Archivi del mese: gennaio 2019

Immagine

INIZIATIVA CONTRO IL FASCIO-LEGHISMO

manifesto2(1)

SULLA RIVOLTA NEL CARCERE DI SPINI DI GARDOLO (TRENTO)

Qui sotto due testi, diffusi in città e fuori dal carcere durante i colloqui, sulla rivolta nel carcere di Spini di Gardolo (Trento).
VIVA LA RIVOLTA DEI DETENUTI DI SPINI
Nella notte tra venerdì 21 e sabato 22 dicembre un detenuto, Sabri El Abidi, si suicida nel carcere di Spini di Gardolo. E’ il nono dall’inaugurazione del cosiddetto “carcere modello” (2011), il terzo del 2018. A fine novembre un altro detenuto si era tolto la vita.
Solo la settimana precedente era stato sventato un tentativo di suicidio e una detenuta era stata ricoverata dopo aver ingerito della candeggina per protesta. La causa di quest’ennesimo suicidio è la solita, nota, ricorrente: la mancata risposta alla richiesta dei giorni di liberazione anticipata da parte dei magistrati di sorveglianza (Rosa Liistro, Antonino Mazzi, Arnaldo Rubichi). I giornali fanno sapere che il detenuto aveva promesso alla figlia che avrebbero passato il Natale assieme. I dinieghi dei magistrati di sorveglianza avevano già causato due morti: nel 2014 due prigionieri si erano suicidati dopo l’ennesimo rifiuto della loro richiesta di accesso a domiciliari o misure alternative al carcere. L’ultima protesta contro l’operato dei magistrati di sorveglianza risaliva a metà settembre.
La mattina di sabato 23, diffusasi la notizia dell’ennesima morte e delle cause che l’hanno provocata, 300 detenuti (su circa 350: praticamente tutti, se si escludono il femminile e i “protetti”) si barricano nelle sezioni, appiccano una ventina di incendi e sfasciano mobili, suppellettili, impianti, telecamere. Anche la mensa, la lavanderia, i laboratori vengono danneggiati, mentre davanti ai cancelli delle sezioni si schierano celere e carabinieri, presenti anche all’esterno a impedire l’accesso ai parenti dei detenuti, che quella mattina avrebbero avuto i colloqui. Da dentro si levano grida: “Assassini!”. Un secondino viene ferito e altri sei vengono portati in ospedale per intossicazione. La rivolta coinvolge tutti e tre i piani del carcere, che alla fine risulteranno pesantemente danneggiati, con una cinquantina di celle (cinque bracci su otto) dichiarate inagibili, e dura fino al pomeriggio. Un gruppo di detenuti riesce a sfondare una porta e ad uscire nel cortile, l’intervento degli sbirri blocca quello che poteva essere un tentativo di evasione. Arrivano a Spini il questore e il commissario del governo, e inizia la sfilata dei politici(dai leghisti Fugatti e Bisesti a Ghezzi che nella sua intervista ha ancora l’indecenza di parlare di “carcere modello”, peccato solo per i suicidi, che “cominciano ad essere troppi”, con una “frequenza ben superiore alla media nazionale”). Le rivendicazioni dei detenuti sono quelle che chiunque abbia avuto a che fare con il carcere di Spini conosce a memoria, e sono direttamente collegate con l’ultimo suicidio: tempi più brevi per le richieste al tribunale di sorveglianza e per avere risposta, possibilità di accedere a misure alternative al carcere per chi ha condanne sotto i tre anni (la cosiddetta legge “svuotacarceri”) e ai giorni di liberazione anticipata per buona condotta, istituzione di un presidio sanitario in carcere anche di notte e nei fine settimana. Si, perché anche in questo caso non c’erano medici in carcere al momento del suicidio, si è dovuto attendere l’intervento del 118. Se fossero stati presenti dei medici forse Sabri El Abidi non sarebbe morto.
Ora arrivano le dichiarazioni dei politicanti, i comunicati dei partiti, le visite del garante, le esternazioni del vescovo (cristianamente solidale con i detenuti, ma anche con le guardie, perché no?), le prime pagine dei giornali. Il questore Garramone, il commissario del governo Lombardi e la direttrice del carcere Gioieni si sono dovuti piegare a trattare con i prigionieri e si sono “impegnati”, davanti quelli che quotidianamente mettono dietro le sbarre, a convocare un Comitato per la sicurezza per discutere le rivendicazioni dei detenuti. Un centinaio di prigionieri sono già stati trasferiti in altre carceri (e sono già annunciati altri ottanta trasferimenti), e una trentina sono accusati di lesioni, danneggiamenti, perfino sequestro di persona (una lavoratrice di una cooperativa era rimasta in uno dei locali barricati). Dopo la rivolta i secondini hanno picchiato e sbattuto in isolamento diversi prigionieri. Abituati ad avere sempre il coltello dalla parte del manico, per qualche ora i valorosi uomini della penitenziaria hanno avuto un piccolo ritorno della violenza e della paura che dispensano quotidianamente.
Il segratario regionale del Sindacato Nazionale Autonomo di Polizia Penitenziaria il giorno dopo il suicidio e la rivolta ha la faccia da culo di dichiarare che “i detenuti non sono adeguatamente sanzionati per i propri comportamenti scorretti”. Una bella lezione per chi avesse qualche dubbio sull’umanità dei secondini. Quelli che poche settimane fa hanno rimosso l’orologio dalla sala colloqui di Spini per poter mandare via i parenti prima della fine dell’orario di visita. Successivamente sempre il SINAPPE invocherà il ritorno alle celle chiuse 24 ore su 24 (richiesta costante dei sindacati dei secondini, ogni occasione è buona per tirarla fuori). Da parte sua il sindacato UILPA – Polizia Penitenziaria in una toccante lettera al ministro della giustizia scritta dopo la rivolta delira di “restituire dignità alle condizioni di lavoro della polizia penitenziaria”. Quale dignità possa avere il “mestiere più infame che c’è” lo sanno solo loro. La dignità non la può conoscere certo chi ogni giorno rinchiude, pesta, tortura. Ma a quanto pare agli aguzzini piace dare lezioni sulla dignità, se perfino la direttrice di Spini  Francesca Gioieni ha la sfacciataggine di millantare ai giornali, a pochi giorni dalla morte di Sabri El Abidi e dalla sommossa, il suo “impegno per una detenzione dignitosa e accettabile”. Come si possa “accettare” di vivere rinchiusi, e magari trovarci una qualche dignità, lo sa solo lei. La dignità degli oppressi, ci insegnano i detenuti di Spini, è solo nella rivolta, nella lotta per la libertà.
SOLIDARIETA’ CON I PRIGIONIERI IN LOTTA
FUOCO A TUTTE LE GALERE

Continua a leggere

Mandiamo via Salvini e polizia

 
riceviamo e diffondiamo :

Mercoledì 16 Gennaio Matteo Salvini ha tenuto un comizio elettorale al mercato cittadino di via della Musica a Quartu, in mezzo ad una folla numerosa e protetto dalle sue servizievoli guardie del corpo, rigorosamente in borghese per non farle sembrare tali.

Poco prima del suo arrivo in una ventina abbiamo cercato di avvicinarci al mercato con l’intento di distribuire un volantino e fare degli interventi al megafono per ribadire, almeno a voce, che non tutti accolgono Salvini a braccia aperte, che non ci siamo dimenticati di essere dei terroni pecorari e che non accettiamo la sua propaganda autoritaria e nazionalista. Quando ancora cercavamo di radunarci intorno al mercato la polizia, armata di numerose pattuglie, del reparto antisommossa e della immancabile Digos, ha in fretta e furia chiarito quale sarebbe stato lo spazio per chi voleva contestare Salvini: nessuno, senza se e senza ma. Prendendoci a gruppetti e accerchiandoci ci hanno portato pian piano al Commissariato di Quartu dove siamo stati identificati e tenuti fermi per circa 4 ore, fino a che non si fossero assicurati che il loro Ministro fosse già ben lontano da Cagliari.

Ciò che è successo mercoledì va ben oltre il fatto specifico e dovrebbe essere un campanello d’allarme: per chiunque non è d’accordo con questo governo e cerca di mettergli i bastoni tra le ruote la risposta sarà la repressione, così come sempre più serrati saranno i controlli per tutti coloro cui questo governo ha dichiarato guerra: l’immigrato, l’occupante di case, il parcheggiatore abusivo, il ribelle e così via per tutte quelle forme di irregolarità che non rientrano negli standard di normalità e decoro impostoci.

I poliziotti, orgogliosi di avere un ministro tutto loro, che sfila con la loro divisa e che per loro stanzia aumenti e nuove assunzioni, si sentono sempre più sicuri e protetti.

Non dobbiamo farci intimorire dai muscoli del potere, dobbiamo reagire e lottare per una vita libera dall’oppressione e dalla militarizzazione.

Salvini bairindi, tui e sa giusta puru

nemici e nemiche di ogni autorità

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTI SUL NOSTRO COMPAGNO PASKA

“Confermo quanto detto, ma voglio un medico adeguato per quello che mi è
successo. Quando sono uscito dalla cella, è vero ho spinto l’agente che
era presente sul piano. Poi sceso all’ingresso ho spinto l’altro agente
che mi aspettava e che faceva parte della scorta.

Dichiaro però, che subito dopo, sono stato aggredito da più di dieci agenti, con schiaffi e
pugni; mi hanno buttato a terra e ho ricevuto pugni e schiaffi, calci in
testa, sulla schiena, sull’addome, su gamba sinistra e destra e sulla
mano sinistra. E quando mi sono alzato ho ricevuto degli schiaffi fino a
quando mi hanno ammanettato. Durante il tempo del pestaggio sono stato
offeso e minacciato pesantemente”. Visto quanto emerge dagli atti, e
soprattutto viste le certificazioni sanitarie DA CUI NON RISULTA QUANTO
DICHIARATO DAL DETENUTO, tenuto conto della gravità dell’episodio, il
collegio applica la sanzione di giorni 15 di esclusione dalle attività
in comune.

Questo è quanto ho dichiarato al consiglio disciplinare, avvenuto
venerdì 9 novembre in seguito ai fatti accaduti in carcere prima del
processo dell’8/11.
Ma sarebbe bene ed opportuno raccontare tutto ciò che è accaduto in
questo ultimo mese e mezzo. Il 2 ottobre la mattina parto dal carcere di
Teramo per Lecce, arrivo verso le 16 in carcere; tempo delle lungaggini
burocratiche, riesco a fare una doccia volante ed è già orario di
chiusura. Il giorno dopo, nell’attesa di andare a processo chiedo di
andare all’aria, ma la risposta è no perché “qui sei isolato”. Il motivo
si spiegherà da solo due ore dopo. Poco dopo vado a processo e al
ritorno non mi fanno salire in sezione a prendere le mie cose perché lo
han già fatto le guardie; rimango in matricola e devo prepararmi gli
zaini per l’aereo se voglio andare a processo a Firenze. Così facendo,
quando le compagne e i compagni saranno lì il pomeriggio per fare un
presidio sotto il carcere di Lecce io già sarò in volo per Genova.
A malincuore devo lasciare un po’ di cose giù, tipo
pentole-padelle-libri-cd-opuscoli, perché non posso portare più di due
zaini, quindi prediligo vestiti-lenzuola-coperte-documenti e qualche
libro (più moka e fornello, fondamentali per la carcerazione) 🙂

Quindi il 3 ottobre alle 13 mi muovo da Lecce direzione Brindisi, dove
prenderò ben due aerei (Brindisi-Roma e Roma-Genova), e poi mi muoverò
da Genova per La Spezia in blindato. Alle 21 arrivo a La Spezia e vado a
dormire vestito, non mi porto neanche i vestiti dentro e decido di
prendere il tutto il giorno dopo, perché troppo stanco.
4 ottobre, 8 di mattina: perquisizione in stanza; tra l’altro il 2 sera
a Lecce sotto il materasso trovai una lama artigianale che feci sparire
e meno male, dato che il giorno dopo sono state le guardie a farmi i
sacchi…coincidenze?Comunque, meglio prevenire che curare.
Il 6 ottobre mi fanno salire in sezione, mettendomi in stanza con un
ragazzo con cui all’apparenza potevano esserci problemi sin da subito,
ma in realtà non abbiamo dato soddisfazione alle guardie e ci siamo
adeguati alle esigenze carcerarie.
Il 9 vado a processo, e primi screzi insulti reciproci con la scorta che
ha modi di fare un po’ tamarri e coatti alla guida. Lascio passare. Dal
giorno 10 o 11, non ricordo bene il giorno esatto, problemi per andare
all’aria: le guardie devono avvisare il primo piano prima di lasciarmi
passare perché direttrice e comandante, su suggerimento di “ordini
dall’alto”,ci hanno messo un divieto di incontro a me e un altro
compagno detenuto a La Spezia.
Inizio quasi a non sopportare più la situazione, ma la goccia che fa
traboccare il vaso arriva il giorno 18: vado nuovamente a processo, ed
oltre a dovermi sorbire tra andata e ritorno 300km, ammanettato, la
scorta inizia ad “imitare” i personaggi di Fast & Furious. Appena
entrati a La Spezia, al ritorno dal processo, iniziano ad accendere
sirene, cacciare palette, bruciare semafori, tirare freni a mano,
insultare e minacciare gli automobilisti per passare rischiando
incidenti, fare sgommate…e percorrono un sottopasso a 80 all’ora, e
all’atterraggio, perché di un volo si è trattato, sbatto la testa, mi
cadono gli occhiali e sbatto fortissimo con le manette sul costato, che
ancora mi fa male.
Salgo in sezione molto arrabbiato, il giorno dopo mi faccio visitare ma
non riscontrano nulla logicamente, dico che devo parlare con direttrice
e comandante, e che accelerino le pratiche per l’invio della richiesta
di trasferimento (ufficialmente partita il giorno 23); loro già sanno
benissimo che se dovrò partire da La Spezia per la prossima udienza del
processo non gli renderò vita facile, ma non danno importanza alle mie
parole.

Il 26 ottobre arriva un foglio dal DAP che mi notificano giorno 30 dove
in sostanza mi rifiutano il trasferimento: logicamente risposta già
preconfezionata, senza neanche aver letto l’istanza, dato che un rifiuto
in così pochi giorni è un record! Situazione di nervosismo, insulti
reciproci con le guardie, ed anche se so che forse non servirà a nulla,
dichiaro l’incompatibilità con il corpo di polizia penitenziaria di La
Spezia.
Volevo già iniziare lo sciopero il 31/10 ma aspetto il lunedì 5
novembre, dato che durante le feste non serve a molto, chiedo di parlare
con la direttrice, mi dicono domani mattina ti chiamerà. Mattina dopo
nulla, quindi mi rifiuto di rientrare in cella dalle 12 alle 13 e poi
scendo all’aria, ed anche lì mi fermo rifiutando di risalire. Dopo
mezz’ora (14.30 circa) mi chiamano direttrice e comandante, gli rifaccio
presente tutte le problematiche di andare a processo con la scorta di La
Spezia, dell’incompatibilità con le guardie, che sono a più di 500km dai
familiari e a 150km dal processo, e che sanno benissimo che se non parto
giorno 8 qualcosa accadrà. Loro rispondono che ricevono ed eseguono gli
ordini del DAP, e di assumermi tutte le responsabilità di ciò che farò;
rispondo che sicuramente mi accollerò tutto, ma basta che mi vengano
addosso uno ad uno e non 10 contro 1.
Bene: giorno 8/11 succede quello che ho scritto all’inizio del testo;
dopo avermi ammanettato e continuato a malmenare, chiamano il medico
chiedendogli se ero in grado di andare a processo, e pure lui, impaurito
solo a guardare la situazione, vede i bozzi e i lividi (ma non li
scriverà) e mi chiede “Vuoi andare?”. Ed io dico di sì, anche perché
avevo preparato una dichiarazione da leggere in aula, che avrei a quel
punto modificato aggiungendo che mi avevano pestato in carcere prima del
processo; dichiarazione abbastanza blanda dove volevo rimarcare perché
chiedevo il trasferimento.
In aula, il giudice non mi fa leggere tale scritto affermando che la
sede è inadatta, riesco però a far sapere alle altre e agli altri in
aula che mi hanno pestato i secondini e sono in sciopero della fame da 4
giorni. Mi cacciano così dall’aula ed un secondino zelante, che mi ha
schiaffeggiato fino all’ultimo, mi mette le manette strettissime tanto
che i polsi diventano viola e per poco svengo. Mi portano alle cellette,
e dopo un po’ mi fanno risalire, anche se siamo rimasti solo noi 3
imputati, oltre ad avvocati, giudici e sbirri, e dico agli altri 2 che
vorrei rimanere per far vedere i segni sul corpo all’avvocato e tornare
il più tardi possibile a La Spezia, prevedendo un altro pestaggio al
ritorno. Così non è stato, anche se c’erano 5-6 guardie belle grosse che
mi hanno portato a fare la visita per sciopero della fame. Provo anche a
farmi refertare gli evidenti segni, ma non c’è nulla. Per i due giorni
successivi proverò ancora a farmi refertare ma “non posso scrivere cose
che non si vedono”. Finita la visita mi rimettono alla cella 1 del piano
terra, la stessa dove dormii la prima sera qui a Spezia. Regime chiuso,
le mie cose le avevan già preparate e messe in cella le guardie. Il
giorno dopo, almeno, mi fanno recuperare il resto delle mie cose e mi
fanno il consiglio disciplinare dandomi 15 giorni di isolamento.

Questo è quello che mi ha portato a dare due spinte alle guardie e il
mio vissuto a La Spezia: niente di anormale, le guardie che ti provocano
con fare mestierante e poi ti sfondano di mazzate quando sei a terra con
calci e pugni su testa e schiena, direttrice che copre il pestaggio
grazie alla complicità di medici (su 4 visite con 3 medici diversi, uno
forse la seconda volta che mi ha visto ha scritto le parti che ho
doloranti), e le guardie che ti minacciano pure di denunciarti per
calunnia, con il giudice che non ti fa rilasciare una dichiarazione a
riguardo e ti caccia dall’aula.
Tutto nella norma.E’ per questo che non mi ritrovo nella normalità della
società, che giustifica l’autorità, gli abusi, i soprusi, e li copre. E’
per questo che continuerò lo sciopero della fame finché potrò,
continuando a esigere il trasferimento in altro carcere, visto che se
per De Andrè la stessa aria di un secondino non si può respirare
nell’ora di libertà, io voglio proprio evitare di condividerla sempre
con le guardie che qui mi hanno pestato, con i medici ciechi e complici,
la comandante che giustifica i suoi uomini dicendo che mi invento tutto
e la direttrice che nasconde il marcio sotto un tappeto di falsità.

SEMPRE A TESTA ALTA, PASKA

ps. sciopero della fame: peso iniziale 5/11: 108,4 kg; peso giorno
11/11: 101,8 kg.

nb. scritto giorno 11/11 ed inviato almeno due volte. riscritto il
30/12. DA PUBBLICARE SU INTERNET

CON TUTTO IL DISPREZZO PER LE GUARDIE E LE GALERE,INVIAMO A PASKA UN ENORME ABBRACCIO SOLIDALE!

Per scrivere a Paska :PIERLORETO FALLANCA – CASA CIRCONDARIALE LA SPEZIA

piazza Falcone e Borsellino n. 1, 19125 LA SPEZIA

Di Maio, bairindi tui puru!

Riceviamo e pubblichiamo:

Sabato 12 Gennaio il vice premier Luigi Di Maio ha tenuto a Cagliari, in piazza San Cosimo, un comizio in vista delle elezioni suppletive di domenica 20 Gennaio e le Regionali del 24 Febbraio. La notte prima qualche anonimo ha vergato per terra, proprio davanti a dove è stato montato il palco, una grossa scritta di colore bianco che recitava “Di Maio bairindi tui puru” e diverse altre scritte contro il governo giallo-verde e contro lo Stato. La notizia è stata resa pubblica dalla deputata pentastellata Manuela Corda, la quale ha definito gli autori delle scritte “ignobili delinquenti” e oltre ad aver invitato questi ultimi ad un dibattito democratico ha auspicato la loro individuazione da parte della polizia.

Ma che dibattito ci può essere con chi è complice della morte di centinaia di persone in mezzo al mare? 
Che dibattito ci può essere con chi ci promette una sicurezza fatta di poliziotti e telecamere ad ogni angolo?
Che dibattito ci può essere con chi governa ogni giorno le nostre vite?
Che Cagliari diventi una città sempre più ostile per i politici di ogni colore.
di-maio-bairindi-372x221

IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE

La sera del giovedì 17 Gennaio, un trentenne di origine tunisina entra in un money transfer per spedire del denaro, venti euro, ma che vengono considerati falsi dal gestore che, dopo una discussione, chiama la polizia.

Il tunisino Arafette Arfaoui all’arrivo delle forze dell’ordine da in escandescenze, viene messo a terra ammanettato e gli vengono legati i piedi con una fune per non farlo scalciare, morirà poco dopo per arresto cardiaco.

Non puo’ che riaccendersi il ricordo di quanto successo poco tempo fa a Cagliari quando un ragazzo in stato confusionale si aggirava nel quartiere di Sant’avendrace e che all’arrivo dei carabinieri, allertati dagli abitanti, fuggiva senza successo e moriva dopo un attacco cardiaco tra le braccia delle divise.

Non ci interessano le ragioni per cui una persona spacciasse o no banconote false o o per cui un’altro fuggisse davanti agli sbirri, nè vogliamo premere sulla violenza poliziesca, il loro infame lavoro è già una dimostrazione di violenza di per se e non ha senso dilungarci oltre. L’accento sta nel fatto che le forze dell’ordine non siano certo un sinonimo di sicurezza quanto un pericolo.

La loro fama è ben nota e la loro presenza non puo’ che essere una fonte d’ansia si abbiano o no dei sensi di colpa.

Interpellare la ps per questo o per quello non è una pratica vincente ma al contrario molto pericolosa. La propensione all’infamia ed alla delazione a cui lo Stato cerca di abituarci non sono valori a cui rifarsi ma pratiche ignobili ed a farne le spese in questi casi sono state due persone che per rabbia ,spavento o paura ci hanno rimesso la pelle.

Delegare ai servi dello Stato la risoluzione di un problema gestibilissimo in prima persona serve solo a dar loro sempre piu’ carta bianca nel loro lavoro, assecondare le forze dell’ordine e legittimarne i comportamenti di fronte a chi non è omologato a questa società infame significa rendersi complice della morte di due persone anche se avvenuta per semplice paura. La violenza dello Stato non è solo nei manganelli ma nelle galere, nelle loro limitazioni alle nostre libertà e nella loro gestione dell’ordine pubblico.

Non possiamo continuare ad accettare questo nelle nostre strade, se non vogliamo che diventino le loro strade.

 

Tolta la censura a Madda

Abbiamo saputo solo oggi che il 20 dicembre dopo moltissimo tempo è stata finalmente tolta la censura epistolare a Madda, rimane una limitazione sul materiale di “editoria non ufficiale”…ciò che le sarà inviato sarà controllato dall’autorità competente che deciderà se farlo passare o meno.

Vabbè almeno è un passo.

Per chi volesse scriverle:

MADDALENA CALORE, C/O C.C. “E. SCALAS”, II STRADA OVEST Z.I. MACCHIAREDDU, 09010 UTA (CA)

Sorveglianza dimezzata

Da macerie.org:
“Arriva oggi, a quasi un mese dall’udienza, la risposta della Corte di Appello di Torino che doveva pronunciarsi sulla Sorveglianza Speciale di Antonio. La commissione di giudici ha accolto in parte l’appello della difesa, riducendo la durata della misura da due anni a uno. Restano invece invariati i precetti cui il nostro compagno deve sottostare e che lo costringono, da agosto, a una vita sorvegliata.

 

E se da una parte i giudici motivano la riduzione asserendo che non ci sono nel curriculum penale di Antonio fatti di particolare gravità, dall’altra sottolineano che i suddetti fatti non possono di certo essere considerati occasionali ma frutto di una scelta ben determinata, dato che Antonio, e questo lo abbiamo gridato forte in corteo anche il 15 dicembre, in città ha sempre lottato accumulando così, denuncia dopo denuncia, misura dopo misura, un bel po’ di grane con il Tribunale. Ci sembra importante ricordarlo ora che la Procura ha richiesto altre Sorveglianze per motivazioni politiche. L’utilizzo di questo strumento repressivo si sta affinando sempre più grazie al lavoro di pm particolarmente dediti, facendo di Torino un caso eccezionale nel panorama italiano. E sapendo bene che ciò che la controparte affina e sperimenta su pochi prima o poi diventa arma di repressione generalizzata, l’unica scelta possibile è quella di schierarsi al fianco dei compagni e delle compagne colpiti dalla Sorveglianza per ribadire che di fronte allo Stato saremo sempre socialmente pericolosi.”

Da parte nostra un abbraccio fortissimo a Antonio

Vecchie vendette, stesse galere

Mentre la politica italiana si bea dell’arresto di Battisti, membro dei PAC, dopo la sua estradizione dalla Bolivia, non ci resta che fare delle riflessioni.

In un momento in cui le politiche sulla sicurezza si fanno sempre piu’ acute, non è così strana la voglia di vendetta che unisce politici ed istituzioni nel voler rincorrere per anni un esponente della lotta armata e farne un simbolo. Le dichiarazioni di Salvini circa questa fantomatica vittoria della giustizia sono lo specchio della pochezza delle politiche di governo. Parlare di “occasione importante per ricompattare il governo” lascia pochi dubbi circa la caccia alle streghe che si è scatenata e del perchè un accanimento tale come quello contro Battisti abbia un valore puramente simbolico. Immolare la libertà di una persona diventa così una merce di scambio con il consenso dell’opinione pubblica.

L’ergastolo ostativo a cui Battisti, a quanto pare sarà sottoposto, non ci puo’ che far riflettere sull’utilizzo del carcere come strumento non certo rieducativo, come i cultori delle galere vorrebbero farci credere, ma come mezzo di terrore e tortura contro chi non segue l’ordine sociale imposto.

I regimi di alta sorveglianza, i 41-bis  ed i regimi punitivi sono mezzi di tortura legalizzati mirati ad annullare le volontà degli individui ed a dare alla cosiddetta società civile una sensazione di giustizia e vendetta per soddisfare i pruriti legalitari sempre piu’ frequenti.

Ma lo Stato è molto bravo a “dimenticare” il suo utilizzo della tortura durante gli anni di piombo ed a “dimenticare” quante e quanti sono caduti sotto i proiettili e le manganellate. La criminalizzazione del dissenso è un’arma comoda per il potere.

Nella situazione attuale delle carceri sta la vera faccia di quel potere.

Sovraffollamento, condizioni pessime in ogni aspetto del quotidiano, sanità fallace e somministrazione di psicofarmaci come caramelle sono fattori indicativi.

Nelle carceri sarde la situazione non è certo diversa. L’utilizzo della Sardegna come luogo ideale di detenzione, sia per conformazione geografica, sia per scarsità di popolazione è ormai un dato di fatto. L’utilizzo di un’isola come di una novella Alcatraz è un progetto molto chiaro e le lodi circa le nuove carceri costruite servono solo ad indorare un’amara pillola.

Già tempo fa parlammo delle condizioni nel carcere di Uta, sostituto del carcere cittadino di Buon cammino : i vermi nel cibo, il ritardo nell’accensione dei riscaldamenti, il trattamento inumano durante l’alluvione e non ultima una sanità fatiscente in cui le cure sono centellinate ed a discrezione della direzione.

Altre voci si aggiungono a queste situazioni già gravi. A quanto pare la frutta arriva ai prigionieri con degli evidenti morsi di roditori, l’acqua mostra un colore giallognolo e le guardie si dimostrano sempre piu’ puntigliose nell’ingresso degli alimenti per i detenuti e nel rapporto con i parenti e gli amici in visita ai loro cari.

La situazione discrezionale in cui i secondini esercitano il loro potere è una questione di cui abbiamo parlato tanto nel tempo. Le loro richieste di ampliamento dell’organico e di maggiori sovvenzioni rappresentano solo la loro avidità e non certo una volontà di migliorare il sistema carcere. Non saranno certo i loro vanti circa falsi salvataggi di detenuti suicidi a far dimenticare la crudeltà del loro lavoro.

A noi non resta che riflettere su come minare alle basi il sistema carcere, accettando il fatto che delle galere non debbano restare che macerie, senza se e senza ma.

Fuoco alle galere

 

 

Immagine

Aperitivo benefit per le iniziative contro il fascio-leghismo

Sabato 12 gennaio alle 18 in Piazza San Domenico a Cagliari: aperitivo in sostegno alle lotte contro le politiche securitarie, razziste e fasciste del governo Lega.

unnamed