Archivi del mese: dicembre 2018

Immagine

                  Il 9 gennaio alle 18:00 a Su Tzirculu, Cagliari via Molise 58. Sarà presentata la rivista “Nc’at Murigu”. A seguire dibattito e aperitivo benefit per sostenere le spese editoriali.

facciata murigu

Dall’editoriale: “Questa rivista nasce per provare a rispondere ad alcune esigenze maturate nel corso degli ultimi anni nell’ambito delle lotte svoltesi in Sardegna.

La più forte fra queste esigenze è quella di aumentare i momenti di confronto e approfondimento fra compagni. Dotarsi di più strumenti affinché i momenti di discussione, analisi, approfondimento e studio riescano ad avere una costante crescita sotto tutti gli aspetti.

Una seconda esigenza è quella di non perdere per strada importanti pezzi di analisi, storia e cronaca di quello che stiamo vivendo. Molti ottimi contributi vengono pubblicati solo su internet rendendo difficile il loro reperimento a distanza anche solo di un anno dalla pubblicazione, non venendo inseriti in alcun indice e rischiando di rimanere sconosciuti a chi arriva ora, o arriverà più avanti.

Nonostante non manchino in Sardegna gli strumenti che forniscono materiali di approfondimento e aggiornamento (blog, siti, pagine facebook, ultimamente sono in aumento anche riviste e iniziative) si è voluto comunque fare questo tentativo, che senza presunzione spera di essere un contributo a chi lotta o chi lo vorrebbe fare.”

Il primo numero è stato dedicato ad alcuni ambiti di lotta storici della Sardegna, con contributi sparsi sui temi dell’antifascismo, della Questione Nazionale Sarda, dell’antimilitarismo e  del mondo del lavoro.

Nc’at Murigu è completamente autoprodotto e autofinanziato, ed è in vendita a Su Tzirculu.

murigu presentaz

Non spegnere mai il telefono

Traduciamo dall’inglese un articolo apparso la settimana scorsa sul web. Noi l’abbiamo trovato su: https://325.nostate.net/2018/11/09/never-turn-off-the-phone-a-new-approach-to-security-culture/

Le varie operazioni repressive e indagini poliziesche che hanno animato gli ultimi 10 anni di movimento antagonista-rivoluzionario in Italia, hanno visto, come nel resto del mondo capitalista, un aumento dell’uso della tecnologia e di misure di controllo informatiche da parte degli sbirri. La tutela dal punto di vista tecnologico e informatico deve essere quindi, in questo periodo soprattutto, una priorità dei compagni, nel momento in cui si decide di agire in maniera sovversiva.

Non spegnere mai il telefono: un nuovo approccio ai procedimenti preventivi.

Negli anni 80, un/a compagno/a che voleva per esempio, dare fuoco a una struttura, elaborava il suo piano e nello stesso momento faceva attenzione a qualsiasi apparecchio d’ascolto che ci potesse essere a casa sua. Alla fine degli anni 90, lo/la stesso/a compagno/a spegneva il telefono e utilizzava dei messaggi criptati su Internet. Negli anni 2020, è necessario ripensare la nostra strategia: la raccolta di informazioni si è evoluta e dobbiamo tenerne certamente conto.

Innanzitutto, guardiamo come è utilizzata l’analisi dei dati. A questo fine, dobbiamo parlare di tre cose: meta-dati, i modelli e le reti di contatti. Tutto questo sembra noioso e difficile, ma io non sono un informatico e non ti annoierò con del linguaggio tecnico; cercherò di rendere le cose il più semplice possibile.

I meta-dati (metadata): nel contesto dell’attività online, “il contenuto” significa “il messaggio inviato”, mentre “meta-dati” significa “tutto tranne il contenuto”. Se per esempio, inviasti a un amico un messaggio per uscire a cena, il contenuto potrebbe essere: “Andiamo a mangiare stasera?” mentre i meta-dati sarebbero: “Messaggio inviato il 01/04/2018 alle 11.32, dal numero 3********9 al numero 3********7, usando l’app Signal”.

Questa informazione è registrata dal tuo telefono, anche se l’applicazione (come Signal) cripta il contenuto del messaggio. I tuoi meta-dati sono molto poco protetti dalla tecnologia e molto poco protetti dalla legge. Poco importa in che paese sei, la maggior parte dei tuoi meta-dati sono liberamente accessibili dai servizi specializzati, indipendentemente dal fatto che tu sia sospettato di qualche cosa o meno.

Gli schemi (templates): che te ne renda conto o meno, i tuoi meta-dati hanno un modello, o meglio uno schema. Se lavori tutti i giorni, avrai una configurazione (pattern) abbastanza uniforme: se non hai un lavoro simile, il tuo schema potrebbe essere più elastico, ma hai comunque un modello. Se qualcuno volesse conoscere il ritmo della tua giornata, lo potrebbe fare molto facilmente, perché il tuo schema è nei tuoi meta-dati.

Per esempio: poniamo il caso che utilizzi il Wi-Fi del tuo bar preferito la maggior parte delle domenica sera, fino a mezzanotte, che ti alzi alle 10 del mattino e controlli i tuoi messaggi su Signal, utilizzi il tuo abbonamento mensile per andare a lezione il lunedì pomeriggio, e passi circa un’ora sui social, due volte al giorno. Tutto questo fa parte del tuo schema.

Le reti di contatti (network): hai una rete di contatti online. I tuoi amici su Facebook, le persone nella rubrica del tuo telefono, il Dropbox che condividi con i tuoi colleghi, tutti/e quelli/e che comprano online i biglietti per il tuo stesso concerto punk, le persone che usano il tuo stesso Wi-Fi. Prendi la tua rete di contatti, combinala con quelle delle altre persone e i raggruppamenti (clusters) si mostreranno da soli. Il tuo gruppo di colleghi a lavoro, la tua famiglia, il tuo giro di compagni etc.

Se fai parte del giro di compagni, questo è potenzialmente evidente da tutti i tuoi legami e connessioni con i social e l’online, come andare allo stesso concerto o conoscere le stesse persone degli altri compagni.

Ora, poniamo il caso che tu abbia compiuto un azione, qualcosa che causerebbe delle indagini serie.

Supponiamo che domenica alle 3 del mattino, assieme ad alcuni amici, siate andati a dare fuoco alla casa di un nazi. (Certo, non mi sognerei neanche di dire a qualcuno di voi di fare una cosa del genere). È ovvio, per gli sbirri, che sono stati alcuni tra il giro di compagni ad averlo fatto, ma non ci sono indizi. Voi vi appoggereste su una procedura di prevenzione tradizionale: bruciate gli appunti, cercate di non parlare dei piani vicino ad apparecchi tecnologici e non lasciate alcuna traccia fisica.

Ma poiché hai commesso un reato con quell’azione notturna, i tuoi meta-dati sono molto diversi dal tuo ritmo abituale: resti nel bar d’abitudine fino alle 2 del mattino per aspettare i tuoi amici, non ti svegli alle 10 per controllare i messaggi, o resti sui social solo un’ora durante la giornata. Non vai a lezione. Il tuo schema di meta-dati è molto diverso dal tuo modello normale. I modelli di meta-dati dei tuoi amici sono pure diversi. Se uno tra voi è maldestro, questi schemi possono comportare una variazione di meta-dati altamente sospetta, per esempio il telefono è spento dalle 2 e mezzo del mattino e poi è attivo alle 4. Non sareste i primi.

Se portassi io avanti le indagini sul reato commesso, utilizzando l’analisi dei dati, procederei così:

– utilizzerei un software per analizzare gli schemi del giro di compagni locale, in modo da identificare le 300 persone più vicine e legate al giro;

– utilizzerei un altro software per analizzare gli estratti dei meta-dati di questi 300 degli ultimi mesi, in modo da individuare i cambiamenti più importanti in questi meta-dati di quella domenica notte, come pure qualsiasi attività dei meta-dati abbastanza sospetta;

– escluderei le variazioni negli schemi che abbiano un motivo ovvio o un alibi valido (delle persone chi sono in vacanza, chi è all’ospedale, chi ha perso il lavoro, etc)

– mi concentrerei sullo studio approfondito di quelli/e che restano inclusi.

Funziona così: del numero enorme di persone che non riuscirei mai a interrogare nello stesso momento, riesco ad individuarne un numero più ristretto, in modo da poterli controllare più da vicino. Così, potrei trovarti e incastrarti.

E quindi?

Se una procedura di prevenzione tradizionale non ci protegge come prima, come possiamo adattarci? Beh, non ho una risposta, ma per rompere il ghiaccio direi: conosci la tua rete di contatti e connessioni e conosci il tuo schema di meta-dati.

Nel caso di prima: lascia il bar a mezzanotte, torna a casa e lascia il telefono sul comodino. Controlla le cose che controlli sulle applicazioni prima di andare a dormire e metti la sveglia alle 10 del mattino. Ritorna senza telefono al bar. Svegliati alle 10 controlla i messaggi su Signal. Vai a lezione o chiedi a un amico di usare il tuo abbonamento, facendo tu attenzione a non usare alcuna tecnologia nel frattempo. Attieniti al tuo schema. Non spegnere mai il telefono.

Potresti anche raggirare la tua rete, ma questo è molto più difficile. Non utilizzare lo smartphone in generale e abbandonare tutta l’attività su internet, necessita un motivo valido agli occhi di chi ci guarda. Conoscere il tuo schema di dati e assicurarsi che appaia normale, è più facile.

Alcune vecchie regole valgono ancora: non parlare dei fatti vicino ad apparecchi muniti di microfono, non vantarsi del successo raggiunto, etc. Altre regole, come “spegnere il telefono quando si organizzano delle azioni” , dovranno essere cambiate, poiché i nostri meta-dati paiono troppo fuori norma. Nessun altro spegne il tuo telefono. Diventiamo più sospetti quando lo facciamo.

Questa è solamente un’idea di come possiamo aggiornare i nostri procedimenti di prevenzione. Forse ci sono altre persone con idee diverse e migliori, su come possiamo fare. Se iniziamo un dibattito, potremmo riuscire a ricavarne qualche cosa.

Per finire: bisogna continuare ad adattarsi

04222fe7fff533556d2b19c6037a2d1cDal momento in cui la tecnologia cambia, sempre più informazioni fuoriescono, compresi i dati sui quali abbiamo pochissimo controllo. Ne sono un esempio le smart-tv e i pannelli pubblicitari che ascoltano ogni parola che pronunciamo nei luoghi pubblici, come pure il tono della nostra voce quando parliamo. In questo momento, i progetti di analisi dei dati usano dei software di lettura delle targhe per confrontare le variazioni del traffico stradale. Non è troppo lontana l’idea che saranno presto pronti a fare lo stesso con il riconoscimento facciale, dopodiché la presenza della nostra faccia in pubblico sarà una parte dei nostri meta-dati. Avere informazioni in più significa fare un’analisi più accurata dei dati. I nostri meta-dati potrebbero anche presto diventare troppi, il che li renderebbe troppo complicati da imitare e rispettare. Questo significa che, se vogliamo nascondere qualcosa, dobbiamo prendere delle misura preventive.

Come possiamo tenere tutto questo sott’occhio? Non ne ho idea. Ma proviamo a capire tutta questa merda. C’è un primo abbozzo su come portare avanti dei procedimenti preventivi in un epoca di analisi moderna di vaste fette di dati, e mi farebbe piacere ricevere contributi da compagni/e che hanno qualcosa da dire in merito.

Sentiti libero di distribuire e modificare il testo.

 

 

Sul sessismo inclusivo

Pubblichiamo uno scritto del 2012 di Annick Stevens, filosofo belga.

Fonte: https://finimondo.org/node/2257

Sul sessismo inclusivo

Annick Stevens

Si diffonde sempre più l’idea secondo cui, per lottare contro il sessismo e il dominio maschile, occorra introdurre ovunque la scrittura inclusiva, ovvero scrivere nomi ed aggettivi al plurale coi segni grammaticali congiunti maschili e femminili. Vorrei che si riflettesse senza pregiudizi sulla fondatezza di questa pratica e dei suoi effetti.

A prima vista sembra ovvio che menzionando sistematicamente i due generi grammaticali si evita di escludere o discriminare uno dei due sessi. Tuttavia, rispetto alla pratica ereditata che consiste nel designare con un solo termine al plurale tutte le persone a cui si fa riferimento, la scrittura inclusiva introduce una dicotomia persino nei gruppi misti in cui la differenza sessuale non è rilevante. Considerata da questo punto di vista, è la pratica ereditata ad essere inclusiva e la contrapposizione binaria a risultare esclusiva.

L’effetto reale della scrittura cosiddetta inclusiva e di altre dichiarazioni dicotomiche è che in ogni momento si divide in due l’umanità sulla sola base del sesso biologico. Quando si scrive «i/le lettori-trici», «i/le lavoratori-trici» o «gli/le amici-che», così come quando diciamo «lettori e lettrici», «lavoratori e lavoratrici», «amici e amiche», non si fa che ricordare incessantemente a ciascuno che, qualunque cosa faccia e chiunque sia, è la sua categoria sessuale a costituirne il segno. Di più, si lascia intendere che le attività di leggere, di lavorare o di amare non siano le stesse se attuate da un uomo o da una donna. Si carica sessualmente il linguaggio per parlare di cose che non sono sessuate ma che sono comuni all’umanità, e così facendo si introduce nell’umanità una divisione fondamentale, onnipresente, ineluttabile. Il procedimento ottiene allora un risultato opposto alle intenzioni: rafforza l’idea reazionaria secondo cui un individuo sia determinato in primo luogo dal proprio sesso, ripercuotendosi la differenza sessuale su tutte le capacità, comportamenti e realizzazioni degli individui.

 

Il problema linguistico


Fino a poco tempo fa non c’era nessun problema nell’indicare un gruppo con un plurale grammaticalmente maschile, perché notoriamente per convenzione quel plurale è misto (e non neutro, ovvero né l’uno né l’altro) e, qualora si voglia indicare un gruppo esclusivamente maschile, allora si dovrebbe aggiungere una precisazione. Ora, diffondendo la pratica degli enunciati dicotomici, si genera un dubbio e un bisogno di precisazione in testi che finora si comprendevano subito come inclusivi, per consuetudine. Stiamo creando l’impossibilità di parlare dell’umanità come una sola.


Alcuni invertono il procedimento, utilizzando il femminile grammaticale per esprimere il plurale misto e contando sull’effetto sorpresa per «rendere visibile» un predominio che sarebbe nascosto. Ma qual è l’interesse di esprimere il misto attraverso un genere grammaticale piuttosto che con l’altro? Se il linguaggio avesse davvero un effetto di dominanza, a cosa servirebbe rovesciare quest’ultima?


Non è impossibile che, storicamente, l’introduzione del maschile come plurale misto fosse legata al predominio maschile nelle società dell’epoca. Tuttavia occorrerebbe uno studio linguistico approfondito che esaminasse tutta la varietà di espressioni del plurale misto nelle migliaia di lingue nel mondo e stabilisse una chiara relazione tra il sessismo nel linguaggio e il sessismo nella società. Di sicuro non è cosa immediata. Ma si può già osservare, se si considerano le lingue più antiche che conosciamo nel gruppo indoeuropeo, che il rapporto tra l’evidente predominio maschile in queste società e la prevalenza del genere grammaticale non è diretto ed univoco. In questi linguaggi a declinazione, alcuni casi hanno un’unica forma di plurale, comune per il maschile, il femminile e il misto, e in questi casi la precisazione sessuale, se necessaria, è data dal contesto o da un termine aggiuntivo. Nel corso della scomparsa delle declinazioni, i casi morfologicamente sessuati sono stati selezionati, comportando la generalizzazione del maschile come plurale misto; tuttavia, questa evoluzione non riflette un’intensificazione del sessismo in tali culture. D’altra parte, i Greci del V secolo già s’interrogavano con perplessità prima della nostra èra sull’origine dei tre generi grammaticali (maschile, femminile e neutro), che per la maggior parte delle parole non hanno alcuna giustificazione. Perché quindi ritenere che il linguaggio rifletta fedelmente lo stato mentale di una cultura, dato che non è un’istituzione stabilita da decisioni consapevoli e volontarie, quanto un processo evolutivo di cui gli utilizzatori ignorano l’origine delle particolarità morfologiche?

Certo, nulla impedisce di intervenire volontariamente in questo processo per uno scopo specifico, come si fa d’altronde quando si stabilisce l’ortografia e se ne formalizza un buon uso. Se fosse assodato che gli usi linguistici hanno un effetto sulle strutture sociali, sarebbe perfettamente consigliabile orientarli nel senso che si ritiene giusto socialmente. Ma è questo il caso? E soprattutto, in quale misura rispetto ad altri fattori del dominio?


Il problema del dominio


A riprova del dominio attraverso la lingua, prendiamo la famosa regola «il maschile prevale in grammatica». Alcuni testimoniano di aver vissuto l’apprendimento di questa regola come un’oppressione. Io ne ho un ben altro ricordo. Ogni volta che veniva evocata questa regola, nella scuola elementare, insegnanti e studenti di entrambi i sessi dicevano: «il maschile prevale… in grammatica!», indugiando in particolare sulle ultime parole con sguardi complici ed ironici, e non era necessario che un bambino pretendesse di prevalere negli altri aspetti. Lungi dall’avere un effetto di dominanza, la regola era l’occasione per riaffermare che quanto era vero in grammatica non era vero in altri ambiti, e che non si sarebbe tollerata alcuna discriminazione, di qualunque genere.

Pur ammettendo che il plurale maschile possa avere un effetto incoraggiante sulla discriminazione sessista, quanto peso avrebbe questa regola grammaticale in relazione a ciò che resta del dominio maschile nelle nostre società? Si sosterrebbe seriamente che la grammatica è un elemento importante nel mantenimento del «soffitto di cristallo» [espressione utilizzata per indicare le difficoltà di accesso a incarichi superiori da parte delle donne o di altre persone “svantaggiate”], nella violenza contro le donne, nella tentazione sempre rinnovata di giustificare «scientificamente» alcune differenti attitudini tra i sessi? È assai più chiaro che l’esigenza di una scrittura inclusiva e l’esacerbazione del dibattito che essa suscita distolgono l’attenzione da fattori di sessismo ben più determinanti ed impediscono di riflettervi in modo più sereno, più intelligente, e di conseguenza più efficace.

Per tutte queste ragioni, penso che in questa battaglia il femminismo sbagli bersaglio e lasci i suoi veri nemici alquanto tranquilli. Peggio ancora, si ritorce contro se stesso realizzando ciò che afferma di voler abolire, la divisione dell’umanità in due gruppi contrapposti.

Personalmente, rifiuto di essere inserita in una categoria dicotomica che si sovrapponga a tutte le altre anche quando la distinzione non abbia alcuna pertinenza con la questione. Sono molto felice di essere una donna, ma sono anche una miriade di altre cose indipendenti dall’essere una donna e non voglio che venga loro assegnato un segno femminile che le orienti quando non lo sono.

Irritata dalla velocità di diffusione della scrittura inclusiva negli ambienti «benpensanti», ho inteso far circolare alcuni argomenti che ne mostrino gli effetti perversi, per metterli a disposizione di tutte le persone che non osano più sottrarsi a questo procedimento per timore di essere considerate reazionarie, conservatrici, aggrappate al loro privilegio per gli uomini e alla loro sottomissione per le donne. Io rivendico il carattere convenzionale della lingua e insisto sull’urgenza di condurre una riflessione approfondita sulla lotta contro ogni dominio, cominciando ad identificarne le vere cause.

Immagine

aperitivo-greci-WEB

Respinti i domiciliari per Paolo

E’ stata respinta la richiesta di Paolo di sostituzione di misura cautelare, quindi del passaggio dal carcere agli arresti domiciliari.

Ricordiamo che Paolo è stato arrestato ormai più di un anno fa, il 31 ottobre 2017, per una rapina a mano armata in un ufficio postale di Cagliari, e per questo è stato condannato in primo grado a 6 anni.

Le motivazioni del non accoglimento della richiesta sono di natura prettamente di merito, cioè viene fatto rilevare come “i fatti per cui si procede siano particolarmente gravi e denotano la freddezza degli autori della rapina e la loro spregiudicatezza in relazione alle circostanze e modalità del fatto”, inoltre “relativamente al tempo trascorso …. è un tempo assolutamente ancora adeguato alla gravità dei reati commessi ed alla misura della severa pena comminata…”, pertanto “non sussiste alcun motivo per revocare la custodia cautelare in atto, mentre sussistono ottimi motivi per mantenerla in atto”.

Così motiva la seconda sezione penale della Corte d’appello di Cagliari.

E’ proprio vero che da sbirri e giudici non c’è mai da aspettarsi niente di buono, stronzi!

Forza Paulledhu, sempri ainnantis.

OLIOOO!

La vita nel carcere di Uta è scivolosa, in un carcere nato con presunte vocazioni di avanguardia le condizioni restano precarie.

Un sovraffollamento non solo ipotizzato ma certificato da istituzioni ed associazioni (584 detenuti a fronte di circa 560 posti), malasanità e organizzazione sanitaria deficitaria, vessazioni , pestaggi, vermi nel cibo, freddo ( a qualche giorno fa i riscaldamenti non erano ancora accesi) e chi piu’ ne ha più ne metta, sono palesi i problemi di una struttura del genere in cui oltre alla sua connaturata funzione di lager si aggiungono le carenze.

Sono frequenti gli episodi che hanno come protagonisti i detenuti che, giustamente stanchi, dimostrano il loro disagio.Si passa da lanci di suppellettili a scioperi della fame e in questo ultimo caso venuto alle cronache un detenuto rumeno ha optato per il lancio di olio bollente alle guardie.

Le autorità penitenziarie lo definiscono come un “sofferente mentale”, forse per sminuirne il gesto. In una situazione in cui i secondini fanno il bello ed il cattivo tempo decidendo su tutti gli aspetti del quotidiano dei detenuti dalla ricezione del denaro alle situazioni piu’ intime , stentiamo a credere che sia la sofferenza mentale il vero problema.

Il problema è la galera stessa , capirne il peso all’interno delle politiche di governo è fondamentale per togliere al capitale un suo fondamentale pilastro.

Fuoco alle galere, per ora olio, ma poi sempre fuoco.

Accolto il ricorso di Luiseddu, gli restituiscono il passaporto e cadono le misure cautelari

La notizia era nell’aria ma oggi i giornali ne danno la conferma ufficiale, il ricorso presentato dal suo avvocato è stato accolto, a Luiseddu verranno restituiti i documenti e potrà lasciare la Sardegna.

Accusato lo scorso settembre insieme ad altri due imputati di essere un “foreign fighter” e di far parte di un associazione con finalità di terrorismo (270bis), che svolgeva le sue attività in territorio kurdo, fu fermato poco prima del ritorno in Siria.

Cade quindi il già traballante teorema accusatorio montato dal pm Tronci, non sappiamo se questa notizia possa segnare la fine definitiva dell’indagine ma sicuramente non si respirerà un aria serena tra questura e magistratura, visti i toni trionfalistici con cui avevano celebrato le perquisizioni dello scorso settembre.

Volevano rompere i legami della solidarietà internazionalista e spaventare quei compagni che vanno a lottare contro il terrorismo dell’ISIS, non ci sono riusciti, non solo, se pensavano che gli indagati sarebbero rimasti da soli si sono sbagliati anche su questo.

Siamo felici per Luiseddu e lo saremo di più quando avremo buone notizie anche sugli altri due imputati.

 

 

 

Val Susa, nasce un nuovo rifugio autogestito

Oggi è stata aperta la casa cantoniera di Oulx, edificio vuoto e inutilizzato da decenni.
Da oggi le si vuole ridare vita.
Contro le frontiere e il dispositivo che le supporta e determina.
Contro il Decreto Salvini e la sua politica di repressione e guerra ai poveri.
Per un mondo dove tutte e tutti possano scegliere dove e come vivere.

https://www.passamontagna.info/wp-content/uploads/2018/12/1-1140x641.jpg

La situazione alla frontiera continua a peggiorare: la militarizzazione crescente, l’inverno ormai arrivato. Il sistema di controllo e gestione sempre più forte che viene imposto su tutti coloro che, senza il pezzo di carta considerato “giusto”, continuano a voler attraversare questa linea chiamata frontiera.
Il Rifugio Autogestito Chez Jesus, il sottochiesa occupato di Claviere, è stato sgomberato quasi due mesi fa. Da allora sempre più numerose sono le persone che si perdono e che rischiano la vita o gli arti tra le montagne, senza informazioni o l’abbigliamento adatto per affrontare il viaggio. Senza lo spazio d il tempo per potersi organizzare, riposare, ripartire. E sotto lo sguardo costante delle varie forze di polizia che cercano di impedire i contatti tra chi in viaggio e i solidali.
Questo luogo vuole essere anche questo.
Un Rifugio Autogestito per chi è di passaggio, e necessita di più tempo per organizzarsi che le ore notturne offerte dalla struttura dei salesiani.
Un luogo per potersi organizzare contro le frontiere su queste montagne così come contro le frontiere in città, ed al sistema ad esse correlato.

Il Decreto Salvini è una dichiarazione di guerra ai poveri.
Agli immigrati, sempre più ricattabili e sfruttabili, sotto la costante minaccia dei documenti, CPR, o deportazioni. A tutti coloro che in qualche modo cercano di opporsi al sistema di selezione, controllo ed esclusione che vige in questa società. Agli indesiderati in generale, che vengono buttati fuori dai centri cittadini, sempre più repressi, controllati, ricattati.

Organizziamoci. In quest’epoca sempre più buia, dove le retate per strada, le prigioni per senza documenti, le deportazioni, le barche bloccate in mare sono la normalità, dove gli accordi con le prigioni libiche e le varie polizie frontaliere sono pagate con miliardi, dove chi ha i documenti prende il TGV da Oulx  chi non ce li ha rischia di morire sui sentieri innevati, l’indifferenza uccide davvero.

Qui ogni aiuto è benvenuto. C’è bisogno di materiali vari, materassi, coperte, vestiti pesanti. Scarpe invernali, calze, guanti, cappelli. Stufe, legna, tappeti, cibo.
Voglia di organizzarsi insieme per far si che questa frontiera, così come le altre, non esista più.

Dalle 15 di questo pomeriggio invitiamo tutte e tutti a una merenda sinoira con musica.
Chiunque voglia passare prima o nei giorni seguenti per i lavori, è benvenutx!

 

Francia, Gilets Jaunes – La Rivoluzione: pro o contro?

Traduciamo un articolo pubblicato domenica 2 dicembre sul sito di controinformazione Paris Luttes: https://paris-luttes.info/la-revolution-pour-ou-contre-11165?lang=fr

Riteniamo questo articolo parecchio interessante per vari motivi: prima di tutto ci permette di lasciare la parola alle riflessioni interne ai compagni francesi; in secondo luogo, crediamo ponga degli interrogativi attuali e che toccano i “punti deboli” del movimento rivoluzionario contemporaneo; inoltre, sia offre un ulteriore resoconto dell’evolversi della situazione in Francia, sia si riallaccia all’articolo da noi pubblicato la settimana scorsa per quanto riguarda dubbi, impressioni, analisi e prospettive viste e vissute durante l’esperienza delle ultime settimane. 

Domani, 8 dicembre, si prospetta una giornata bella calda. Con un appello generale dei Gilets Jaunes di mattina e la Marche pour le Climat (Corteo per il cambiamento climatico) alle 14, lo Stato ha annunciato una mobilitazione massiccia di forze dell’ordine. Durante la settimana peraltro queste hanno continuamente represso con ancora più violenza le mobilitazioni studentesche (vari feriti gravi ovunque), oltre che fare visite alle case di compagni a loro più conosciuti o organizzatori dichiarati di momenti di piazza. Con il tentativo di riappacificazione fatto da Macron nel gelare per 6 mesi, poi un anno, la legge sul carburante, si accompagna una politica contro-insurrezionale immediata. Possiamo solo sperare che la piccola vittoria di aver bloccato per un anno una legge non abbia quietato la rabbia e gli animi degli insorti gialli, ma che anzi, l’ennesima presa in giro dello Stato e il rinforzo repressivo su tutti i fronti determini una piazza e una giornata ancora più decisa.

Jusqu’au bout.

Buona lettura.

La rivoluzione: pro o contro?

Alcuni/e, qualche anno fa hanno posto come interrogativo della loro azione: “Che fare dell’idea rivoluzionaria quando il contesto non si presenta come tale?” Abbastanza giustamente, la loro risposta, attraverso il loro radicamento in un quartiere, è stato di contribuire a costruire un contesto d’autonomia. Oggi, le circostanze non sono più esattamente le stesse, il cielo sembra essere un po’ più nervoso. Allora, è forse il momento di riformulare la massima:” Come riaprire l’ipotesi rivoluzionaria quando il contesto lo è diventato ancora una volta?”

Durante queste ultime settimane parecchi-e militanti hanno girato attorno alla questione di una agitazione percepita come esogena, i Gilets Jaunes. “Sta succedendo qualcosa ma non viene da noi. Siamo pro o contro?” Gran bel grattacapo. Perché un tale sfasamento tra questi/e militanti e la situazione?

tour-2-aaefd-9c999

Innanzitutto, si parla di “teste calde che non vogliono quella tassa”…Poi, si comincia a motivare il rifiuto con una disapprovazione verso le condotte razziste, sessiste et omofobe. In seguito, il rifiuto quasi istintivo si è modificato in esitazione. Ci si è resi conto che questi soggetti e queste azioni potevano non essere rappresentativi dell’insieme dei Giliet Jaunes, perché certamente i Gilets Jaunes sono qualcosa di eterogeneo.

La settimana del 17, nonostante le azioni dirette, i blocchi importanti dell’economia e le manifestazioni selvagge, persiste una certa reticenza poiché, pur essendoci una rivolta, una parte resta sempre per nulla favorevole all’andare a manifestare con “tutti quei fasci”. Un’altra invece, insiste, al contrario, che la sua presenza è necessaria per non lasciare loro terra libera. In ogni caso, bisogna riflettere. Sono passate due settimane, tra prudenza, analisi e quasi assenza di un piano d’azione. Mentre vi è una continuità inalterabile delle lotte, quelle di sempre. Come se i Gilets Jaunes bloccassero le strade…in Quebec.

Alcuni/e suggeriscono che oltre il disprezzo di classe, la ragione profonda è che, al momento decisivo, i/le militanti rifiuteranno il cambiamento, generale come personale. Sottintendendo che questo rifiuto è praticamente intrinseco alla condizione militante. Ci sarebbe quindi una deriva conservatrice del militantismo? Se c’è una tendenza militante a oscurare la potenzialità d’un cambiamento improvviso, è la paura dell’imprevisto, dello sconosciuto, dell’ignoto il quale spiegherebbe lo scarto con l’esplodere di una nuova situazione.

Una cosa è certa, vi è un’avaria o di disponibilità, o di gusto per la spontaneità. A rischio, le abitudini militanti. Queste hanno impedito di vedere dentro questo inizio inedito di agitazione, non solamente la rabbia legittima dei Gilets Jaunes, ma anche la possibilità di un sollevamento popolare che oltrepassa i contorni e l’intensità di un “movimento sociale”.

Quei media che critichiamo senza sosta quando attaccano i nostri movimenti, avrebbero all’improvviso guadagnato una credibilità agli occhi di questi/e militanti? Dal momento in cui vi è una aggressione razzista o omofoba, i media ci si gettano sopra. Tuttavia quando una vecchia prefettura è occupata a Saint Nazaire ed è chiamata “Casa del Popolo”, o quando si cacciano dei fasci a Rouen e ci si organizza con i sindacalisti per allargare i blocchi economici…Zero notizie allora.

Sabato, il 24 ottobre, un numero maggiore di militanti ha camminato lungo gli Champs-Élysées. Dalla mattina dopo questa giornata di conflitto, si constata una visione più di buon occhio dei Gilets Jaune. Le immagini dei Champs-Élysées, oltre che qualche appello di collettivi conosciuti, hanno fatto in modo che molti non potessero restare sulla loro posizione contraria. Qualche cosa, tra il feticismo dell’insurrezione e una vera e propria presa di coscienza, ha portato a sentire questa non-partecipazione come una vergogna.

Quando i/le militanti hanno iniziato a riscaldarsi, è stato alla fine il momento di chiedersi “Cosa fare?”. Andare alle manifestazioni…e poi? Una penuria di immaginazione, mentre ovunque, ve n’è in abbondanza.

Invece che vederla come un rischio – di sentirsi inutili e minoritari- la partecipazione oggi potrebbe essere esattamente quel momento che spinge le abitudini a diluirsi alla sperimentazione, e a priori questa sarebbe piuttosto una bella notizia.

Potremmo sentirci dire che due, tre settimane di “ritardo” sono piuttosto la durata di una prudenza giustificabile. Risponderemmo che, se si è potuto dire che in un certo momento è stato un movimento fascista, è proprio perché questi ultimi, come dimostra la parata del Bastion Social a Lione il 17 novembre, non hanno avuto questo ritardo.

Potremmo anche rispondere che per farsi un proprio parere, l’esperienza sul campo resta indispensabile. In ogni caso, non è il ritardo a essere sconvolgente, piuttosto i motivi che l’hanno reso inevitabile.

Questa mancanza di reattività è la prova di un ragionamento strategico che non permette di agire nel momento in cui lo sconvolgimento di una situazione non lo si ha messo in scena se stessi. Oppure allora, della mancanza totale di un ragionamento strategico.

A quelli e quelle che hanno rifiutato e denigrato le prime scosse dei Gilets Jaunes, bisogna sinceramente porre una domanda: come si immaginano loro lo sbocco di una situazione rivoluzionaria? Attraverso l’azione decisiva di una organizzazione? In rapporto a un soggetto unico e omogeneo? O allora se non si immaginano un cambiamento di ritmo, come intendono realmente avanzare con le loro idee? Grazie a una estemporaneità, inattaccabile dagli altri che li circondano?

Per quanto ci riguarda, non intendiamo discutere se assistiamo o meno a una situazione rivoluzionaria. Invece, è ben possibile che la gran parte delle rivolte che verranno (e una buona parte di quelle passate) assomiglino a questo che vediamo svolgersi da 3 settimane nella Francia metropolitana e a La Réunion. Soprattutto, pensiamo che sia auspicabile che esse si conducano in questo modo.

Senza che sia sbloccata da un partito o una organizzazione politica. Senza che qualsiasi capo, rappresentante o persino leader riesca a farsene porta-parola, essendo stati tutti dei tentativi condannati da tutte le direzioni.

Se i primi blocchi sono stati lanciati da un appello di un piccolo numero di individui – alcuni poco raccomandabili – e spinti da una rivendicazione specifica – la soppressione di una tassa sui carburanti – il loro sconfinamento è stato praticamente immediato. Da allora, l’agitazione si è estesa a macchia d’olio e si è materializzata, localmente, in maniera simultanea; ma anche nazionalmente, con dei momenti di convergenza. Così, abbiamo visto fiorire un immensa varietà di gesti di insubordinazione: pedaggi gratuiti, rifiuto di far autorizzare le manifestazioni, blocchi economici; e azioni dirette: occupazioni degli uffici distrettuali, un assalto col trattore agli uffici statali, irruzione nelle case dei deputati, saccheggio di grandi magazzini…la lista è lunga.

Al posto delle piazze, oggi sono le rotonde che costituiscono la base fisica della mobilitazione. Sono il segno di uno spostamento dell’organizzarsi verso le periferie.

In questo momento, presso numerosi blocchi, intorno ai focolari, le panchine in pallet iniziano piano piano a trasformarsi in capanne e abitazioni…

Una sommossa che esige, come tante altre precedenti, la dignità. O meglio, quando si sentono o si discute con uomini e donne che mantengono i blocchi da più di 10 giorni, con il freddo e sotto la pioggia, si capisce che questa dignità iniziano a ritrovarla nella lotta, nello scontro con colui il quale, per il momento, è individuato come il principale colpevole, il monsieur Macron.

Tuttavia, come si può non essere allarmati dai numerosi atti schifosi (una donna a cui è stato strappato il velo o dei migranti aggrediti a Calais) e che non si fermeranno per forza lì? Come non infastidirsi a causa degli applausi di fronte agli sbirri? O ancora, il numero di bandiere francesi? Non ci sentiremo meglio se non nel momento in cui a queste si aggiungeranno quelle algerine, bretoni, kabyle, quelle della rivoluzione siriana, del movimento zapatista, al fianco delle bandiere rosse, nere e LGBT. Perché siamo convinti che le identità non spariranno da un giorno all’altro.

Parrebbe una grande banalità ricordare che sì, nei movimenti di rivolta, succedono delle cose brutte, preoccupanti. Queste rispecchiano l’aria del tempo, espressione e espiazione di idee e passioni, sostanzialmente tristi.

La caduta di Macron o persino di un regime non è il sinonimo della caduta dello Stato, del capitalismo e delle oppressioni di qualsiasi tipo. E ancora meno dell’avvenire di un mondo giusto e egalitario. Quello che potrebbe succedere sarebbe una tappa importante da inscrivere in un processo rivoluzionario dai tempi lunghi.

Pertanto, in questo momento di intensità, non è possibile adottare la stessa mentalità che si ha nel momento in cui ci si dedica a costruire con pazienza. La domanda ci sembra essere: come partecipare, contribuendo all’avanzare rivoluzionario di ciò a cui miriamo, a questo impulso di rivolta che auspica la destituzione di un presidente? Senza cercare di prendere il potere dentro tale impulso, (che sarebbe comunque la cosa meno plausibile), mentre si contrastano i tentativi dei nostri nemici.

Per sovvertire le loro iniziative, ci sarà bisogno di una grande dose di sottigliezza collettiva e situazionale. E non è una questione astratta ma è quello che sarà determinato a tutti i livelli, a scala nazionale come regionale, nei discorsi trasmessi alla radio come nelle rotonde.

Perciò, cercare di attivare tutto quello che si è tentato di costruire questi ultimi anni in termini di legami, idee o strumenti, sarà necessario.

Oltre le risorse materiali, abbiamo sviluppato dei modi per combattere le oppressioni, che esse siano sessiste, razziste o di classe. Niente si è concluso, niente è soddisfacente, tutto è incredibilmente incompleto, ma abbiamo comunque delle buone proposte.

Il servizio medico nei cortei, gli espropri per smettere di pagare un affitto, le cantine popolari per incontrarsi e far fronte alle pene di fine mese.

Ma di tutte queste cose, che cosa ne vogliamo fare? Custodirle per il nostro proprio benestare. Sperando che qualcuno/a finisca per capitarci per caso mentre svolta l’angolo?

Sarebbe un riprodurre i nostri privilegi, o peggio, inventarne dei nuovi.

O al contrario cercare di diffonderle, di metterle a disposizione, e soprattutto di permettere il loro mutamento nell’incontro con l’intensità, con l’esterno e nei modi più complicati. Occorre proporre all’interno della situazione delle risposte per battersi allo stesso momento contro il nemico e contro i mostri interni a sé stessi.

Ad ogni modo, vale di più contribuire al fatto che una rivolta non sia recuperabile piuttosto che profetizzare il suo recupero per complimentarsi di aver avuto ragione.

Per essere chiari, il nostro intento non è di richiamare tutti/e a infilarsi il giubbotto giallo. Si può anche fare, certo, ma è piuttosto nel partecipare all’intensità a modo suo. Questo può significare sia incrociare gli/le occupanti di queste rotonde sia sovvertire le nostre proprie lotte.

Sabato 1 dicembre, l’ondata gialla imperversa per la terza volta sull’Eliseo. Parigi invasa, da migliaia di persone che invocano la rivolta, la rivoluzione. Bisogna prendere pieno atto di quel ritmo. Non giocare in contro-tempo.

Visto che la questione non è più di allearsi col “movimento”. Non si fa alleanza con un movimento. Ancora meno con una rivolta. Ci si unisce. Ci si butta.

Dopo tutto questo, per quelli e quelle che vogliono ancora discutere se il gioco vale la candela nell’approcciarsi a quello che sta accadendo piuttosto che chiedersi quello che potrebbero farci dentro, noi proponiamo una domanda semplice per animare le loro discussioni: “La rivoluzione: pro o contro?”

Dal canto nostro, abbiamo fatto la nostra scelta: aggiungere le nostre forze a quelle si apprestano a bloccare la nazione, spingerle a riflettere e iniziare a costruire quello che desideriamo.

Contribuire alla caduta del regime e all’organizzarsi senza esso

Un contributore e una contributrice.

48059244_321572261772128_5107836839415250944_n

 

Rimandata l’apertura del CPR di Macomer

Dal giornale di ieri:

Il Cpr (centro di permanenza per i rimpatri dei migranti) di Macomer subisce una clamorosa battuta d’arresto. La prefettura di Nuoro ha infatti revocato il bando di gara europea per la gestione. Il Cpr negli accordi tra Ministero, Regione e Comune doveva servire da dissuasore per gli sbarchi dall’Algeria ed era destinato alla detenzione amministrativa di un massimo di 90 giorni per il rimpatrio. “Ora, senza alcun accordo con la Regione e gli enti locali – dice l’assessore regionale Filippo Spanu – la situazione cambia. Il ministero stravolge le regole e rinvia sine die il bando”.

Con le nuove disposizioni ministeriali si aumenteranno il numero delle presenze (si era stabilito un massimo di 100 persone), oltre all’incremento del periodo di detenzione, che passa da 90 a 180 giorni. Il Cpr in queste condizioni cambia radicalmente le sue caratteristiche. “Se il Ministro ha cambiato le strategie vorremo essere informati, perché non siamo la colonia di nessuno – dice il sindaco Antonio Succu -, abbiamo subordinato l’accettazione del Cpr a due condizioni: la sicurezza della popolazione e il rispetto della dignità umana. Non faremo un passo indietro”.

Non si capisce se tutto questo sia una scusa per coprire qualcos’altro di torbido o se veramente ci siano beghe burocratiche difficili da risolvere. Nonostante non sarà facile carpire altre informazioni differenti da quelle fornite dai giornali cercheremo di tenervi aggiornati.