Archivi del mese: ottobre 2018

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BENEFIT CASSA ANTIREPRESSIONE SARDA – 24 NOVEMBRE 2018

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Carcere di Uta – Cagliari, un altro saluto

Il 27 Ottobre un gruppo di solidali ha portato sotto le mura del carcere di Uta un pò di rumore ed un saluto solidale.

Dal carcere di Uta arrivano ancora notizie poco incoraggianti : La settimana scorsa ai detenuti è stata servita carne con contorno di vermi ed i detenuti hanno deciso di iniziare uno sciopero del carrello.

Ormai da alcuni giorni sui quotidiani locali è riportata la notizia dell’ennesimo tentativo di suicidio tra le mura del carcere, ovviamente i secondini riportano la notizia solo per il gesto “eroico” della guardia che ha salvato il detenuto e rimarcano la necessità di nuovo personale e migliori condizioni di lavoro.

Altre indiscrezioni ci rimandano ai giorni del diluvio in cui il carcere si è trovato in parte sott’acqua. Ai detenuti sarebbe stato proibito di prendere delle scope per pulirsi le celle dal fango mentre le guardie stavano al riparo. Alcune celle sarebbero state evacuate ed i danni sarebbero ben maggiori di quanto riportato sui giornali.

Queste notizie sono solo altre note dolenti della vita carceraria nella galera di Uta. Siamo stanchi di sentire i secondini fare le vittime per le condizioni di lavoro mentre i detenuti patiscono il bello e cattivo tempo della direzione carceraria. Servire carne marcia è sintomatico di come siano considerati i prigionieri e di come il carcere di Uta tanto vantato ai tempi della sua apertura sia solo una trappola circondata da aria maleodorante e non idonea a sostenere le condizioni climatiche degli ultimi tempi.

I secondini che fanno sempre gli agnelli sacrificali di un sistema che li avrebbe dimenticati dovrebbero cucirsi la bocca ed avere il buon senso di tacere di fronte alla tortura legale delle galere, di cui loro sono tra gli artefici.

Gli ultimi dati sul sovraffollamento parlano chiaro, sono migliaia gli esuberi nelle carceri italiane ed uno Stato sempre piu’ repressivo non farà altro che peggiorare la situazione.

Per portare un momento diverso fuori dalle mura della galera e per dare sostegno alle proteste dei detenuti un gruppo di persone ha scoppiato qualche botto ed acceso delle torce, urlando la propria solidarietà e l’odio per le guardie. I detenuti hanno risposto con grida, battiture ed un invito “APRITECI IL CANCELLO!!!”.

Nella stessa sera è comparso, su un ponte, uno striscione : “VERMI NELLA CARNE… MA NON BASTAVANO LE GUARDIE?! – SOLIDARIETA’ CON I DETENUTI”

Fuoco alle galere , tutti libere!

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Antimilitarismo, qualche novità

Se anche l’autunno non sembra essere arrivato per le temperature estive che avvolgono la Sardegna, l’attività militare invece ha ripreso a girare a pieno regime.

La settimana scorsa un’importante esercitazione è stata svolta da vari corpi di militari nei cieli di Ales, l’obiettivo era la simulazione di recuperi di civili da contesti di alta insicurezza causata da insorgenze improvvise e violente. La consueta MareAperto svolge le sue operazioni nel quadrante meridionale del mare sardo e anche nei poligoni a terra si spara quasi ogni giorno, insomma se anche un pò più celata rispetto a qualche anno fa’, l’attività addestrativa non si ferma mai.

In mezzo a questo il Cocer (organismo di rappresentanza dei militari) richiede che la spiaggia di porto Tramatzu (Teulada), da sessant’anni in uso ai militari, non torni al libero utilizzo di sardi e turisti, così come previsto da un accordo tra il ministero della Difesa e la regione Sardegna. Il rappresentate del Cocer dichiara: “la cessione della spiaggia avrebbe riflessi sul benessere del personale dell’esercito, creando un diffuso sentimento di disagio”. Il tutto sarebbe collegato al fatto che questo sarebbe uno dei segnali della volontà istituzionale di un lento smantellamento del poligono sulcitano. L’invito rivolto a tutti e quindi di andare il più possibile al mare a Porto Tramatzu…

Evidentemente i militari non si sentono rassicurati da avere dalla loro parte i dieci militanti sardi dei Fratelli d’Italia, che due giorni fa hanno fatto un presidio fuori dalla base di Teulada per sollecitare i lavori per il sistema di addestramento con tecnologie avanzate e rispettose dell’ambiente.

Dall’altra parte il fronte dell’antimilitarismo non vive sicuramente uno dei suoi momenti migliori, ma ieri mattina qualcuno si è divertito a contestare i militari dell’aeronautica che davano “istruzioni” ai ragazzi di un istituto superiore di Cagliari. Durante la contestazione gli aviatori e il preside non hanno potuto far altro che chiamare gli sbirri, ma constatare che quando questi sono arrivati gli antimilitaristi erano spariti e rimanevano solo i loro adesivi sui mezzi dell’esercito.

Un segnale di questi tempi strani e brutti è che dai giornali pare che gli sbirri siano riusciti a identificare alcuni dei manifestanti attraverso i video fatti dai ragazzi affacciati alle finestre. Piccoli sbirri crescono intorno a noi…

E’ uscito il numero 2 di NurKuntra

Dall’indice:

  • De sas galeras ne ‘eten sos baratros
  • complici e solidali
  • sabato 15 settembre la digos di Nuoro
  • la peste e i maiali
  • su porchittu orgolesu
  • lotta per la casa
  • storie di classe e di razzismo
  • il bracconaggio in Sardegna
  • eterosessualità è potere
  • interferometri e potere
  • la medicina popolare in Sardegna
  • c’era una volta una nazione
  • il singhiozzo
  • lezittima difesa

Per contatti e copie: nurkuntra@inventati.org

una copia 3.50 € + 1,30 € di spese di spedizione

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abbonamento annuale a 4 numeri 20 € incluse le spese di spedizione

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intestata a Loi Francesca

Per copie a Cagliari e dintorni potete scrivere alla mail di nobordersard, ci occuperemo della distribuzione in zona.

Cagliari – “Benetton complici della strage di stato di ponte Morandi”

Dai media online apprendiamo che stanotte sono state prese di mira le vetrate di un negozio Benetton nel centro di Cagliari, più precisamente in via Dante.

Sul posto è anche stata lasciata la scritta: “Benetton complici della strage di stato di ponte Morandi”. Pare però non essere l’unico, anche sulle vetrate del mega negozio di via Manno sono tuttora visibili grandi macchie rosse di vernice.

Perché vengono colpiti dei negozi Benetton e viene fatta una scritta sul Ponte Morandi? Proviamo a dare una risposta anche se non bisogna essere dei geni per intuire quali siano le cause che hanno spinto qualcuno a compiere questa azione. Dietro il marketing tanto apprezzato dai radicalchic di sinistra, che già nelle schede telefoniche degli anni ’90 proponeva un immaginario antirazzista e contro l’omofobia, si nasconde la vocazione ipercapitalista della famiglia Benetton, che non fa sconti a nessuno pur di portare a casa pagnotte d’oro massiccio. Ricordiamo le stragi del popolo mapuche perpetrate a difesa dei 900.00 ettari di territorio argentino acquistati dai Benetton nel ’91, fino ad arrivare a Atlantia  (già Autostrade S.p.A.) una società per azioni italiana, costituita nel 2002 e presente nel settore delle infrastrutture autostradali e aeroportuali, con 5.000 chilometri di autostrade a pedaggio in Italia, Brasile, Cile, India, Polonia e la gestione degli aeroporti di Fiumicino e Ciampino in Italia e dei tre aeroporti francesi di Nizza, di Cannes e di Saint-Tropez. Cioè una delle responsabili del crollo del Ponte Morandi. Solo per farsi un’idea, il fatturato del 2017 di Atlantia è stato di circa 6 miliardi di euro.

Per un approfondimento migliore:

https://nobordersard.wordpress.com/2018/09/06/ponte-morandi-strage-di-stato/#more-5175

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Sul CPR di Macomer

Pubblichiamo un contributo ideato in collaborazione con hurriya.noblogs.org e altri compagni che lottano contro le frontiere:

Macomer è un comune di circa 10.000 abitanti, situato nel centro Sardegna, alle pendici della catena del Marghine, di cui è anche il centro principale.

Macomer ospita il 5° reggimento del genio guastatori e il comando della 45° brigata fanteria Arborea: questi due ingombranti ospiti ne fanno una succursale della Brigata Sassari, la storica brigata dell’esercito italiano, macchiatasi di incredibili massacri in tutte le guerre del ‘900 e ancora oggi presente su tutti i fronti di guerra aperti.

Una presenza così cospicua di militari e delle loro famiglie rende Macomer un paese tendenzialmente ubbidiente e allineato, probabilmente anche questo fattore ha inciso nella scelta dell’apertura del CPR.

Il CPR, di cui in questo momento i lavori sono in corso e in fase di ultimazione (prevista per dicembre), sorgerà nell’edifico del vecchio carcere di Bonu Trau, un “piccolo” carcere chiuso cinque anni fa quando il

nuovo piano carceri portò all’apertura nella sola Sardegna di quattro nuove mega strutture, dislocate lungo i quattro punti cardinali.

Ex carcere di Macomer

Facciata del Cpr di Macomer.

Il CPR dovrebbe essere in grado di “ospitare” inizialmente 50 migranti da rimpatriare, ma il progetto prevede un raddoppio della capienza, in tempi non ancora chiari. I migranti potranno essere reclusi per un massimo di 12 mesi, più un’eventuale proroga di 15 giorni, se questa dovesse rendersi indispensabile per completare l’operazione di rimpatrio.

La comunità macomerese ha mostrato la sua contrarietà solo attraverso le parole di vari politicanti che hanno utilizzato la vicenda del CPR per farsi campagna elettorale o per criticare l’opposta parte politica. Il primo cittadino di Macomer, Antonio Onorato Succu, ha dichiarato, poco dopo la firma del progetto di costruzione: “Abbiamo posto condizioni accolte dall’alto rappresentante del ministero; ci ha dato rassicurazioni sul fatto che il CPR sarà una struttura di detenzione da cui gli ospiti non potranno uscire. Questo mi consente di tranquillizzare i cittadini sul rischio di disordine sociale e questo è sufficiente per andare avanti con il progetto.”

L’apertura del CPR viene criticata in quanto danno d’immagine a un territorio in difficoltà come il Marghine, che a detta di alcuni politici “avrebbe bisogno di ben altri investimenti da parte dello stato”, e, appunto, per un presunto pericolo sicurezza derivante dalla detenzione di 50 migranti.

Per sostenere queste tesi contrarie al CPR, e andare contro la maggioranza del consiglio comunale, è anche nato un comitato “No CPR”, formato da Destra sociale Sardegna, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Movimento Cristiano Forza Popolare, Riformatori e Movimento Zona Franca.

L’unico caso che si possa rergistrare di critica radicale all’apertura del centro sono delle scritte apparse nei pressi del cantiere la scorsa estate.

Viste queste preoccupazioni dei macomeresi per la presenza del CPR in città, l’ex ministro dell’interno Minniti, avendo anche visitato il centro nel gennaio 2018, ha pensato di destinare un bonus aggiuntivo di fondi per la sicurezza del territorio al comune di Macomer, 50.000 euro sono stati spesi per potenziare il sistema di video sorveglianza nelle strade dei dintorni del CPR, e per evitare possibili fughe dei prigionieri è stato aggiunto al progetto “un doppio perimetro di recinzione con vigilanza h24 delle forze dell’ordine e un nucleo di pronto intervento che stanzierà tra un perimetro e l’altro”.

PROSPETTIVE DI LOTTA:

Partendo dal presupposto che uno dei momenti migliori per intervenire è praticamente sfumato, e cioè la fase dei lavori prima dell’apertura, va detto che non è sfumato per dimenticanza o lassismo, ma per oggettive difficoltà nel proporre delle pratiche. Bisognerebbe saper immaginare un intervento diverso, che tenga però conto delle difficoltà che il territorio impone, sopra brevemente descritte.

La Sardegna, rispetto alle altre regioni dello Stato italiano, ricopre su tanti aspetti un gioco a parte, per la questione della detenzione dei migranti in particolare.

Questo perchè in quanto isola non è altro che un’enorme prigione a cielo aperto, da cui è molto difficile andare via se si è senza documenti o agganci: passare il Tirreno non è come passare da un valico di montagna o da altri tipi di confine.

Le esperienze precedenti, degli allora CPT e CIE, ci hanno messo di fronte a difficoltà raramente superate. La vecchia struttura, ora abbandonata perchè distrutta nell’ultima grande rivolta dei prigionieri che le diedero fuoco, era addirittura all’interno di un territorio militare, quindi in una zona non avvicinabile neanche con un corteo o un presidio. Però almeno si trovava nei pressi di Cagliari.

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Tra i rari contatti che abbiamo avuto con persone recluse, o che lo erano state, abbiamo sempre constatato la loro volontà di lasciare la Sardegna il prima possibile, ciò ha dato luogo all’impossibilità di intessere relazioni durature.

Inoltre vi è anche da specificare il problema che l’arrivo dei migranti sulle coste sarde è per noi compagni un fenomeno del tutto imprevedibile e “incontrollabile”, nel senso che tutte le notizie che abbiamo sugli sbarchi sono sempre di seconda mano, o lette dai giornali o raccontateci da qualcuno che per vari motivi è informato sulla questione.

In passato, trovandosi il CIE nei pressi dell’aeroporto civile di Cagliari, avevamo trovato una certa efficacia nell’andare all’aeroporto a fare “rumore” durante le rivolte all’interno del CIE o ancora meglio durante la chiusura delle piste (e quindi lo stop a atterraggi e decolli) immediatamente dopo le fughe più o meno di massa.

Furono fatte anche iniziative contro le ditte che traevano guadagno in vari modi dalla gestione del CIE.

Tutto questo ora sembra piuttosto lontano. Le ditte che portano avanti i lavori, le gare d’appalto del CPR e la gestione sono in questo momento notizie a noi oscure (e tenute ben nascoste dalle isitituzioni), la distanza geografica (tra Cagliari e Macomer ci sono circa 150 km) non aiuta, e il disinteresse da parte di persone del posto pure.

In Sardegna il fenomeno complessivo dell’accoglienza è un grande affare: “ci sono 17 SPRAR per un totale di 400 posti, di cui 300 occupati, distribuiti in modo più o meno uniforme in tutta l’isola, due sono per minori. A questi si aggiungono 4146 richiedenti protezioni internazionali distribuiti in 143 Centri di accoglienza straordinaria (CAS). Tutto questo produce un coinvolgimento di 1200 tra psicologi, mediatori, assistenti sociali e amministrativi. A questo si sommano i circa 70 milioni di euro annui necessari a reggere tutto il sistema dell’accoglienza sardo, ridistribuiti fra le aziende coinvolte” (Nc’At Murigu, numero 1).

Trovandoci nella condizione di non saper bene cosa proporre, e di voler evitare di impostare lotte che troppo facilmente scivolino sull’assistenzialismo, da tempo crediamo che per noi il contributo migliore da dare alle lotte contro le frontiere e “la gestione dei flussi migratori”, sia mettere i bastoni fra le ruote all’organizzazione della guerra che ogni giorno viene preparata nelle enormi basi militari che la Sardegna ospita.

Questo non vuol dire disinteressarsi alla questione CPR (che continueremo a seguire e su cui interverremo se dovessimo trovare il giusto pertugio), ma fare un onesto esame del contesto in cui viviamo e delle possibilità che possiamo darci.

Alcuni compagni sardi contro le frontiere

ottobre 2018

 

Sullo sgombero di Chez Jesus.

Pubblichiamo il comunicato sullo sgombero del rifugio occupato e autogestito Chez Jesus, a Claviere.

Uno spazio che ha dato tanto in questi 7 mesi di occupazione, che ha saputo mettere in discussione la frontiera e il suo mondo, attraverso pratiche diverse; da cortei, a presidi, a campeggi (all’ultimo dei quali erano presenti compagni da tutta Italia e anche Sardegna), all’importantissimo momento di attraversamento del confine con chi, nella disperazione e nella ricerca di una vita migliore, cerca di raggiungere la Francia. Una realtà che si opponeva apertamente alla violenza dello Stato francese, della Paf soprattutto, e dello Stato Italiano sulla frontiera.

Ai compagni e compagne, a tutte le persone inguaiate nello sgombero va la nostra incondizionata solidarietà. Non saranno denunce, sgomberi e repressione a fermarci.

SULLO SGOMBERO DI CHEZ JESUS.

Hanno sgomberato Chez Jesus.
14 camionette, verie macchine di polizia e carabinieri, il solito gregge numeroso di digossini impettiti. Sono arrivati per le 7.40 di mercoledì mattina. Hanno sfondato la porta con un ariete e un martello, e sono entrati.

Il prete che ci ha denunciato, Don Angelo Bettoni, n on si è fatto vedere. Il sindaco si, invece. Era con la polizia a ispezionare i locali mentre buttavano fuori vestiti, tavoli, coperte, i materassi restanti. Mentre arrivava la ruspa per prendersi le cose e mettevano le griglie alle finestre. Ma si conosceva la posizione del sindaco, che da sempre voleva lo sgombero, in quanto Chez Jesus “minacciava le attività economiche del paese e faceva aumentare il flusso di migranti (rendendolo più visibile) dato che si dava cibo e posto per dormire.”

Hanno subito diviso, come secondo le loro categorie, quelli che considerano “migranti” e quelli che considerano “anarchici”, “No Border”, o come gli pare. I primi se li sono portati via, per un “controllo d’identità”, probabilmente alla questura di Bardonecchia. Pare che due di loro siano stati rilasciati perché “in domanda di asilo”. Il terzo, invece, ha ricevuto un decreto di espulsione.
Gli altri sono stati bloccati per ore tra cordoni di polizia e hanno ricevuto una denuncia.

Ci hanno sgomberato perché, come approvato all’unanimità dal Consiglio della Città Metropolitana di Torino il 5 ottobre, bisogna “restituire alla Politica vera” il “tema dell’immigrazione” (cit. Monica Canalis, consigliera PD, direzione marketing Intesa Sanpaolo). Che significa, come esplicitato dal nuovo decreto sicurezza-immigrazione di Salvini, il controllo e la gestione totale di chi arriva in Italia senza il documento considerato “giusto”. Significa rendere “illegali” nuove migiaia di persone grazie alla eliminazione della Protezione Umanitaria. Significa più retate, centri di detenzione, deportazioni.
Vogliono dei nuovi schiavi, disposti a lavorare per niente, sotto la minaccia costante del documento o del CPR. E che se provano a ribellarsi si vedranno bloccata o revocata la richiesta di asilo, dato che ormai anche solo partecipare alle manifestazioni significa essere categorizzato “soggetto pericoloso”.

Chez Jesus si è sempre opposto a ogni forma di selezione e controllo. In quel rifugio, nessuno chiedeva i documenti, nessuno gestiva, nessuno controllava. Era uno spazio per organizzarsi insieme contro le frontiere, chi le vuole oltrepassare e chi le vuole distruggere, in modo libero e autogestito, affinché ciascunx potesse scegliere dove e come vivere, senza che una frontiera spezzasse vite e scelte. Lontano dal business dell’accoglienza e dell’espulsione, lontano dal business dei passeur.

Anche il vescovo di Susa, A. B. Confalonieri, ha espresso la sua soddisfazione per l’operazione di sgombero svolta dalle alle forze di polizia. É un prete che ci ha denunciato. È con la Chiesa che la Prefettura ha preparato lo sgombero, pulendosi la faccia con l’apertura di un posto a Oulx. E come ricorda lo stesso vescovo, “la chiesa valsusina ha collaborato con altri enti per aprire il nuovo centro di accoglienza di Oulx, più adatto alle esigenze degli stranieri”. Ossia: un luogo aperto dalle 20 di sera alle 8 del mattino a 15 chilometri da quella frontiera che chi vuole andare in Francia cerca di attraversare e dove le persone vengono respinte.

La Chiesa possiede circa il 20% del patrimonio immobiliare presente in Italia, per un valore di circa mille miliardi di euro. Un impero del mattone, in pratica. Una multinazionale immobiliare, piena di strutture e soldi.
Che da una parte si fa propaganda con la sua retorica “dell’accogliere”, dall’altra sgombera un sottochiesa che ha dato rifugio a migliaia di persone in questi quasi 7 mesi.

Anche per questo hanno sgomberato Chez Jesus. Questione di soldi, oltre che politica.
E sono tutti contenti. Lo Stato francese e le sue guardie, che riescono a tenere meglio sotto controllo il flusso di persone diretto in Francia. Lo Stato italiano, che non ama luoghi né spazi di autegestione, fa rispettare la sua legge e “riconsegna regolarmente alla proprietà” i locali del sottochiesa. La Chiesa, proprietaria dei locali; le sue cooperative che andranno a guadagnarci dalla gestione del luogo aperto a Oulx. Le attività commerciali di Claviere, che sperano di vedere così scomparire i migranti di passaggio diretti in Francia che rovinano il turismo.
Il fabbro di Gravere, che si è fatto i soldi mettendoci le griglie alle finestre. L’impresa che ha sgomberato fisicamente il luogo e buttato tutto in discarica.
Ognunx ha le sue responsabilità. Non ce lo dimentichiamo.

Invitiamo tuttx ad azioni diffuse. Contro le frontiere, e il loro dispositivo. Ricordiamo inoltre che la Chiesa ha comunque un ruolo di primaria importanza nel nostro sgombero.

La lotta alle frontiere non si arresta.
Il primo apputamento è sotto le mura del CPR di Torino, questa domenica, ore 16.

Fonte: https://www.passamontagna.info/?p=631

Ieri: mattina udienza al tribunale di Cagliari per Davide Delogu, sera saluto al carcere di Massama

Ieri mattina si è tenuta un’udienza del processo a carico di Davide per la presunta preparazione di un’evasione dal vecchio carcere cagliaritano di Buoncammino. Davide ha ottenuto di poter fare una dichiarazione spontanea e ha letto un comunicato di quattro pagine (di cui presto speriamo di poter allegare la registrazione o la trascrizione). Alla fine della dichiarazione, più volte interrotta dal giudice i trenta solidali presenti in aula hanno fatto partire un applauso così lungo che le forze dell’ordine hanno dovuto sgomberare l’aula e il giudice ha dichiarato la fine dell’udienza, riaggiornandola al 31 ottobre.

Comunicazione importante per coloro che si scrivono abitualmente con Davide o che volessero farlo ora: con tutta probabilità Davide per questi venti giorni (cioè fino alla prossima udienza) non farà ritorno al carcere di Augusta, ma sarà recluso in quello di Massama, vicino a Oristano, il cui indirizzo è:

Casa di reclusione Salvatore Soro, Loc. Su Pedriaxiu, Massama n. snc 09170 ORISTANO

Ieri in serata invece un gruppo di compagni è andato proprio a Massama a fare un veloce saluto, a Davi e a tutti gli altri prigionieri. Botti, torce e fuochi d’artificio hanno fatto da contorno alle urla di saluto. Da dentro si è sentito qualche urlo e fischio di risposta nonostante la distanza e il mal tempo.

Al rientro alle macchine i compagni sono stati fermati, identificati e perquisite le macchine, il tutto per una durata di qualche ora.

I lunghi controlli di ieri sera vanno a confermare un evidente aumento delle misure repressive e di controllo di qualunque forma di dissenso e solidarietà. Non saranno perquisizioni, fermi o microspie a fermarci.

Comunicato di uno degli indagati dell’operazione 270 bis – AGGIORNAMENTO

Nella giornata di ieri, notando un malfunzionamento della manopola dei fari, sono state ritrovate nella macchina di uno degli indagati dell’operazione dello scorso 15 settembre, delle microspie.

Più precisamente si tratta di due microfoni posizionati sopra la testa del guidatore, in prossimità della congiunzione tra la tappezzeria e il parabrezza, e un GPS collocato invece in mezzo al quadro dei fusibili. Il tutto si alimentava attraverso un collegamento all’impianto elettrico della macchina dal cavo dei fari, e da lì il malfunzionamento.

Ricordiamo che il mese scorso in un’altra macchina di un compagno ci fu un ritrovamento simile, per non dire uguale…e che negli ultimi dieci mesi i ritrovamenti di microspie salgono a quattro.

Tanto va la gatta al lardo…

Alla questura di Trapani è giunta una chiavetta USB che, inserita in un computer è esplosa staccando tre dita alla mano dell’ispettore Gianni Aceto.

La chiavetta era stata consegnata da un legale che avendola ricevuta dall’ordine degli avvocati senza però avere un riscontro dell’effettiva spedizione, portava alla polizia l’oggetto sospetto.

Quando si dice un contenuto esplosivo.