Archivi categoria: Convogli militari

Dopo 10 anni, NOBORDERSARD chiude

Dieci anni. Si, sembra strano parlarne ora in cui i giorni scorrono lenti, scanditi dagli allarmi di pandemia.

Dieci anni diventano quasi un’era geologica in quest’epoca frenetica in cui tutto dura poco e viene sostituito e dimenticato come se niente fosse, ma è questo il tempo che è durato NOBORDERSARD, dal suo primo articolo sullo sgombero del palazzo di Giorgino occupato dai migranti a oggi, è passata tanta acqua sotto i ponti.

Ora è però giunto il momento di fermarsi, riflettere e riorganizzarsi.

Riflettendo sull’utilità dello strumento non possiamo dire che non sia stato uno strumento importante che ha affiancato le lotte e le iniziative. Ci ha accompagnato dalle lotte studentesche a quelle contro le basi militari, passando per il carcere, quella NoRadar e tante altre.

Nella ristrettezza dei nostri strumenti e delle nostre capacità abbiamo cercato di fornire degli elementi di critica ed analisi per meglio comprendere le lotte in corso, non disdegnando sguardi al passato e prospettive future.

Non sono mancate le visite e le condivisioni – sopratutto nei momenti “caldi” – dove abbiamo raggiunto cifre enormi e inaspettate, e neanche le riflessioni e i contributi. Ovviamente non possiamo dimenticare visite e commenti di sbirri, militari e pm, che ci sono costati anche qualche denuncia.

La decisione di fermarsi ha per noi uguale importanza della coerenza che abbiamo cercato di mantenere.

Uno strumento per quanto importante resta sempre tale e non metterlo in discussione, tenendolo come un’entità immutabile non è un concetto che ci appartiene.

Le nostre riflessioni si sono appiattite e spostate su altri strumenti, i contributi si sono ridotti all’osso, la pubblicazione di iniziative affievolita e il nostro impegno per portare avanti uno strumento come questo non è più lo stesso forse perché abbiamo smesso di sentirlo “nostro” nel senso più positivo del termine, così come abbiamo percepito nei nostri compagni l’abitudine ad avere un mezzo importante ma scontato.

Per questo abbiamo deciso di interrompere quest’esperienza nel prossimo futuro, raccogliendo il materiale che abbiamo pubblicato per metterlo a disposizione di chi è interessato e riflettere, scoprire o ricordare.

L’assenza mette in discussione anche l’esistenza stessa di uno strumento, sarà nei prossimi tempi che percepiremo la mancanza e capiremo se questo compagno di viaggio lascerà in noi il sapore amaro dell’addio o il dolce profumo del rilancio.

Per ora non possiamo che ringraziare tutte e tutti coloro che lo hanno seguito ed utilizzato e chi lo ha considerato uno strumento importante per le lotte, per uno spunto di riflessione o anche solo per un resoconto di un’iniziativa.

Per ora ci fermiamo qui, davanti a noi però si aprono ora tante strade, e valuteremo in che modo percorrerle.

Un abbraccio.

I redattori

Cagliari 23/3/2020

p.s.: il blog rimarrà aperto ancora per un po’ di mesi in modalità consultazione in modo che chi volesse salvarsi alcuni materiali lo possa fare con calma. Anche la mail rimarrà attiva ancora un po’, e vi invitiamo a scriverci commenti, saluti, ricordi, critiche, suggerimenti o barzellette. I materiali verranno salvati e saranno disponibili quando il blog sparirà dalla rete, vi aggiorneremo su dove li potrete reperire.

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Genova – Comunicato sul blocco dei carichi di guerra della Bahri Yanbu

Pubblichiamo il comunicato del CALP (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) di Genova in merito all’ennesimo blocco del terminal dove avrebbe dovuto attraccare la Bahri. Nell’ultimo anno il CALP insieme alla proficua collaborazione con compagni e solidali sta fornendo uno degli esempi più interessanti e efficaci di contrasto alla guerra e agli interessi economici ad essa connessi.

Per chi come noi, vive in una città di mare e di porto come Cagliari, queste notizie non possono che essere di ispirazione per proseguire la lotta contro la guerra e l’occupazione militare della Sardegna.

Sono passati alcuni giorni dal presidio a Varco Etiopia contro l’arrivo della Bahri Yanbu e può essere il momento per alcune riflessioni e un abbozzo di bilancio.

Provando a districarsi nel grande meccanismo della guerra si corre il rischio di perdersi e di incrociare un’ipocrisia dopo l’altra. Di fronte a quest’enormità pare solitamente che non si possa fare nulla o che i gesti e le azioni rimangano di fatto inefficaci. A noi invece pare che quello che è successo negli ultimi mesi attorno alla lotta contro la Bahri sia importante e produca degli effetti reali: mentre conoscevamo conflitti semisconosciuti e luoghi dai nomi difficili abbiamo conosciuto altri compagni, vicini e lontani e che in qualche caso avevano cominciato questa battaglia ben prima di noi. Una dimostrazione della dimensione assunta è la variegata (e se consideriamo il giorno feriale e la pioggia, pure significativa) partecipazione al presidio di Lunedì 17: volevamo bloccare l’ingresso principale del porto e chi c’era è stato da subito disponibile a porsi su questo piano e il blocco è durato più di sette ore, in barba agli avanzamenti repressivi dei governi. Danni reali forse non molti, perché probabilmente le contromisure per la gestione del traffico portuale, deviato sui varchi secondari, erano state prese in anticipo. Ma comunque un segnale significativo.

Un segnale altrettanto importante crediamo sia stata la discussione sorta tra i lavoratori chiamati quel giorno a lavorare sulla Bahri Yanbu e il fatto che alcuni si siano rifiutati di farlo, optando per una sorta di obiezione di coscienza. Le operazioni di carico (solo materiale “civile”, lo ricordiamo) non sono state pregiudicate da queste scelte singole, ma di questi tempi il rifiuto di collaborare non è poca cosa.

Se poi allarghiamo lo sguardo, le iniziative direttamente collegate alla Bahri, o in solidarietà, o più genericamente contro la guerra ma con esplicito riferimento alla sua logistica e al ruolo della compagnia saudita sono state davvero tante, nei porti (Anversa, Tilbury, Cherbourg, Bilbao) come altrove (Marsiglia, Firenze, Pisa, Milano, Livorno, Catania, Roma, Siena, Bologna, Torino, Trieste, Cagliari, Sassari, Basilea, Zurigo, Vienna, Berlino, Norimberga, Santander, Motril, Atene) mostrando come le fabbriche di armi, le basi militari, i centri di ricerca universitari al militare subordinati, così come tutto ciò che costringe alla migrazione e le condizioni di vita e di lavoro degli stranieri in Europa facciano parte dello stesso ingranaggio di guerra.

Dai primi momenti di lotta di maggio e giugno 2019 non è passato solo del tempo, ma si è anche allargata la consapevolezza del ruolo della compagnia saudita Bahri nei vari contesti di guerra che, lo ribadiamo ancora, non sono soltanto la guerra in Yemen, ma anche quella in Kashmir e in Rojava e Siria del Nord. La Bahri non è una compagnia navale qualsiasi ma svolge un servizio specializzato, perché la guerra è una merce che trova sempre spazio nelle sue navi, e verso qualsiasi destinazione; inoltre tra i suoi proprietari c’è l’impresa leader mondiale nella produzione petrolifera, la Saudi Aramco (che vanta anche il primato mondiale di inquinamento da anidride carbonica dal 1952 ad oggi). La guerra in Yemen serve a tutti i paesi occidentali, perché in gioco c’è il controllo dello stretto di Bab el Mandeb (e quindi gli alti profitti e i bassi costi) che garantisce all’Europa l’arrivo di tutte le merci cinesi e di tutto il petrolio mediorientale.

Varrebbero discorsi simili per quel che accade in Libia, e visto che tanto si parla della Bana ormeggiata in porto al Terminal Messina, sequestrata da giorni e con il comandante arrestato mercoledì, viene da chiederci come mai tutto questo scalpore: forse che tutta questa attenzione dei francesi ha anche a che fare con gli interessi (concorrenti) di Total ed ENI in Libia? E come mai nessuno dice che i mezzi portati con la Bana in Libia (e destinati al governo sostenuto anche dall’Italia, formato anche da qaidisti e miliziani Isis) sono sì di produzione turca, ma sempre in collaborazione con imprese europee (Bae Systems, Rheinmetall)?

E tanto per aggiungere un elemento: mentre eravamo a Varco Etiopia lunedì, stavano passando a Ponte Assereto (Terminal Traghetti) mezzi militari Iveco destinati ufficialmente alla Tunisia (e poi Libia??)

Tutti i capitalisti vendono armi a chi fa la guerra non solo perché è redditizio ma perché la guerra serve a tutti i capitalisti.

Di fronte a questi scenari, occorre rimarcare che quello che è accaduto nelle ultime settimane è frutto principalmente dell’iniziativa autonoma di lavoratori, compagni e tanti solidali ma davvero poco dei sindacati. La stessa “politica” a più riprese chiamata in causa ha risposto in modo allo stesso tempo chiaro, ambiguo e ipocrita e ne prendiamo atto: la legge vigente (185/90) non si applica alla guerra in Yemen perché sarebbe stato il governo yemenita a chiedere a quello saudita di… bombardare il paese; ugualmente, la stessa legge che recita “l’esportazione, l’importazione e il transito dei materiali di armamento […] nonché la cessione delle relative licenze di produzione, sono soggetti ad autorizzazioni e controlli dello Stato”, non si applica al… transito di materiali di armamento.

Quindi la legge italiana che regolamenta il traffico di armamenti, con le relative limitazioni per i contesti di guerra è, nei fatti e per le autorità stesse, ampiamente aggirabile – con buona pace dei sindacati che, da statuto, dichiarano “la pace bene supremo dell’umanità”.

Motivo di più per rimanere, ora e per il futuro, sul solco della lotta e accanto a tutti coloro che su quel solco hanno scelto di collocarsi.

Porti chiusi alla guerra.

E’ uscito il nuovo numero di NurKùntra

E’ uscito da poco il numero invernale di NurKùntra.

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In questo numero approfondimenti su:

Mario Trudu

Forestas

Turismo

Lavoro

Cervo sardo e altro ancora.

Per copie nel cagliaritano potete scrivere alla mail del blog per copie nel resto della Sardegna o più lontano ancora a nurkuntra@inventati.org.

Sono ancora disponibili copie dei numeri precedenti.

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Comunicato di A’Foras sul corteo di Capo Frasca

A CAPO FRASCA UNA GIORNATA BELLISSIMA CON TANTI SIGNIFICATI. 

ASSEMBLEA GENERALE DI A FORAS DOMENICA 27 OTTOBRE A BAULADU

Dopo la splendida giornata di sabato, proviamo a mettere in ordine i pensieri ed evidenziare alcuni spunti usciti dalla bella manifestazione di Capo Frasca.

Innanzitutto vorremmo ringraziare tutti e tutte coloro che si sono spese per l’organizzazione e la costruzione di questo corteo, dalle realtà organizzatrici che si sono fatte carico di far tornare tutti e tutte noi di fronte ad una base militare dopo due anni e mezzo in cui era mancata la presenza davanti ai poligoni, fino alle compagne ed i compagni che si sono alternate tra intensi compiti tra i bus, i banchetti, il palco e le situazioni più tese. Molto spesso ci dimentichiamo di loro e non pensiamo mai che se non fosse per chi si annulla tra compiti politici e logistici, probabilmente queste giornate non ci sarebbero.

Il lavoro congiunto di più di 40 organizzazioni, con altre decine di adesioni che si sono aggiunte col tempo, è un risultato notevole già di per sé. Abbiamo limato differenze, abbiamo prodotto una sintesi fra posizioni di partenza differenti ma accomunate dal medesimo obiettivo: liberare la Sardegna dalla presenza militare. Ognuno ha portato il contributo dato dalla propria storia ed esperienza, e il risultato è stato quello di includere tantissime persone in una giornata in cui ci siamo resi conto di essere forti e numerosi, uniti e disposti a lottare tutti assieme.

Prima del 12 ottobre erano due anni e mezzo che non si manifestava davanti a una base, ma in questo tempo non siamo stati fermi. Sono stati prodotti, dal gruppo economia di A Foras, due dossier sui poligoni di Teulada e Quirra che rappresentano una delle fonti più aggiornate sulla situazione di quei territori in merito all’occupazione militare. Abbiamo portato avanti momenti di formazione collettiva e di coinvolgimento dei territori, con i campeggi, le camminate, partecipazione a momenti di dibattito anche fuori dall’isola. Il bel risultato del 12 ottobre dipende anche da questo impegno costante, che ci ha permesso di costruire relazioni e fiducia con tante persone e movimenti.

Il primo dato da raccogliere è che ci sono migliaia di persone che sono disponibili a lottare e mobilitarsi contro l’occupazione militare seriamente, sembrerebbe un dato scontato ma se pensiamo al fatto che la mobilitazione è stata tirata su completamente dal basso e in qualche modo minata da silenzio o posizioni faziose della carta stampata, così come da politici e sindacati mainstream, è un risultato notevole. Soprattutto se pensiamo che poche settimane prima dell’appuntamento di Capo Frasca, la Procura di Cagliari ha messo in piedi un grave tentativo di intimidazione e repressione con l’Operazione Lince che ha colpito 45 militanti del movimento sardo contro le basi. Eppure il successo della manifestazione dimostra che nessuno si è lasciato spaventare, anzi abbiamo acquisito una maggiore determinazione.

Migliaia di persone che non hanno fatto mancare il loro apporto politico e artistico, difficilmente si è riusciti a portare in passato dei momenti qualitativamente intensi e così emozionanti sopra e sotto il palco. Difficilmente prima di sabato scorso, si è riusciti a collaborare così attivamente con le famiglie dei militari morti nei poligoni sardi, aggiungendo una casella fondamentale nel panorama del movimento contro l’occupazione militare della Sardegna.

Il secondo dato che va analizzato è che ci sono centinaia di persone che nonostante il palco e gli interventi musicali e politici, hanno presenziato con determinazione davanti agli scudi della celere per ore provando ad aggirare lo sbarramento per arrivare al poligono.

Da qui dobbiamo partire e capire come organizzarci nel prossimo futuro per far convivere tutte le parti fondamentali di questo movimento, far comprendere quanto sia importante la militanza di base perché la risposta all’occupazione militare sia efficace e legittimata dal consenso e l’attivismo popolare. A Foras ha dimostrato di essere un interlocutore serio negli ultimi anni per tutto il movimento, uno dei pochi forse che si è preoccupato di fare in modo che tutte le espressioni avessero spazio e rispetto negli eventi organizzati, uno dei pochi che è riuscito a contrastare la narrazione militarista su carta stampata e sui media, uno dei pochi purtroppo che da tre anni, pur con tanti problemi, ha mantenuto vivo con continuità lo studio, l’inclusione e la mobilitazione contro l’occupazione militare della Sardegna.

Non ci dobbiamo aspettare che tutti e tutte vogliano far parte di A Foras, ma abbiamo il compito di fare in modo che le proposte siano sempre attraversate e attraversabili, così come il corteo di Capo Frasca. Esistono “tanti modi e un unica lotta” come scrivono in tanti e siamo d’accordo, ma come metodo dobbiamo virare verso l’inclusione popolare senza il feticcio delle azioni, guardando a iniziative ragionate, utili a portare numeri, empatia, complicità. La legittimità popolare ha, come conseguenza diretta, la possibilità di allargare geograficamente, politicamente e praticamente la concretezza delle nostre azioni, renderle più efficaci, condivise e libere dai limiti che ci impone la controparte.

Sabato di nuovo abbiamo vissuto in un recinto, nonostante le autorità sapessero che migliaia di persone avrebbero raggiunto il presidio hanno preferito chiudere il ponte e non far fare il piccolo corteo concordato nelle strade bianche, di fatto congestionando il traffico e causando tensioni inutili.

A Foras ha provato con le sue proposte a tracciare un percorso che ci possa permettere di raggiungere questi obiettivi:

—> Proposta concreta per l’istituzione di un corso specialistico in bonifiche presso l’Università di Cagliari e l’Università di Sassari.

—> Campagna di pressione su l’assessorato alla sanità sardo e alle dirigenze delle ASL locali per l’istituzione di un registro tumori sardo e la redazione dei registri epidemiologici comunali.

—> Nella prossima primavera inizio di una serie di azioni simboliche per bonificare siti militari dismessi e lasciati a marcire sul territorio sardo.

—> Mozione nei comuni di Cagliari, Sant’Antioco, Bosa, Olbia e Porto Torres contro l’attracco delle navi militari e contro il passaggio nei flussi d’acqua di mezzi anfibi o imbarcazioni; divieto per esercitazioni urbane e l’utilizzo delle arterie centrali di paesi e città ai mezzi corazzati a tutela dei cittadini e della fluidità del traffico.

—> Campagna muraria “Un manifesto per paese” per raccontare ai 377 paesi della Sardegna qual’è la vera invasione in Sardegna, MILITARE!

—> Costruzione di momenti di azione diretta da praticare durante esercitazioni imponenti, cercando un coinvolgimento ampio ed esteso.

A Foras attualmente è attivo in diverse parti della Sardegna, dobbiamo fare in modo che sempre nuovi comitati in tanti paesi si organizzino e lottino per contrastare l’occupazione militare e la narrazione militarista in tutte le parti della società. Partendo da quelle centinaia di persone che hanno deciso di salire sui bus per raggiungere Capo Frasca e di partire e tornare tutti insieme, abbiamo molti elementi per far ripartire la nostra azione con forza e determinazione.

Ci vediamo il 27 ottobre a Bauladu per la prossima assemblea generale sarda contro l’occupazione militare.

A INNANTIS, CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE RISPOSTA POPOLARE!

Nave militare attracca al Molo Ichnusa

Stamattina chiunque passi per le strade del Porto di Cagliari noterà una grossa e ingombrante presenza al molo. Si tratta della Carson City, un trasporto veloce di classe Spearhead della marina militare americana, che si suppone sia in dotazione all’esercito italiano (visto il tricolore che sventola in cima). Insomma un colosso grigio che dall’Alabama a Cagliari trasporta morte. Il tutto sotto gli occhi vigili della Vigilanza privata e della Polizia. La presenza della nave è talmente incredibile che dei passanti curiosi, tra cui un militare fuori servizio, non esitano a fare foto e selfie con la Carson. Un ricordo lo volevamo pure noi.

Come se non bastasse, le vie del centro hanno visto il transito di numerosi mezzi militari: jeep e furgoni targati EI passano come se nulla fosse per Via Roma, ormai sicuri di quanto la presenza militare in città sia normalizzata e sia quasi un fatto turistico. Si fa pure vedere un mezzo pesante della compagnia Fratelli Rubino, noto complice della logistica bellica.

È possibile, anzi probabile, che questo massiccio movimento sia dovuto all’inizio delle esercitazioni militari nei poligoni sardi, che vedranno l’isola teatro bellico nei mesi di ottobre, novembre e dicembre. Prova che la guerra, nei poligoni così come nelle nostre città, non si ferma mai.

Come forma di opposizione a queste esercitazioni, questo sabato, 12 ottobre, ci sarà un corteo alla base militare di Capo Frasca. Auspichiamo non sia l’unica.

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12 OTTOBRE – POLIGONO DI CAPO FRASCA – MANIFESTAZIONE CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE DELLA SARDEGNA

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Il 12 ottobre 2019 davanti al poligono di Capo Frasca si terrà la Manifestada contra a s’Ocupatzione Militare de sa Sardigna, organizzata da oltre 40 comitati, movimenti, associazioni e sindacati.

Il movimento sardo contro le basi, le esercitazioni e l’occupazione militare chiama a raccolta comitati, movimenti, associazioni, sindacati, categorie professionali, intellettuali e tutto il nostro popolo a mobilitarsi e protestare contro il prossimo inizio delle esercitazioni militari in Sardegna.
Le diverse realtà che hanno a cuore le sorti della nostra terra torneranno a manifestare insieme contro l’oppressione militare il prossimo 12 ottobre 2019 davanti al poligono militare di Capo Frasca, arricchendo quella giornata ognuno con la propria sensibilità e i propri contenuti.
Dopo la capitolazione delle ultime giunte regionali davanti alle pressioni del ministero della Difesa e dopo la mortificazione di ogni opposizione esistente all’interno delle istituzioni (dal Comipa fino al processo sui veleni di Quirra) appare sempre più chiaro che l’unica strada percorribile è la creazione di una forte opposizione popolare.
Lottiamo per non dover più sottostare al ricatto occupazionale che legittima fabbriche di morte e multinazionali che sperimentano i loro armamenti nella nostra terra.
Lottiamo per contrastare lo spopolamento e l’emigrazione forzata causata dalle diseconomie di questa presenza oppressiva.
Lottiamo per alternative economiche possibili davanti alla devastazione ambientale e alla speculazione sul territorio.
Lottiamo contro la guerra, per una Sardegna non più sottomessa alle politiche di guerra che minacciano e colpiscono altri popoli.
Le esercitazioni militari devono essere fermate subito, le basi e i poligoni devono essere dismessi e bonificati, per essere restituiti alle comunità sarde che finalmente possano utilizzare quelle terre per il loro sviluppo.

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Domani presidio al comando militare

Ieri una folta assemblea di indagati e solidali ha indetto un presidio di fronte al comando militare della Sardegna di via Torino a Cagliari.

Il presidio si terrà a partire dalle 17.30, con l’intento di rispedire al mittente le accuse di terrorismo, per chiarire una volta di più che se lottare contro l’oppressione e la violenza militare vuol dire essere colpevoli o addirittura terroristi, probabilmente lo siamo veramente in tanti, ma così non è! Chi genera terrore sono quelli che sganciano le bombe dagli aerei, che bombardano dalle navi, che usano le mine antiuomo e i missili comandati a distanza, che uccidono migliaia di persone in guerre e che hanno come unico scopo un infinito accaparramento di potere e risorse.

Abbiamo scelto il comando militare perché è il mandante occulto dell’operazione eseguita dalla procura che ha coinvolto 45 fra compagne e compagni, ma non solo, anche perché è il burattinaio che dirige l’occupazione militare della Sardegna.

IN SOLIDARIETA’ AI COLPITI DALLA REPRESSIONE

CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE DELLA SARDEGNA

PER IL RILANCIO DELLE LOTTE ANTIMILITARISTE

DOMANI SABATO 21 SETTEMBRE ORE 17 E 30 PRESIDIO AL COMANDO MILITARE DELLA SARDEGNA – VIA TORINO – CAGLIARI.

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La Bahri Yanbu non attracca a Genova. Sabotare la guerra è possibile.

Quello che in questi giorni sta avvenendo al porto di Genova è molto interessante, non solo come esempio di una pratica per rallentare la guerra e chi ci guadagna sopra, ma anche perché si tratta di una questione tremendamente vicina a noi anche geograficamente. La connessione non è difficile immaginarla, è con la RWM di Domusbombas, il paese delle bombe sulcitane.

Riportiamo qui di seguito il comunicato del CALP che spiega i motivi dell’agitazione portuale per impedire l’attracco della Bahri Yanbu al porto di Genova, che sia d’esempio per i portuali del Porto Canale di Cagliari, o del porto di Sant’Antioco o i dipendenti dell’aeroporto civile di Elmas. Se è vero che la guerra è ovunque, ovunque possiamo fermarla.NON LASCIAMO IN PACE CHI VIVE DI GUERRA!

Contro la guerra, senza ipocrisie

Una nave carica di armi, la Bahri Yambu, è in arrivo nel porto di Genova. Grazie all’impegno e all’impulso di alcuni lavoratori del porto che hanno sollevato la gravità dei fatti, è in corso una mobilitazione contro l’arrivo della nave saudita e il suo carico. Una mobilitazione giusta e doverosa che dovrà porsi fino in fondo, e non solo a parole o a mezzo stampa, con quali mezzi raggiungere il proprio obiettivo: non far attraccare quella nave a Genova, bloccare il suo carico di morte!
Alcune precisazioni però, mentre prendono parola in molti e persino illustri deputate P.D. come Raffaella Paita e Lia Quartapelle, vanno fatte.
I traffici di armi a Genova non sono una novità: la compagnia Bahri fa toccate costanti al Genoa Metal Terminal – Steinweg e in questi anni ha già imbarcato armi e mezzi militari – non ultimi una quindicina di carri armati italiani quest’autunno e altri mezzi d’assalto diretti in Pakistan.
Le bombe della Rwm (Rheinmetall) prodotte tra Ghedi (Brescia) e Domus Novas (Sulcis)
passano abitualmente dal nostro porto, con la linea Bahri ma anche con la linea Messina con la nave Jolly Cobalto; anche qui: bombe Rwm prodotte in Italia e vendute per le commesse dell’Arabia Saudita che le utilizza per bombardare lo Yemen, o mezzi Iveco, utilizzati con gli stessi fini in altri paesi arabi.
Ha quindi ragione la Capitaneria di Porto a ricordare che questi traffici ci sono già stati: ma si sbaglia di grosso quando dice che nessuno ha mai sollevato il problema. Lo facemmo più volte e in diversi modi e, inoltre, diversi portuali si sono più volte rifiutati di lavorare con “merce” di questo tipo. Sia per motivi etici, sia per motivi di sicurezza.
Forse tutte le altre volte non siamo arrivati a far preoccupare gli alti vertici di partito, purtroppo non c’erano scadenze elettorali vicine: le uniche occasioni in cui i politici si ricordano della sorte dei lavoratori.
Aggiungiamo, proprio perché non abbiamo la memoria corta, che il PD è l’ultimo partito che può farsi paladino della pace, avendo il ministro della Difesa (2014/2018, governi Renzi e Gentiloni) Roberta Pinotti avuto un ruolo cardine nel supportare e formulare quegli accordi con i sauditi in cui la fornitura di armi era un pilastro. Un pilastro da 400 milioni di euro all’anno.
Il fatto che il tutto avvenga, o meno, nel rispetto delle leggi internazionali è fatto che non ci interessa come, immaginiamo, non interessa alle decine di migliaia di morti di Sana’a, capitale yemenita distrutta dalle bombe italiane.
La spesa militare annua italiana è calcolata intorno ai 26 miliardi di euro (dati 2017) e ogni anno aumenta. Sono circa 70 milioni di euro al giorno!!! Settanta milioni di euro al giorno spesi per produrre armi e mezzi che servono ad uccidere altri esseri umani, perché le armi e
i mezzi militari, e gli eserciti che li usano esistono per assolvere questo ruolo: uccidere,
distruggere case, provocare esodi di massa. Ricordiamocene la prossima volta che sentiremo qualcuno dire “se ne stiano a casa loro”.
Questa nave va fermata, e invitiamo tutti coloro che vogliono realmente e genuinamente
raggiungere quest’obiettivo a farsi avanti e unirsi in questa lotta.
Senza ipocrisie e, soprattutto, senza ipocriti.
Assemblea pubblica venerdì 17 alle ore 18
Sala chiamata CULMV
C.A.L.P

 

La guerra non si ferma mai

Sabato 6 ottobre, ore 6 e 50, s.s. 131, una motrice di Lucianu trasporta un container DSV, è la guerra che si muove sulle strade sarde, anche un sabato mattina.

Per chi non lo sapesse DSV è la multinazionale dei trasporti danese proprietaria della Saima Avandero, titolare dell’appalto del ministero della difesa per il trasporto di armi e esplosivi per l’esercito italiano e industrie private, Lucianu è l’unica ditta di trasporti presente in Sardegna ad avere le autorizzazioni per il trasporto di materiali pericolosi quali gli esplosivi.

Il tir con tutta probabilità era diretto nel sulcis a Domusbombas, purtroppo continuano ad arrivare in ritardo le notizie dei trasporti delle bombe o dei materiali che servono per assemblarle. Non per questo ci arrenderemo all’idea che fermare chi vive di guerra è non solo possibile ma necessario.

ATTACCHIAMO TUTTI I COMPLICI DELLA GUERRA

STOP RWM

Inaugurazione della Caserma di Pratosardo

Domani a Nuoro verrà inaugurata la caserma di Pratosardo. Vi si accomoderanno 250 militari della Brigata Sassari, comandati dal generale Claudio Graziano. L’ennesimo avanzamento dell’occupazione militare della Sardegna è servito, ci sono voluti anni, e purtroppo non per l’opposizione di qualcuno, ma solo perchè i lavori sono sempre andati a rilento, ma da domani la mega caserma della periferia nuorese sarà lì, bella e attiva. Il motivo di un distaccamento così imponente di militari, in una zona totalmente priva ai fini strategici (apparenti) o addestrativi, va a confermare la mai troppo celata intenzione dello stato italiano di militarizzare tutte le zone della Sardegna, con un occhio particolare verso quelle dell’interno.

Purtroppo ad essere cambiata è la grinta nei sardi, che non si sono minimamente opposti a questo ennesimo avanzamento delle divise.

Immaginiamo che questa apertura avrà delle conseguenze visibili e tangibili nei termini di militarizzazione del territorio, ormai il lavoro di pattugliamento delle strade è tanto dei carabinieri e della polizia quanto dell’esercito. Strade sicure ne è solo l’esempio più lampante, “l’avanguardia” che ha aperto le porte delle città alle divise mimetiche.

Più militari in cambio di cosa? Anche se i più beceri populisti stappano lo spumante, ciò che la comunità nuorese ottiene in cambio è la solita miseria, e la citiamo qui solo a titolo informativo. Saranno una quarantina scarsa i civili che troveranno qualche forma di impiego, saltuario e non, dall’apertura della caserma.

Sperando che la voglia di cacciare a mare tutti questi sudici elementi che militarizzano e distruggono il nostro territorio, e che uccidono in giro per il mondo, ritorni presto… Per adesso non ci resta che aggiornare i nostri dati e aggiungere che la mega caserma di Pratosardo è aperta.