Archivi del mese: febbraio 2011

NEWS DA GRADISCA

I primi frutti, in termini di libertà, delle sommosse di Gradisca della settimana appena terminata si stanno già facendo sentire. Già sabato 32 prigionieri erano stati liberati in sordina per alleggerire la pressione sulla struttura, scatenando le ire dei sindacati di polizia che avevano equiparato – giustamente! – ogni liberazione ad una ammissione di fallimento del sistema dei Cie. Ieri poi – e lo apprendiamo dai quotidiani locali di oggi – era prevista la liberazione di un’altra ventina di reclusi, saltata all’ultimo per un intervento del Viminale. E proprio contro il Viminale si stanno scagliando i sindacati di Polizia della Provincia, sempre più imbufaliti: ci ha lasciati soli – dicono in sostanza -negandoci sia i rinforzi per tenere a bada i prigionieri ammassati in un Centro semidistrutto che la disponibilità a trasferire i reclusi altrove.

Oggi, invece, dopo una notte passata ammucchiati nelle stanze comuni insieme agli altri prigionieri, a sette ragazzi è stata annunciata l’imminente liberazione. Ora sono in guardiola ad aspettare: vedremo se si verranno liberati veramente.

Leggi i primi articoli della stampa locale sul collasso del Cie isontino.

 

 

Nuova rivolta al Cie di Gradisca che è quasi del tutto inagibile
Gli ospiti hanno appiccato incendi in sei delle sette stanze rimaste utilizzabili. La Prefettura di Gorizia ha inviato una richiesta ufficiale di aiuto al ministero dell’Interno

Il Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca d’Isonzo è al collasso. A mettere definitivamente al tappeto la struttura isontina sono stati gli incendi appiccati dagli immigrati nel primo pomeriggio di ieri, quando tra le 13 e le 14 sono state date alle fiamme sei delle sette stanze rimaste ancora agibili dopo i disordini delle ultime due settimane. Un’azione palesemente mirata quella degli “ospiti” del centro, che negli ultimi cinque giorni hanno incendiato (bruciando materassi e suppellettili varie) sedici stanze del complesso, dove al momento risulta agibile una sola camerata, a regime standard predisposta per ospitare 8 letti.

Un’inezia a fronte dei 105 immigrati clandestini attualmente rinchiusi nella struttura, tanto da costringere la Prefettura di Gorizia a inviare nel pomeriggio di ieri una richiesta d’aiuto ufficiale al ministero dell’Interno, precisando la «situazione di assoluta criticità e il concreto rischio di collasso in cui versa il Cie».
«Resta agibile una sola stanza, salvata in tempo dai vigili del fuoco – hanno confermato ieri dalla Prefettura del capoluogo isontino –. Lo stato d’emergenza era scattato già venerdì sera, quando a seguito di altri incendi erano rimaste 7 le stanze funzionali, con una capacità standard di 56 posti, per ospitare 135 immigrati. Molti avevano passato la notte a terra, in sistemazione d’emergenza, ma ora, con una sola stanza agibile e una capienza di 105 persone, la situazione è al limite del drammatico. Gli spazi per ospitare gli immigrati, seppur in alloggi di fortuna come corridoi e locali normalmente adibiti ad altre funzioni, materialmente ci sono ma è evidente che può trattarsi di una soluzione temporanea, impraticabile nell’arco di più giorni. In merito a possibili trasferimenti di immigrati dal Cie di Gradisca, invece, al momento non ci sono comunicazioni ufficiali, stanotte (ieri, ndr ) sicuramente resteranno tutti nella struttura, non c’è disponibilità di posti negli altri centri italiani».

Il Carnevale ad alta tensione nel Cie di Gradisca è cominciato già nella tarda mattinata di ieri, quando il previsto rilascio di una ventina di immigrati (dopo che sabato 32 erano stati fatti uscire con il foglio di via, l’invito ad abbandonare il Paese entro 5 giorni) disposto dalla Questura goriziana è stato bloccato dal Dipartimento di pubblica sicurezza del Viminale. Un mancato rilascio che ha immediatamente fatto esplodere la tensione nella struttura, dove poco dopo le 13 sono cominciati i disordini, sfociati nell’incendio.
Inutile l’intervento dei vigili del fuoco di Gorizia, che non hanno potuto far altro che provvedere alla messa in sicurezza della struttura e dichiarare l’inagibilità delle sei stanze. Nel corso dell’incendio, con alte colonne di fumo che per un’ora si sono elevate sopra il Centro per immigrati isontino, non si sono registrati casi di intossicamento o feriti.

Da Il Messaggero Veneto Online

 

IL CIE DI GRADISCA DEVASTATO DALLE RIVOLTE DEI PRIGIONIERI

La notizia è ufficiale: dopo questi due giorni di rivolte il Cie di Gradisca è al collasso. Date una occhiata all’articolo uscito quest’oggi su di un quotidiano locale, che conferma dal lato dei questurini quello che già i reclusi ci hanno raccontato: in tutto il Centro le camerate ancora utilizzate sono solo sei o sette per centoquaranta persone. Tanto che si comincia a parlare della lontana possibilità di dover liberare dei prigionieri che non si sa più dove mettere…

Aggiornamento – ore 14.00. Il Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca non esiste più. Le ultime camerate che rimanevano sono state distrutte o rese inagibili dai rivoltosi questa mattina. Praticamente, del Cie rimane solo il cortile, dove sono stati ammassati tutti i prigionieri.

Leggi l’articolo.

«Tensione alle stelle al Cie: la struttura gradiscana cade a pezzi dopo la seconda giornata consecutiva di disordini. Ed è prossima al sovraffollamento. Anche ieri all’ex Polonio decine di immigrati hanno devastato le stanze, appiccando il fuoco in altre 4 celle e rompendone le vetrate per esporle al gelo e renderle inutilizzabili. Con mezza dozzina di spazi inagibili dopo la rivolta di giovedì, le stanze integre rimangono appena 6 o 7. All’ex Polonio non sta più uno spillo: 142 gli ospiti presenti, ben oltre la capienza attuale già ridotta – ironia della sorte – per la concomitante ristrutturazione. In stanzoni da 8-10 posti letto rischiano di dormire 20 e più persone. A meno che non inizi un progressivo svuotamento «che però significherebbe cedere al ricatto dei dimostranti e ammettere il fallimento delle politiche di rimpatrio» vanno giù duro i sindacati di polizia. La protesta ieri ha toccato l’apice dopo le 14, quando i vigili del fuoco sono intervenuti per sedare le fiamme. Un’intera sezione di fatto è in mano agli immigrati. A fine giornata nessun ferito fra gli ospiti e le forze dell’ordine, che l’altro giorno avevano arrestato e tradotto in carcere 5 tunisini con l’accusa di danneggiamento. Farebbero parte del contingente di 50 profughi trasferiti da Lampedusa. L’emergenza al Cie arriva nel momento peggiore. Gli operatori denunciano nuovi ritardi nell’erogazione degli stipendi. I sindacati di polizia protestano per le persistenti carenze di organico e i ritardi nei lavori iniziati proprio in questi giorni di tumulto seppure invocati da anni. L’obiettivo dei migranti, forse suggerito da regia esterna, è sfruttare questo momento di precarietà per rendere inagibili tutte le stanze. Ed incrementare le chance di fuga, di trasferimento o addirittura di rilascio seppure con l’intimazione – mai rispettata – di lasciare il territorio nazionale. Il rischio è denunciato da Angelo Obit, del Sap: «La risposta dello Stato deve essere ferma. Nessuno dei dimostranti va liberato, magari scegliendo quelli con minori precedenti penali. Significherebbe cedere». Altre misure invocate dagli agenti: niente nuovi arrivi sino alla completa efficienza strutturale e organica, immediato ripristino delle camerate, sistemazione provvisoria dei trattenuti in quelle agibili, divieto di detenere accendini. «Qualsiasi segnale diverso – conclude Obit – significherebbe ammettere il fallimento».


 

MIGRANTI IN FUGA, IL PREFETTO DI CAGLIARI: “CI STIAMO PREPARANDO ALL’EMERGENZA”

Sull’emergenza immigrazione determinata dalla crisi nel Maghreb anche le prefetture della Sardegna si stanno preparando per ospitare eventuali profughi in fuga nelle coste del Sud Sardegna.

“Se l’evento avrà le dimensioni che si temono è possibile che ci sia un coinvolgimento anche della Sardegna – ha spiegato il prefetto di Cagliari giovanni Balsamo”- ci stiamo muovendo per essere attrezzati a questa emergenza in via preventiva”. Uno dei possibili luoghi deputati a ospitare i profughi è il Centro di prima accoglienza di Elmas, all’interno dell’aeroporto militare di Cagliari. “E’ nato con questa funzione ed è una struttura sulla quale si stanno svolgendo dei lavori di ripristino – ha sottolineato Balsamo – in tutto il territorio sardo si stanno effettuando delle verifiche su quelle strutture che potrebbero eventualmente servire oltre il Centro di Elmas, come stanno facendo tutte le prefetture in tutta Italia”.

 

DOMANI 25 FEBBRAIO INCONTRO IN PIAZZA SAN SEPOLCRO CONTRO I CIE, MOSTRE, DIBATTITO E VOLANTINAGGIO

RIVOLTA IN LIBIA 1000 MORTI

Continua a propagarsi e infuriare la rivolta nei paesi del nord africa, in questi giorni il teatro più caldo è la Libia. Sono più giorni ormai che le strade sono invase dal popolo insorto. I militari sparano sulla folla. Nella notte sono state tirate bombe sui manifestanti.

Qualcosa, di discutibile, dalle testate giornalistiche:

http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/390134/

http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/389809/

http://www.repubblica.it/esteri/2011/02/22/dirette/libia_22_febbraio-12751095/?ref=HREA-1

http://www.internazionale.it/rivoluzioni/

 

Palermo :E’ morto il giovane marocchino Si era dato fuoco per una multa

E’ morto il giovane marocchino
Si era dato fuoco per una multa
Noureddine Adnane, ambulante con licenza e permesso di soggiorno in regola, si era dato fuoco per protestare contro l’ennesima multa dei vigili. I caschi bianchi gli hanno contestato il fatto che era fermo nella stessa strada da troppo tempo.
Noureddine Adnane non ce l’ha fatta. L’ambulante marocchino che si è dato fuoco venerdì della settimana scorsa in via Ernesto Basilie, per protestare contro l’ennesimo controllo da parte della polizia municipale, è morto questa mattina alle 11 al centro grandi ustionati dell’ospedale Civico.

C.P.A. di Elmas in ristrutturazione

Unione Sarda 15 Febbraio 2011

Immigrazione. Decine di clandestini incendiarono il Cpsa e tentarono la fuga

La rivolta d’ottobre costa 450mila euro

Oggi via ai lavori di ristrutturazione: dureranno tre mesi

La ristrutturazione costerà 450 mila euro, 370 mila per la struttura e 80 mila per l’impiantistica.

Se non fosse stato per l’incendio che nell’ottobre scorso ha distrutto il primo e secondo piano, almeno duecento tra le migliaia di tunisini che in questi giorni approdano a Lampedusa sarebbero stati trasferiti al Centro di primo soccorso e accoglienza di Elmas. Ma i posti residui sono 50 (su 220) ed è difficile che il ministero dell’Interno autorizzi l’arrivo di pochi immigrati.
APPALTO DA 450 MILA EURO Almeno per i prossimi tre mesi. Tra 90 giorni, infatti, è previsto che terminino i lavori di ristrutturazione del Centro che costeranno 450 mila euro (370 mila per la struttura e 80 mila per l’impiantistica), 150 mila in più della somma stimata quattro mesi fa. Il progetto di ristrutturazione è stato predisposto dal Provveditorato opere pubbliche e proprio oggi i lavori saranno consegnati all’impresa che si è aggiudicata l’appalto. A cui, considerata la pressione degli immigrati tunisini, la Prefettura chiede di accelerare i tempi.

LE RIVOLTE D’OTTOBRE L’edificio che si trova dietro l’aeroporto di Elmas, all’interno dell’ex base dell’aeronautica militare ora dismessa, era stato semidistrutto tra il primo e l’11 ottobre scorsi, in occasione di tre rivolte. Nella prima, un gruppo di immigrati aveva dato fuoco ai materassi dopo averli squarciati e imbottiti di carta e vestiti ed averli cosparsi di liquido infiammabile. Il fumo nero e le fiamme, alte quasi cinque metri, avevano fuso le plafoniere, annerito e danneggiato pareti, soffitti e le reti dei letti a castello. Cinque giorni dopo un altro incendio aveva distrutto il poco che restava, mobili compresi e 39 ospiti del centro avevano rischiato di morire. L’11, giorno in cui un gruppo di clandestini fuggì dal centro causando la paralisi dell’aeroporto per tre ore – 12 voli cancellati, cinque dirottati, 11 arresti, probabilmente nessuna condanna – il lavoro di devastazione venne completato con la rottura degli infissi interni ed esterni.

«TRASFERIRE IL CENTRO» Il problema che si era posto nell’immediatezza dei fatti era se avesse senso spendere tanto per una struttura che in due anni ha causato per sei volte la chiusura dello scalo. «Il centro deve essere trasferito perché è in un luogo inidoneo come l’aeroporto», aveva detto il deputato del Pd Paolo Fadda, che con i colleghi di partito sardi aveva presentato anche un’interrogazione al ministro dell’Interno. Ma Maroni, rispondendo, era stato esplicito: «Questa posizione è utile per facilitare il rimpatrio dei clandestini, ma rafforzeremo la sicurezza». Su questo punto non ci sarebbero ancora i fondi.

I CENTRI In Italia i centri di accoglienza sono sette: Lampedusa (804), Bari Palese (994 ), Brindisi, Restinco (128), Elmas (220 posti), Caltanissetta, Contrada Pian del Lago (360), Crotone (978), Foggia (716).

Trasferimento migrati da Lampedusa

Lampedusa, i richiedenti asilo verso Mineo nel villaggio che ospitava le forze NATO

Verranno così liberati i posti nei 10 Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (“Cara”) che potranno così ospitare i circa 1800 tunisini sbarcati nell’isola siciliana nei giorni scorsi. Le perplessità dell’UNHCR

LAMPEDUSA –  E’ ripreso il ponte aereo per il trasferimento dei 1814 migranti che si trovano ancora a Lampedusa. Novantasette di loro sono stati imbarcati su un volo diretto al centro di accoglienza di Bari Palese. Un secondo volo da Lampedusa ha poi fatto rotta verso altri centri italiani. In precedenza,  70 tunisini, tra i quali c’erano trenta minori, erano stati imbarcati sul traghetto di linea per Porto Empedocle. Il sindaco di Lampedusa Bernardino De Rubeis, che si è incontrato a Roma con il ministro dell’Interno Roberto Maroni, ha detto che tutti gli immigrati lasceranno l’isola entro dieci giorni.

Il Viminale: “Tutti a Mineo”. Nel frattempo, al Viminale si sta per adottare la decisione di trasferire nel “villaggio della solidarietà” a Mineo (Catania) tutti gli immigrati attualmente alloggiati nei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (“Cara”) che si trovano in sei diverse località della Sicilia, a Crotone in Calabria, a Bari e Foggia in Puglia e a Gradisca d’Isonzo nel Friuli. Tutto questo allo scopo di lasciare il posto ai tunisini approdati a Lampedusa negli ultimi giorni e quelli che – favoriti dalle buone condizioni del mare – quasi sicuramente continueranno ad arrivare.  Il ministero sta perfezionando l’accordo con la società Pizzarotti di Parma, proprietaria del villaggio, composto da villette di 70 – 100 metri quadrati, che ospitavano i militari Usa della Nato.

Le perplessità dell’UNHCR. Ma questa decisione

– semmai fosse adottata – suscita perplessità all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). “Se fosse confermato il provvedimento – ha commenatato Laura Boldrini, portavoce dell’UNHCR – si potrebbe verificare una sorta di terremoto nel sistema d’asilo, in quanto finirebbe per alterare l’attuale iter per la concessione della protezione internazionale. Un sistema che, seppure tra mille difficoltà e limiti, finora comunque ha funzionato. Per risolvere il problema della sistemazione dei tunisini arrivati a Lampedusa, in gran parte migranti in cerca di lavoro e non richiedenti asilo  – ha proseguito la Boldrini – si finirebbe per stravolgere l’equilibrio dei centri di accoglienza, rallentando ancor di più il lavoro di accertamento che precede la concessione dell’asilo”.

Le possibili complicazioni. Infatti, le dieci Commissioni Territoriali che lavorano nei “Cara” sarebbero costrette a trasferirsi tutte a Mineo e questo, molto probabilmente, comporterebbe non poche complicazioni logistiche. Ogni Commissione è composta da un Prefetto, un rappresentante delle Nazioni Unite (UNHCR), un rappresentante dell ministero dell’Interno, e uno dell’Amministrazione locale dove si trova il “Cara”.

Voci di reimpatrio infondate. Gli immigrati ancora nell’isola avevano anche minacciano di attuare uno sciopero della fame se non fossero stati trasferiti in tempi brevi dall’isola. Richiesta che, del resto, aveva avanzato anche l’UNHCR.  Tra gli extracomunitari, in gran parte tunisini, avava infatti cominciato a serpeggiare la paura che potessero essere rimpatriati. Anche il sindaco dell’isola, Bernardi De Rubeis, si era detto “preoccupato per il rischio che la situazione potesse degenerare”.

da repubblica.it

(17 febbraio 2011)

ABDEL? UNA STORIA COME TANTE

A. I., storia di uno dei tanti..

32 anni, in Italia da dieci anni, Cagliari, Milano poi ancora Cagliari.

I primi di Dicembre viene fermato dalla pubblica forza appena qualche giorno dopo la nascita del suo primo figlio e appena qualche giorno prima del riconoscimento che gli sarebbe valso il permesso di soggiorno di famiglia.

Viene spedito al CIE di Milano, la sua presunta colpa come quella di tutti gli “ospiti” dei CIE è quella di non aver un documento, un pezzo di carta che lo stato italiano tanto si impegna a non far avere a migliaia di persone che come noi vorrebbero vivere in questo paese.

Qualche giorno prima delle festività natalizie si ribella insieme ad altri prigionieri contro l’insostenibile situazione che si vive dentro questi veri e propri lager.

L’indomani viene trasferito al lager di Torino, qui riesce a mettersi in contatto con chi da fuori lotta contro il razzismo e i CIE, che vista la situazione gli da’ i nostri numeri e lui si mette in contatto con noi.

Presi i contatti con lui troviamo un avvocato che segua il caso, mentre noi cerchiamo di trasmettere solidarietà e umanità a persone che sono disumanizzate ogni giorno, e in quei momenti si capisce ancora meglio cosa sono i CIE, le chiamate quotidiane, i racconti, il tono della voce, danno solo un idea di cosa si viva.

Il 6 Gennaio scade il primo foglio di permanenza nel CIE, vuol dire che A. potrebbe essere espulso da un momento all’altro, da un giorno all’altro. E di espulsioni da Torino ne vengono fatte quasi tutti i giorni.

L’avvocato può forse bloccare almeno momentaneamente questo procedimento per avere il tempo per tentare di ottenere il permesso di soggiorno.

Dopo una settimana di ansie e paure arriva finalmente il foglio, è il 14 Gennaio, per un altro mese A. sarà prigioniero ma non sarà espulso.

Le pratiche per il riconoscimento subiscono complicazioni familiari.

Nel frattempo la prigionia si fa’ sempre più dura, un giorno a lui e ai suoi compagni di cella vengono servite per pranzo erbe di campo bollite, due giorni dopo sette finanzieri lo portano in un angolo lontano dagli sguardi elettronici delle telecamere del CIE e lo pestano, sotto l’occhio umano e attento dei crocerossini una volta di più complici di tutto.

Il 6 Febbraio, squilla un telefono a Cagliari è A., voce più cupa del solito, dice “Mi stanno facendo l’espulsione”, “Sono a Malpensa”. L’avvocato non può fare niente.

L’aereo parte A. torna in Marocco, dopo dieci anni, qualche ora in una caserma poi fuori, purtroppo fuori da tutto, specialmente per qualcuno fuori dall’Europa.

Uno dei tanti, una storia come tante, fatta di soprusi, sfruttamento, fughe, ritorni, CIE, pestaggi e per finire un rimpatrio forzato, senza preavviso e prima dei termini.

Trenta lager per migranti in Italia raccontano ogni giorno storie come questa, presto riaprirà un lager anche qui a Cagliari, non lasciamo che questo avvenga nel silenzio, proviamo a dire IO NON CI STO.