sempre tutti uguali, in maniera esasperata, i progetti di riqualificazione e questa fantomatica lotta al degrado sono semplicemente un momento passeggero di benessere legato alle merci, all’immagine fasulla di una città benestante ed a una costruzione di vetrina o meglio di specchietto per le allodole che distruggerà e devasterà il vero tessuto sociale  ed il cuore della città.

Per qualche momento di benessere saremo disposti a vedere distrutti i rapporti tra le persone o ad assistere  alla disgregazione dei quartieri  per favorire piazzette e strade sempre piu’ per benestanti? o vorremmo mantenere intatto quel filo che ha animato per anni la città e mantenere quelle porzioni di autogestione che ci siamo guadagnati per sentirci , almeno in parte, liberi?

Non saranno certo i palazzi di lusso o le zone “riqualificate” a rendere piu’ bella la città , ma saranno le persone ed i loro rapporti basati sulla solidarietà e sull’autogestione a rendere bella ed accogliente Cagliari.

Contrastare questi progetti è l’unica arma per mantenerci una porzione di autogestione prima che ci scivoli tra le mani.vialecolombo-1132x670

Lascia o raddoppia

Mentre la RWM amplia il suo potenziale produttivo grazie al beneplacito delle istituzioni, anche l’Arabia Saudita, sua piu’ grande committente, allarga la sua influenza.

Mentre la fame di risorse dell’occidente aumenta di continuo e di conseguenza anche la corsa ad un neo colonialismo sfrenato, i Sauditi piazzano un punto nel Corno d’Africa facendosi garanti di un accordo di pace tra Etiopia ed Eritrea in conflitto tra loro da circa vent’anni.

Il 16 Settembre infatti davanti alle maggiori cariche saudite è stato firmato un accordo tra i primi ministri dei due stati africani, cosa che garantisce un sicuro ingresso nel controllo nella regione del Mar Rosso dove i Sauditi hanno una costa di 1800 Km rendendoli così ben posizionati nella “corsa all’Africa” rispetto ai grandi imperi occidentali.

La posizione dell’Arabia Saudita si consolida quindi anche nei confronti del nemico Iran visto che il 10 per cento del traffico commerciale si svolge proprio in quel mare, in quei porti, in quelle coste.

Si crea così un effetto domino nel Corno d’Africa che potrebbe pacificare gli attriti anche tra il Gibuti e l’Eritrea , sempre con la benedizione dei Sauditi che aumenterebbero il loro prestigio, tanto che gli osservatori internazionali, in quel di Cambridge, parlano di una pace semplicemente formalizzata appunto perchè i Sauditi volevano far pesare il loro intervento attribuendosene il merito.

Etiopia ed Eritrea sono dal canto loro ben contente di questa pace : la prima potrebbe riavere accesso ai porti dopo 25 anni e l’Eritrea è convinta che Arabia Saudita, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti saranno degli ottimi partners commerciali in ambito finanziario, energetico ed agricolo.

L’Arabia Saudita inoltre puo’ contare sulla sicurezza del traffico delle merci e delle petroliere, avendo nel Corno d’Africa un’alternativa valida. Ricordiamo come il loro traffico navale sia messo in discussione, a Sud, dai ribelli Huthi nello Yemen , che continuano a portare attacchi alle navi saudite. Il porto di Bab al Mandeb nel Mar Rosso consente anche un punto strategico militare molto importante nell’offensiva contro lo Yemen e il suo alleato Iran.

Dalle grandi potenze arrivano sorrisi rispetto a questi accordi di pace : gli Stati Uniti sfrutteranno sicuramente la messa in sicurezza di una così importante rotta commerciale ed avranno tutta per loro l’Etiopia nella lotta al terrorismo, L’Europa si auspicherà una riduzione delle partenze dei migranti dai due stati in guerra, Cina e Giappone avranno un Gibuti pacificato con la tranquillità delle loro basi.

Ovviamente per tutti questi attori in gioco sarà importante che la pace duri, e visti i trascorsi storici non sarà una certezza.

Resta il fatto che l’Arabia saudita si porta avanti negli scacchieri internazionali.

Tenere d’occhio i Sauditi e le loro mosse puo’ fornire nuove chiavi di lettura circa i loro partners fabbricanti d’armi, RWM su tutte.

Non è un caso che con la crescita di paesi guerrafondai crescano, anzi, raddoppino impianti di produzione come quello della RWM in Sardegna.

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SALVINI VATTENE

Il quotidiano Casteddu on line scrive un articolo circa i manifesti contro il ministro Salvini, comparsi in città attaccati dagli elfi dei boschi.

Salvini, ricordiamo è atteso in Sardegna per un tour che toccherà diverse città sarde : Olbia, Tortolì, Nuoro e Cagliari e che avrà come obbiettivo la candidatura, forse di Christian Solinas del Psd’az, a presidente della regione.

Nonostante la storia del Partito Sardo d’Azione sia tutt’altro che legata ai movimenti neofascisti e populisti, i neofiti del sardismo preferiscono salire sul carroccio del vincitore e sventolare la bandiera della Lega per assaggiare una fettina di potere.

Salvini è il maggior rappresentante del governo cosiddetto giallo verde e che ha nel suo arco tante frecce avvelenate contro la libertà di movimento, di parola e di aggregazione inneggiando ad una sicurezza che significa solo repressione e controllo.

Alleghiamo foto dei manifesti comparsi in città.

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Striscioni e volantinaggi contro Salvini

I giornali riferiscono di scritte contro Salvini , in arrivo il 23 novembre a Cagliari dopo le tappe ad Olbia e Nuoro. La Digos indaga.

Striscioni svettano contro l’arrivo del Leghista e nelle mani delle persone compaiono dei volantini.

Questo il testo :

Contrastiamo il razzismo
Respingiamo Salvini

Quanti pensano, creando combinazioni di stile parlamentare,
di accelerare il processo di dissolvimento del fascismo,
involontariamente non fanno che prolungarlo. Contro il fascismo
italiano non v’è, in prima linea, che una classe: il proletariato;
che una tattica: la rivoluzionaria.”
Emilio Lussu, Teoria della insurrezione

Con queste parole parlava il più noto tra i fondatori del primo Partito Sardo d’Azione, commentando la situazione italiana del 1936, mentre si trovava in clandestinità, esiliato dal regime fascista.
Oggi tanti storcono il naso a sentir parlare di fascismo, come se il termine rievocasse un mostro ormai definitivamente sconfitto e che mai potrà tornare a turbare le nostre vite democraticamente felici.
Eppure nell’attuale situazione il potere va accentrandosi nelle mani di un solo leader, che da una parte viene acclamato (a suon di tweet) da gran parte della popolazione, dall’altra insiste nella sua propaganda nazionalista dove gli immigrati sono il nemico principale, trovando il consenso di chi, sempre più spesso, attacca questi ultimi.
Cosa direbbe quello stesso Emilio Lussu se oggi vedesse che il partito da lui fondato si allea con la Lega di Matteo Salvini? Proprio il 22 e il 23 novembre Salvini sarà infatti in Sardegna per rendere noto il nome del candidato alla presidenza nelle prossime elezioni regionali di febbraio, nome che quasi sicuramente sarà quello di Christian Solinas, attuale segretario del Psd’Az.
L’evento sarebbe tragico e raccapricciante di per sé, tuttavia vale la pena soffermarsi sul comportamento di questi due partiti per capirne la strategia. Da una parte la Lega, che per ripulirsi la faccia da decenni di insulti e vessazioni ai meridionali, sardi compresi, ha bisogno di allearsi con il “partidu sardu”, per poter così continuare nel suo intento di accaparrarsi ogni pezzo di territorio statale dove propugnare le sue politiche di odio razziale e delirio securitario; dall’altra il Partito Sardo d’ Azione, che per mettere le mani sulle poltrone del potere non può far altro che salire sul carro dei vincitori, quello che in questo momento vede come protagonista principale proprio Matteo Salvini.
Dopo una campagna elettorale nella quale è stata promessa una “pulizia di massa” e la “ruspa” come metodo per metterla in atto, proprio in questi giorni Salvini si vanta sui social di come stia finalmente passando “dalle parole ai fatti”. Fatti che non sono altro che attacchi continui a quelle categorie cui questo governo ha dichiarato guerra: l’immigrato che scappa dalla guerra e dalla miseria; il venditore ambulante; chi non si può permettere una casa e la occupa; così come tutti coloro che decidono di dissentire e cercano di opporsi alle politiche attuali.

Inoltre il programma elettorale della coalizione sardo-leghista pone l’accento su una fantomatica autonomia della Sardegna. Questa autonomia che tanto promettono non è che una vera e propria menzogna, semplicemente una traduzione in lingua sarda dello sfruttamento e del razzismo leghista. Non è respingendo gli immigrati che saremo meno poveri, così come non è riempiendo le città di telecamere e poliziotti che saremo sicuri. Allo stesso modo non è pagando meno tasse allo Stato e pagandone di più alla Regione che saremo indipendenti.
L’autonomia, l’unica che davvero ci può liberare da sfruttamento, repressione, guerre e militari, è quella da qualsiasi forma di Stato, da qualsiasi partito e qualsiasi padrone.

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Concessi gli ampliamenti alla RWM

Apprendiamo dai media locali che la fabbrica di bombe di Domusnovas, la ben nota RWM, ha ottenuto pochi giorni fa le concessioni, da parte del Comune di Iglesias, necessarie per attuare i due progetti di ampliamento.

Con la costruzione dei reparti R200 e R210, si prospetta un raddoppiamento della produzione, se non addirittura triplicarla. Secondo alcune statistiche, dalle 8 mila bombe annuali, si arriverebbe a 20 mila grazie alle future strutture.

Non ci stupiscono né la complicità delle istituzioni all’incremento della produzione né l’incremento stesso, al posto di una fantomatica riconversione dello stabilimento. Il mercato bellico non conosce né limiti, né etica, né presunte leggi di pace, ma conosce un solo sovrano: il denaro.

Resta evidente che la RWM è sinonimo di morte e che i suoi complici hanno tutti sangue sulle mani.

Nessuna pace per chi vive di guerre.

 

Paolo Pachino, di ritorno dalle YPG, arrestato a Torino.

PAOLO PACHINO LIBERO!
Paolo Andolina, conosciuto come Pachino, questa mattina si e costituito alla questura di Torino insieme all’avvocato e da li e stato condotto al carcere delle Vallette.
Su di lui era stato emanato dalla procura di Torino, un mandato di arresto, dopo aver violato a marzo le misure cautelari per ritornare nel Nord della Siria, tali misure lo obbligavano a firmare quotidianamente alla caserma dei carabinieri, per gli scontri del 31 Dicembre davanti al carcere delle Vallette, per quella serata il 12 Ottobre c’è stata la sentenza di primo grado.
Da parte dell’avvocato sono stati richiesti per Paolo Pachino i domiciliari e tra qualche giorno il tribunale si pronuncerà se concedere o meno i domiciliari.
ecco il suo comunicato:

“Con un sorriso ancora più grande sono ritornato.
Dopo più 6 mesi in Siria, rieccomi di nuovo qui, in Europa e in Italia.
Ritornare non è facile, non sono scelte che si prendono in poche ore o in qualche giorno.
Sono partito per la Siria a Marzo, avevo deciso di violare le misure cautelari che mi erano state imposte a inizio febbraio del 2018. Firmavo quotidianamente nella caserma dei carabinieri di Grugliasco e non potevo nemmeno vivere o passare da Torino, città in cui per anni ho lottato e sostenuto lotte, al fianco degli oppressi e contro gli oppressori.
Il mio viaggio, programmato da mesi, non volevo rinviarlo per delle semplici misure cautelari, volevo ritornare in Siria per la 3^ volta e unirmi allo Ypg.
Per questo dopo tanti giri, sono riuscito ad arrivare in Siria.
Ero consapevole anche delle conseguenze che questa scelta avrebbe potuto portare, infatti dopo qualche mese, le misura cautelare è stata aggravata, ed è stato emesso un mandato di arresto dalla procura di Torino.
Sono stati 6 mesi belli, coinvolgenti e pieni di gioia, ma anche duri e difficili. Si sa la rivoluzione è bella, ma portarla avanti e sopratutto difenderla è molto difficile, e lo capisci quando la pratichi, perché in un mondo patriarcale, sessista, autoritario e gerarchico non è facile uscire da questi schemi, trasformare una società e sopratutto se stessi.
Sono tornato per portare avanti le mie idee, i miei valori e la mia etica, che in questi mesi ho praticato e sperimentato ancora di più.
È vero, l’Occidente sembra allo sfascio, a volte si vive meglio in guerra, che in mezzo all’egoismo sfrenato dove tutto sembra impossibile, ma anche in Siria 8 anni fa era tutto impossibile.
Credo nella libertà e nelle lotta quotidiana, perché la rivoluzione in primis dobbiamo sentirla dentro di noi, credo non sia nemmeno facile, ma personalmente non voglio restare a guardare che tutto va a rotoli e voglio cercare il meglio intorno a me.
Come già fanno tantissimi compagni e compagne che da anni in Italia, come in Europa, portano avanti lotte e resistenze, contro questo sistema che cerca di dominarci.
Quello che ho visto in Siria in questi mesi, è stata una confederazione Democratica, che nonostante la fatica della guerra, lotta, resiste e sopratutto si organizza. Conosciamo la Siria come un luogo di guerra, sì è vero, è pieno di check point, di armi ecc, ma dentro le città libere da anni è vietato girare con armi, proprio per non portare avanti e coltivare una società militarista.
Quello che ho visto stavolta, sono stati i ragazzi arabi, lottare insieme a loro al fronte o semplicemente stando in città, sono anche loro la forza di questa rivoluzione, gli arabi insieme ai curdi, gli assiri, e le molte altre etnie che vivono nel Nord della Siria.
Ho deciso di tornare perché, dopo quasi due anni nello Ypg, ho visto il meglio di una rivoluzione e le sue contraddizioni, ma quello che per me è importate è che lo Ypg lotta contro queste contraddizioni.
Per questo mi sento Ypg a vita, non è un esercito invasore, colonialista o militarista, ma è un esercito di liberazione che i popoli li difende e soprattutto sta in mezzo al popolo.
Questo mio terzo viaggio in Siria, mi ha fatto capire molte altre cose, che non avevo compreso prima, se tornassi indietro lo rifarei, ripartirei, non mi sono assolutamente pentito. Adesso affronto tutte le conseguenze di cui ero consapevole prima di partire.
L’unico rammarico, non aver potuto difendere Afrin, essere arrivato dopo che è stata invasa, questo è l’unico rimorso, non essere arrivato prima. Riabbracciare i compagni, gli amici che tornavano da Afrin è stato bellissimo, non poter più rivedere altri amici, compagni no, non è stato bello, ma loro mi hanno dato la forza per continuare a lottare.
Per me prima di tutto viene la rivoluzione, la lotta e soprattutto l’amore con cui si porta avanti.
Si sa, quando si lotta si è automaticamente messi dal sistema e da chi lo governa, dall’altra parte ossia quella del torto.
Quindi se sono dalla parte del torto, dico a chi pensa ciò, che è stato lo Ypg, a liberare una parte di Siria dallo Stato Islamico, è stato lo Ypg che ha difeso valorosamente Afrin e che resiste ancora in quei territori occupati dall’esercito turco e dalle bande jihadiste, ed è anche grazie allo Ypg e alle strutture civili che questa rivoluzione sopravvive, resiste e lotta.
In uno scenario di guerra così ampio non è facile, sembrava impossibile, ma lì adesso è possibile, anzi è realtà.
Adesso non si possono fare previsioni o dire se questa rivoluzione sopravviverà o quanto, perché questa rivoluzione non ha schemi imposti da nessuno e si sperimenta ogni giorno.
Adesso è il momento di lottare, resistere agli attacchi del sistema.
E bisogna essere consapevoli dei rischi che può portare ciò, in guerra puoi morire, essere ferito. Qui in Europa, in un contesto diverso, puoi perdere la libertà, essere perseguitato dalla legge, tutto questo solo perché siamo stati messi nella parte del torto.
Ma lotterò, insieme ai compagni e alle compagne, come ho sempre fatto, fino a quando non saranno loro, i potenti, gli sfruttatori ad essere considerati quelli dell’altra parte, quella del torto.
Si sa quando si lotta, non veniamo accettati dai potenti e da chi li protegge.
Basta non aver paura ed essere consapevoli di quello che si fa e, soprattutto, bisogna crederci.
Questo ho imparato dalla Rivoluzione Confederale ancora in atto nel Nord della Siria.
Per questo sono tornato per resistere e lottare, contro questo sistema capitalista-autoritario.
Se non ora quando?
A me piace vivermi il presente e nessuno mai potrà fermare la lotta e il desiderio per la libertà che quotidianamente cerco di portare avanti e praticare insieme a tanti compagne e compagni, per questo, anche se dovete arrestarmi, eccomi qui.
Lo faccio con i martiri nel cuore e pensando che nulla è impossibile, basta lottare. E lottando si può anche cadere, basta sapersi rialzare, con più forza e grinta di prima.
La rivoluzione non deve essere un sogno, la rivoluzione per me è la realtà.
Bella, difficile, faticosa ma piena di amore e gioie.
La lotta è vita,
La vita è amore,
L’amore è rivoluzione.
Con il sorriso sono andato via, con uno ancora più grande sono ritornato.
Ci vediamo per le strade e piazze, quelle stesse strade che per anni ho percorso insieme a tanti compagne e compagni e amici a me cari.
Serkeftin.

Fonte: https://roundrobin.info/2018/11/torino-paolo-pachino-alle-vallette/

Parole sui muri

Camminando per la città, ci si può accorgere che i muri parlano.

Questi, ad esempio, parlano forte e chiaro.