Archivi del mese: luglio 2019

Arriva lo stop alle esportazioni belliche verso Arabia saudita e Emirati Arabi. Cosa farà la RWM?

Il vice premier Di Maio l’aveva annunciato qualche giorno fa via social, da oggi è ufficiale. Lo stato italiano ha imposto uno stop di 18 mesi alle esportazioni belliche con i due principali partner commerciali della RWM.

Non si capisce perché siano solo 18 mesi, se per una questione legale, cioè si tratti di un periodo che eventualmente potrebbe essere rinnovato, o se sia una scelta con la speranza che qualcosa sui fronti bellici cambi e fra 18 mesi si riaggiorneranno. L’impressione – ma ci si potrebbe sbagliare – è che sia il solito provvedimento che non è né carne né pesce. Nel senso che probabilmente fra 18 mesi questo governo non ci sarà più, o sarà comunque in una fase molto diversa da quella attuale, e chissà Di Maio e i 5S dove saranno. L’impressione quindi è quella di aver voluto fare ora una mossa per provare a ritrovare un pò di consenso nella base dell’elettorato pentastellato assai delusa dai vari dietro front su questioni come NOTAP, NOTAV e via dicendo. Poi quando scadrà si vedrà, se il governo sarà caduto diventerà l’ennesimo cavallo di battaglia per criticare la maggioranza.

Questi ragionamenti sono stati fatti non tanto per psicanalizzare questo governo o questo o quel politico, ma per provare a renderci conto tutti quanti che questo Stop non si può considerare una vittoria, e che anzi forse proprio ora bisognerebbe provare a forzare la mano sulla questione dell’industria di guerra in Sardegna, cercando quell’efficacia (quindi andare dove a toccare dove più nuoce, sul denaro) che purtroppo nonostante tanti e generosi tentativi non si è quasi mai raggiunta. Ora il fianco è più scoperto.

La RWM dal canto suo ha bloccato le assunzioni previste e attraverso il suo direttore generale ha fatto sapere che: “Una decisione non dovuta a scelte aziendali né al mercato e che va serenamente accettata nel rispetto delle Leggi dello Stato. Inizia oggi un periodo non semplice che richiede la collaborazione di tutti affinché l’azienda prosegua nella razionalizzazione degli investimenti strategici, mantenga la propria posizione di mercato e si faccia trovare pronta a riprendere al termine della sospensione”.

Sgarzi parla anche di cercare nuovi partner commerciali e di adoperarsi al meglio per mantenere tutto il personale assunto tra Ghedi e Domusnovas.

Quello che succederà a oggi quindi non è chiaro, speriamo che nei prossimi giorni emergano maggiori dettagli anche nel merito del blocco per capire quali siano i termini precisi.

Ci sarà da capire anche se i dirigenti proveranno a trovare dei cavilli o sotterfugi vari per aggirare questo blocco (esattamente come ha fatto la Germania per l’Arabia saudita proprio con la RWM),  e se riusciranno in breve tempo a trovare nuove guerre da cui trarre profitto.

Di sicuro per la RWM si tratta di un brusco stop, proprio nel pieno delle grandi manovre di espansione dello stabilimento e delle varie tipologie di produzione.

 

 

Doppio botto

Notte movimentata in costa est.

A Dorgali nel cuore della notte un ordigno rudimentale ha divelto la serranda della sede locale del Partito Democratico. Secondo quanto riportano i giornali non vi sono dubbi sulla natura del fatto, non si è trattato di un incidente. La segretaria del circolo dice di non aver avuto alcuna avvisaglia di malesseri. Ad ora non vi sono altre notizie.

Sempre questa notte ma un pò di chilometri a sud, a Cardedu, è stata data alle fiamme l’automobile del sindaco.

Ovviamente si è levato da parte delle forze politiche di qualsiasi colore un coro unanime di condanna per i fatti e la solita patetica richiesta di più sicurezza e più controllo. In altre parole, sbirri e militari per le strade, telecamere sui muri.

Dorgali

Ciò che rimane dell’ingresso della sede del PD di Dorgali.

Saluto al carcere di Bancali

La sera del 18 Luglio abbiamo portato un saluto ai detenuti del carcere di Bancali e al nostro compagno Robert trasferito nel carcere sassarese in seguito all’arresto nell’operazione Prometeo:

l’ennesima operazione repressiva che ha portato in carcere Robert, Natasha e Beppe.

Una quindicina di persone sono arrivate da un lato del carcere nonostante la presenza della Digos che pattugliava il territorio ed hanno urlato cori, acceso dei fuochi e lanciato qualche botto.

L’iniziale “timidezza”dei prigionieri è venuta meno con l’accensione dei fuochi d’artificio scatenando una vera e propria ovazione che ci ha scaldato il cuore. Speriamo che a Robert siano arrivate le nostre grida ed i messaggi da parte di amici e compagni che abbiamo letto al megafono.

Il carcere di Bancali lascia sempre il segno per la sua posizione in campo aperto con alte mura e circondato dal silenzio. Il nostro saluto è stato un momento per interrompere quel silenzio e condividere un momento diverso con i detenuti.

Ovviamente mentre il gruppo di solidali era già su strada, è stato fermato e perquisito dalla polizia del luogo e dalla Digos che ha mollato la presa senza lasciare le solite cartacce in mano ai fermati.

A Robert, Nat e Beppe va tutta la nostra solidarietà e vicinanza.

Tutti libere e fuoco alle galere.

Sullo sciopero della fame, di Nadia Lioce

Al Direttore del carcere de L’Aquila

per conoscenza al – Magistrato di Sorveglianza de L’Aquila – Garante Nazionale dei Detenuti

Da Nadia Lioce, detenuta in 41bis

Il 18 giugno 2019 alle ore 12:00 ho iniziato una battitura di venti minuti al giorno delle sbarre della finestra della camera detentiva come gesto di solidarietà e condivisione della protesta attuata con sciopero della fame dal 29/05/2019 da due detenute, anarchiche, della “sezione gialla” del carcere de L’Aquila attualmente classificata AS2 femminile.

La protesta è contro il regime del 41bis e la pressione permanente che esercita sul prigioniero, innanzitutto tramite la segregazione, e poi con tutto ciò che essa rende possibile praticare all’Amministrazione Penitenziaria in termini afflittivi/punitivi. Pressione che, nel vantaggio politico ottenuto dal DAP con quelle sentenze della Magistratura che vanno sottraendo le misure restrittive e di azzeramento delle libertà residue dei detenuti a 41bis al controllo giurisdizionale, si sta estendendo anche a settori di alta sicurezza, quale la sezione gialla, riclassificata AS2 alla sua riapertura nel febbraio del 2018. Una sezione decenni prima adibita ad area di isolamento del reparto femminile, poi chiuso; rimessa in funzione quando il Ministero nel 2005 decise di dislocarvi le “politiche” sottoposte a 41bis e che fu chiusa nuovamente a fine 2012, quando il 41bis femminile fu trasferito in reparto. Essendo stata in origine area di isolamento l’attuale AS2 femminile è una sezione particolarmente angusta, vi possono essere detenute soltanto quattro prigioniere in altrettante celle, e quelle ora presenti sono vigilate da personale GOM come lo sono i detenuti in 41bis. Infatti il tipo di segregazione a cui soggiacciono è simile a quanto prevede il regime speciale. Diverso per numero e modalità di colloqui, telefonate e ore d’aria, non lo è affatto invece sia per esiguità di rapporti sociali, essendo presenti tutt’al più tante detenute quante costituiscono il tetto massimo del “gruppo di segregazione” con cui in 41bis dal 2009 è stata normalizzata l’ “area riservata” a suo tempo stigmatizzata dalla CEDU, sia per le misure di regolamentazione della vita quotidiana che sono in gran parte le stesse del “carcere duro”, motivo per cui alla vigilanza è deputato il GOM. Limitazioni di stampa, pretese di censura della corrispondenza, rapporti disciplinari ad ogni sciocchezza, e tutto il resto, sono espressioni dello spirito del 41bis, di sospensione di tutti quegli ordinari diritti e facoltà del detenuto dei circuiti comune/alta sicurezza, almeno per quel tempo occorrente all’iter giudiziario di un ricorso che – eventualmente – disponga diversamente e per il quale di norma occorrono anni, non giorni, saturata com’è l’agibilità delle prime istanze giudiziarie di garanzia con la creazione da parte dell’Amministrazione di innumerevoli ragioni di reclamo, con ovvio pregiudizio dell’effettività della tutela giurisdizionale. Anche la “sterilizzazione” del tempo trascorso insieme agli altri ai passeggi, con ciò intendendo l’impossibilità di recare con sé un libro, un giornale, un caffè, qualunque cosa che possa fare da materiale di una socializzazione concreta tra esseri umani civilizzati, è tipica della condizione di prigionia in 41bis. Lo stato estremo di segregazione che caratterizza la vita del detenuto in 41bis, un’ipotesi – ad oggi – per sempre, è stato nella “sezione gialla” generalizzato anche alla condizione del detenuto ad alta sicurezza. La logica segregativa e punitivo/afflittiva, volta ad esercitare una pressione costante e crescente sul nemico da sottomettere o annichilire, è uscita dalla originaria eccezionalità ed emergenzialità del 41bis che l’aveva fatta apparire plausibile a suo tempo ed è diventata dapprima perpetua e, avendo sempre rappresentato l’istanza eminentemente politica che la muove, fin dalla definizione di

“carcere duro” comunemente adottata e sbandierata ma anche nelle motivazioni di deterrenza verso il referente sociale dei militanti BR e rivoluzionari prigionieri, contenute nei loro decreti di 41bis, si è insinuata nel circuito dell’alta sicurezza e perfino in quello comune, come dimostrano anche recenti proteste e addirittura rivolte provocate dalla direttiva DAP di spegnimento delle televisioni a mezzanotte che generalizza quanto dispose in merito il regolamento del DAP del 2017 per il 41bis. Né del resto poteva essere diversamente una volta legiferato, e legittimato, che il 41bis potesse essere un trattamento perpetuo in assenza di collaborazione; implicare divieti di parlare al di fuori del gruppo di segregazione – tale diventato di fatto e di diritto – e prevedendo che chi faccia comunicare un detenuto in 41bis con “l’esterno”, a prescindere dalla “reità” del contenuto della comunicazione, sia penalmente sanzionabile. L’ultimo tassello necessario era quello di ottenere il vantaggio di alcuni riconoscimenti giudiziari alla pretesa dell’Amministrazione di sottrarsi al controllo giurisdizionale, se esso non si adatta a restituire mera legittimazione della sua arbitrarietà, così da garantirsi, in ipotesi il regime speciale in sé dovesse decadere in generale o per il singolo, che la sua sostanza rimanga impregiudicata e faccia da modello di un ordinamento penitenziario libero da vincoli di un sistema giuridico di tipo costituzionale. In un carcere come quello de L’Aquila che secondo la relazione del Garante dei detenuti del 2019 si pregia del primato delle sanzioni disciplinari irrogate – il 74% del totale degli undici reparti di 41bis del paese -, cioè è il carcere duro più duro di tutti, l’istituzione dell’unica sezione AS2 femminile e, prima di essa, della sezione 41bis femminile a cui furono assegnate le “politiche”, può apparire persino una scelta con un profilo anche di misoginia, aspetto che sempre integra un quadro culturale-sociale retrogrado quale quello che è invalso e si è andato strutturando in ambito penitenziario eppure in generale nel paese negli ultimi decenni. Un aspetto però eventualmente del tutto secondario rispetto al contesto più complessivo che inevitabilmente ha condotto, e va da sé continuerà a condurre, a resistenze di ogni tipo, spesso estreme per qualche verso, come lo sono le condizioni detentive a cui siamo sottoposti. La segregazione che ci è imposta del resto attacca l’integrità della persona che sociale lo è in se stessa non circostanzialmente, ne suscita perciò una resistenza a propria difesa proporzionale al sopravvivere. Condividere questa condizione fa sì che la resistenza di Anna e Silvia sia anche la mia come di altri detenuti e che sia interesse di ognuno che l’AS2 femminile de L’Aquila venga chiusa e venga messo termine a ciò che rappresenta.

L’Aquila, 25/06/19

Riflessioni a freddo (nonostante il caldo) sulle ultime perquisizioni in Sardegna.

Riceviamo e pubblichiamo:

A distanza di qualche giorno dalle perquisizioni che hanno coinvolto alcuni compagni di Nuoro, Sassari e il nostro spazio, vorremmo condividere alcune brevi riflessioni su quanto è accaduto, riflessioni nate dalle discussioni interne al Collettivo, che rappresentano quindi il nostro piccolo punto di vista. Innanzitutto pensiamo che tutto ciò che accade, a noi e intorno a noi, possa essere usato come spunto per la discussione e il confronto politico, un modo per mantenere vivo il dibattito e per affrontare in modo consapevole la realtà che ci attornia. Quindi speriamo che queste righe rappresentino un’occasione per riflettere su repressione e solidarietà.

Per prima cosa vogliamo esprimere la nostra vicinanza alle altre compagne e compagni che con noi hanno ricevuto la perquisizione. In secondo luogo vogliamo ringraziare le tante persone e realtà che hanno prontamente espresso la loro solidarietà e che abbiamo sentite vicine a noi.

Chi ci conosce sa bene che da sempre il nostro Collettivo si è occupato di lotta al carcere e alla repressione, in tante occasioni abbiamo manifestato la nostra solidarietà a chi veniva inquisito e rinchiuso. Di recente abbiamo cercato nel nostro piccolo di portare oltre le mura delle sezioni di alta sicurezza le voci delle compagne e dei compagni in sciopero della fame, perché sentivamo la loro lotta come la nostra, le loro pratiche come le nostre.

La composizione del Collettivo è da sempre eterogenea, riunendo e facendo dialogare visioni e pratiche diverse ma accomunate dal desiderio di rovesciare l’esistente. Quindi la logica dei colpevoli/innocenti e delle pratiche buone/pratiche cattive non è mai stata la nostra, anzi la abbiamo sempre osteggiata, non solo perché espressione della visione statale contro cui lottiamo, non solo perché manipolabile dallo Stato nelle famigerate pratiche di divisione dei movimenti, ma soprattutto perché riconosciamo l’importanza di fare nostre pratiche diverse tra loro. Sentiamo ugualmente importanti le iniziative di controinformazione, i cortei, i volantinaggi, le azioni dirette ecc. Insomma, penna o sasso sono per noi entrambi validi strumenti di lotta contro le varie forme di saccheggio dei territori, di annichilimento delle persone e di oppressione dei popoli. Riconosciamo le nostre diversità politiche, la diversità delle pratiche che proponiamo, ma ci sentiamo parte di un’unica comunità in lotta. Ecco perché pensiamo che nei momenti in cui lo Stato bussa alla nostra porta, a quella dei nostri compagni e compagne nell’isola così come di quelli oltre mare, sia importante manifestare la nostra solidarietà rivendicando pari dignità e pari forza alle diverse pratiche con cui lottiamo.

Questi ultimi anni ci stanno offrendo tante occasioni per capire come per lo Stato non vi sia differenza se appendi uno striscione, se interrompi un’esercitazione, se attacchi un manifesto o se metti dei granelli di sabbia negli ingranaggi di questa assurda macchina che ci controlla e ci sfrutta. Per lo Stato sono tutte espressioni di “insubordinazione” di chi non accetta i confini in cui ci vorrebbero relegare. Ebbene, non fa differenza neanche per noi e queste pratiche le rivendichiamo tutte nostre. La repressione, quindi, ci offre una grande opportunità: urlare a gran voce ciò che rivendichiamo, tracciare un solco profondo tra la logica del dividi et impera e la logica della solidarietà. Non ci sentiamo vittime di questo sistema: siamo semplicemente dall’altra parte della barricata e questo comporta necessariamente diventare bersaglio della repressione. E’ parte del gioco che abbiamo accettato di intraprendere. Riteniamo quindi importante, anche in occasioni come questa, rilanciare la posta in gioco, non solo mettendo in luce i meccanismi con cui lo Stato persegue i “fuori dal margine”, ma anche rivendicando la nostra differenza, il nostro cercare, pur con tante contraddizioni, di non accettare l’inaccettabile, di non smettere di immaginare e lottare per una terra libera.

Tante pratiche, un’unica lotta.

Collettivo S’IdeaLibera

Un coup de dés – Comunicato fine sciopero della fame

Un coup de dés

Che la vita sia una partita a dadi contro il destino lo scrisse un poeta, che agli anarchici piaccia giocare lo sappiamo. Una prima partita l’abbiamo conclusa. Un mese per tastare il terreno ed annusare i confini della gabbia, un mese di sciopero della fame per far capire che siamo materiale difficile da inscatolare.
Al trentesimo giorno sospendiamo con il proposito di tornare con maggior forza. Un primo bilancio positivo è nella solidarietà viva, spontanea, immediata dentro e fuori le carceri, che ha sollevato chiaro e forte il problema.
Da dentro: un mese in sciopero anche Marco e Alfredo in AS2 ad Alessandria e Ferrara, a cui si è aggiunta Natascia al suo arrivo a Rebibbia e con cui abbiamo proseguito una volta arrivata qui, poi altri compagni, Stecco, Ghespe, Giovanni, Madda, Paska e Leo.
Da vicino: abbiamo sentito le battiture dal 41bis femminile e maschile aquilani, musica che rompe il silenzio di questa fortezza montana e a cui abbiamo risposto e continueremo a rispondere finché dureranno, solidali con quante e quanti subiscono da anni sulla propria pelle questo regime infame.
Da fuori: azioni dirette, incursioni informative, azioni di disturbo in giro per l’Italia e nel mondo hanno fatto da megafono a qualcosa che non è un gioco: differenziazione carceraria, circuiti punitivi, affinamento delle strategie repressive, in chiave anti-anarchica e non solo. Non è nulla che non conoscessimo e manteniamo la consapevolezza che dentro come fuori le scintille pronte a propagarsi sono ovunque, questo ci dà forza e determinazione.
È solo un inizio che speriamo sia stato un’iniezione di fiducia nelle potenzialità e nella forza che portiamo, dentro e fuori, con noi.

L’Aquila, 28 Giugno 2019
Silvia, Natascia, Anna