Archivi del mese: dicembre 2017

Fuoco ai complici della guerra, attaccato mezzo della Vitrociset

Un lampo di luce durante le solite infauste feste natalizie, pubblichiamo una notizia giuntaci da mail anonima:

CAGLIARI COLPITO MEZZO VITROCISET FUOCO AI COMPLICI DELLA GUERRA.

 

Bruciata autogrù dei F.lli Rubino

In ritardo e solo grazie all’imbeccata di un lettore riportiamo la notizia, apparsa sull’Unione Sarda il 9 dicembre, di un incendio doloso a una delle autogrù di Rubino, una delle tante ditte che ha appalti con l’esercito. L’attacco incendiario risale all’inizio dell’autunno (30 settembre), queste le frasi dell’articolo:

“…ecco arrivare il terzo blitz, in questo caso nell’azienda “RubinoGru sas”, a Truncu Is Follas ad Assemini. L’incendio aveva aggredito uno dei grossi mezzi della ditta, andato praticamente distrutto. Gli altri veicoli pesanti della stessa azienda erano stati spostati prima che fossero divorati dal fuoco. I danni secondo le stime di allora superavano i diecimila euro.   …Dalla sede, dopo aver presentato denuncia ai carabinieri avevano detto. “Aspettiamo fiduciosi l’esito delle indagini”.”

L’articolo si completava con l’elenco di altri attacchi analoghi accaduti negli ultimi mesi nel sud Sardegna sempre contro autogrù, con un danno complessivo di diversi milioni di euro di danni.

L’attacco stando alle fonti giornalistiche non è mai stato spiegato, rivendicato o ricondotto verso alcuna matrice (la procuratrice Pelagatti ha fatto un lieve riferimento allo stampo mafioso di alcuni metodi). L’articolo dal quale abbiamo tratto la notizia parlava solo della stranezza di tutti questi attacchi, definendoli misteriosi.

Queste le immagini:

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L’Avvoltoio, quando il teatro diventa…

“L’Avvoltoio, quando il teatro diventa inchiesta”, titolo di un articolo della Nuova Sardegna, 30 Novembre 2017.

“Il mio teatro nasce per rompere il silenzio”, dichiara Anna Rita Signore (curatrice di testo e indagine dello spettacolo) sempre alla Nuova Sardegna, 3 Dicembre 2017.

Dalla locandina dello spettacolo: «Un ringraziamento particolare al Procuratore Domenico Fiordalisi e al suo lavoro ostinato, difficile, scomodo. Senza la sua inchiesta sui veleni del Poligono, L’Avvoltoio non sarebbe nato.»

Forse sarebbe bastato ascoltare il conato provocato dalla lettura di questo ringraziamento verso Fiordalisi, per capire che da questo spettacolo non ci si poteva aspettare molto, ma invece sono andato a vederlo e vi scriverò cosa ne penso.

Molti forse troppi, degli spettatori che in queste settimane hanno affollato il Teatro Massimo hanno invece probabilmente letto i titoli, sopra riportati, dei quotidiani sardi, che non potevano far altro che apprezzare la retorica giustizialista di cui L’Avvoltoio trasuda già dalla locandina. E così replica dopo replica L’avvoltoio è stato un successone. Non capisco molto di teatro quindi non starò qui a giudicare la bravura o meno degli attori, degli stratagemmi narrativi e scenici (tra l’altro molto apprezzabili), cercherò invece di spiegarvi perché a metà dello spettacolo ho pensato seriamente di alzarmi e tornare a casa.

Palesemente nelle intenzioni del regista e della sceneggiatrice, c’era la volontà di fornire alla platea il maggior numero possibile di informazioni riguardanti la sindrome di Quirra, affinché insieme alle emozioni provocate dalla recitazione degli attori gli spettatori potessero capire quanto grave sia la situazione, e sappiamo bene che lo è. La parte agghiacciante ha inizio quando appare sul palco la figura del procuratore, che viene prima incensato come una specie di santo giunto in Sardegna camminando sul Tirreno, del quale vengono elencate le nobili questioni di cui si è occupato in carriera e ovviamente dimenticando le pellacce della gente su cui ha fatto carriera (che probabilmente ora marciscono nelle patrie galere). Da qui in poi (tranne un’unica frase, dove padre e figlio nominano la guerra e la complicità di chi vive affianco a un poligono e volta la faccia) lo spettacolo si occupa solo di far vedere quanto siano cattivelli e furbetti i militari a nascondere e inquinare le prove delle loro malefatte all’interno del PISQ, come siano abili a trovare stratagemmi burocratici per salvarsi dal  superprocuratore che più di Batman cerca la giustizia, addirittura vivendo in caserma, lontano dalla famiglia e protetto dagli sbirri, assai preoccupati da una scritta apparsa su un ponte…

La risultante è che Fiordalisi è il nostro salvatore, la nostra unica speranza, che se gli otto alti ufficiali oggi sotto processo verranno condannati noi saremo a posto. Della Sindrome, della guerra che ogni giorno viene preparata a Quirra (e negli altri poligoni sardi e non), delle bonifiche, dell’etica, dell’antimilitarismo a noi non ce ne deve fregare niente, l’importante è che il nostro superprocuratore vinca la sua battaglia contro otto alti ufficiali, sacrificati all’altare della patria dai loro superiori, per dimostrare che ogni tanto anche l’esercito può essere giudicato, specialmente se la fa troppo sporca come al PISQ.

Poi finisce lo spettacolo, e ti chiedi solo io avrò pensato che il problema più grande non sono questi cavolo di otto alti ufficiali e questa cavolo di inchiesta, ma il fatto che il PISQ esista e ogni anno vada potenziandosi? Che le guerre sempre più spesso partono dalla Sardegna?

Purtroppo la risposta è si, lo scroscio degli applausi, l’entusiasmo delle urla di persone che vanno al Teatro Massimo per lavarsi la coscienza era pari al mio disappunto, e più urli più ti sei ripulito. Alcuni addirittura si commuovono, gli attori devono tornare sul palco tre volte perché gli applausi non cessano, e io per poco non cado in una sincope.

Forse avrei dovuto capire che non era una buona idea andare a vedere questo spettacolo dalla frase della locandina, e invece ho fatto bene, perché ancora una volta ho visto come l’opinione e l’apparenza siano le uniche cose che veramente contano nella testa di troppe persone.

Concludo pensando che sarebbe bello, darebbe un’altra forma al progetto di questo spettacolo, se regista, sceneggiatrice e attori avessero voglia di portarlo nelle scuole degli undici paesi intorno al PISQ, per vedere e vivere le reazioni, per vedere se gli applausi si trasformano in fischi o no, per capire se veramente vogliono che il loro teatro “rompa il silenzio”.

 

 

 

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I piloti tedeschi non collaborano con lo Stato. NESSUN RIMPATRIO IN AFGHANISTAN!

Non convince neanche i piloti tedeschi la decisione della Germania di considerare l’Afghanistan un ‘paese sicuro’ per costringere i richiedenti asilo a tornare in patria. Ben 222 si sono rifiutati tra gennaio e settembre di quest’anno di pilotare aerei diretti nel Paese martoriato dai talebani per riportare a casa migranti afgani.

L’ipocrisia del governo tedesco sull’Afghanistan si evince consultando semplicemente il sito del ministero degli Esteri, dove ai tedeschi viene caldamente sconsigliato di viaggiare in certe aree del Paese a causa della forte presenza dei talebani e dei fondamentalisti dell’Isis.

La resistenza dei piloti è emersa dalla risposta del governo a un’interrogazione parlamentare della Linke. La stragrande maggioranza dei voli per Kabul cancellati doveva partire da Francoforte (140), e quasi un terzo (85) erano voli Lufthansa o della controllata Eurowings.

Da mesi i giornali tedeschi riportano anche notizie di un’ondata di solidarietà che starebbe spingendo moltissimi medici ad aiutare i profughi attestando loro l’impossibilità di viaggiare per malattie varie. (Da Repubblica.it)

Una volta tanto si sente una buona notizia. Purtroppo anche dall’Italia partono ogni anno centinaia di voli civili con a bordo dei richiedenti asilo che vengono rimpatriati, ma nessun pilota si rifiuta di portare a termine la sua sporca complicità. Su tutti vale la pena ricordare la principale responsabile degli ultimi anni in materia di rimpatri, è MISTRAL AIR, la compagnia delle Poste Italiane che ha vinto l’appalto coni il ministero dell’interno e si è prestata a questo squallido lavoro. Questo accordo però non è passato inosservato e infatti sono decine e decine gli uffici postali colpiti in tutto lo stato italiano. Mazzettate sulle vetrate, imbrattamenti, volantinaggi, sabotaggi ai bancomat, incendi dei mezzi si sono susseguiti con notevole frequenza,  inducendo le poste a ridimensionare la natura dell’accordo con il governo. Non sappiamo con precisione assoluta come siano gli accordi in questo momento, purtroppo quello che sappiamo è che i rimpatri non si fermano mai, tocca a noi provare a renderli il più difficile possibile.

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Una cartolina ricordo dell’inverno scorso, 7 Fiat Panda delle Poste Italiane andate in fumo..

Tuerredda, Ovidio e quella resistenza che non c’è più

L’Unione di oggi riporta nelle prima pagine la storia di Ovidio Marras, pastore di 85 anni, che da almeno 10 resiste contro i colossi dell’imprenditoria turistica, e non ha alcuna voglia di arrendersi, neanche di fronte a 700 milioni…

La storia è questa, Ovidio vive in una casa nelle campagne fra Tuerredda e Capo Malfatano, sud più a sud di tutti in Sardegna, spiagge bellissime, mare cristallino. Da una vita coltiva la terra, raccoglie le olive e si bea del paradiso in cui vive. Nel 2009 arriva una cordata di imprenditori (Benetton, Marcegaglia, Caltagirone, solo per citarne alcuni) con le autorizzazioni per costruire l’ennesimo gigantesco resort a due passi dal mare (dovevano essere 150 mila metri cubi di cemento e 518 stanze), in uno degli ultimi posti di “selvaggia bellezza” lasciati liberi da questa mondezza capitalista. Iniziano i lavori, vengono recintati i terreni, espiantati gli ulivi secolari, distrutti i sentieri. Una sera Ovidio torna a casa e non riconosce più la strada che lo ha accompagnato per tutta la vita, deviata, distrutta, ci sono cancelli, lucchetti, e nessuno gli ha chiesto niente o gli ha dato le chiavi, per aprire quei cancelli che portano al mare, che gli permettono di muoversi nelle campagne che da sempre attraversa, quando vuole, con chi vuole.

Giustamente Ovidio s’incazza e decide di intentare una causa in tribunale contro la cordata. Ovviamente si trova tutti contro, dal sindaco di Teulada ai soliti tzeraccusu che non desiderano altro che un posto di lavoro da fame, anche a costo di distruggere la terra in cui sono nati. Il processo andrà bene, anche la cassazione darà ragione a Ovidio, e torto alla cordata che deve abbattere una parte degli edifici già costruiti, e ad oggi ha ancora i lavori bloccati perché nell’iter processuale sono stati scoperti dei vizi nella formulazione della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA).

La storia è ovviamente bella, e una volta tanto a lieto fine, ma il retrogusto è dei più amari.

Innanzitutto ci sarebbe da chiedersi perchè Ovidio è l’unico ad aver resistito? Cosa succederà quando Ovidio non ci sarà più? Perchè di tutta la comunità Teuladina (già depredata di coste dai militari) nessuno si sia messo fianco a fianco a quest’uomo nella sua lotta, costringendolo ai banchi dei tribunali, che si ti possono dar ragione, ma sono lo strumento di classe per eccellenza?

Purtroppo il tessuto sociale è distrutto, l’attaccamento al territori è pari a zero, specialmente nel sud Sardegna. A Teulada e Sant’Anna Arresi purtroppo sono veramente tutti o quasi arresi. E’ incredibile vedere intere comunità piegate al volere dei militari, che li avvelenano, che li rendono complici delle stragi di mezzo mondo, e che si burlano di loro. Tutto in cambio dei soliti quattro miseri stipendi, questi paesi si sono spopolati di quasi il 50% negli ultimi 40 – 50 anni. E ora invece che stringersi intorno a un uomo come Ovidio che difende la sua terra perché “i soldi volano e la terra resta” se ne stanno al bar a bere birra fresca e ad aspettare il prossimo giovedì di caccia, o il prossimo modello di smartphone.

In quarant’anni si è perso troppo dei caratteri più belli delle persone che abitano questa terra in mezzo al mediterraneo, l’attaccamento alle consuetudini, la solidarietà, la condivisione e quella costante resistenziale che ci ha salvato dal far diventare tutto una grande Costa Smeralda. Se però ci dimentichiamo di queste cose ancora per molto la finiremo come una grande di isola di accumulazione capitalista, dove fioriscono raffinerie, resort, supercarceri, centri commerciali, discariche, quartieri gentrificati, depositi di scorie nucleari, basi militari e chi più ne ha più ne metta.

Le parole che Ovidio Marras ha detto all’ultima giornalista che è andata a conoscerlo dovremo stamparcele bene in testa, e sperare che Ovidio resista ancora a lungo perché l’aria che tira non è buona…

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