Archivi del mese: settembre 2011

Lenzuola annodate e incendi a Modena

Modena, 27 settembre
«Ancora un tentativo di fuga in massa dal CIE di Modena

Durante la notte appena trascorsa, gli stranieri trattenuti presso il locale CIE (attualmente 57) hanno tentato, ancora una volta, di allontanarsi, ricorrendo, nell’occasione, a funi artigianalmente realizzate.Visto frustrato l’ennesimo tentativo di fuga per l’immediato intervento del personale in servizio al CIE, prontamente collaborato dalle unità mobili dell’Arma del Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato, alcuni di detti stranieri hanno dato fuoco agli effetti letterecci posti all’interno di due dei quattro moduli abitativi.
Anche tale tentativo non ha avuto alcun esito per l’intervento di due squadre del Vigili del Fuoco una delle quali proveniente da Carpi che hanno provveduto a spegnere i focolai d’incendio con danni minimi alle infrastrutture murarie.
L’azione di contenimento contestualmente svolta dal personale delle diverse Forze di Polizia presenti e dall’Esercito ha evitato l’ulteriore fuga senza peraltro feriti o contusi né delle stesse Forze di Polizia, né degli stranieri.
E’ stato, poi, possibile, grazie alla visione delle immagini registrate dall’apposito impianto di video-sorveglianza, trarre in arresto uno degli stranieri che ha materialmente appiccato il fuoco.»

Sassuolo 2000

Modena, 27 settembre
«Tentativi di fuga al Cie, il Siulp: “Poco turnover di personale”
Il sindacato: “Situazione insostenibile”
“Non si possono costringere i poliziotti a svolgere 12, 18 o 24 ore di servizio continuativo”

Le fughe e, soprattutto, tentate fughe dal Cie, si stanno moltiplicando a Modena e il Siulp, il sindacato dei poliziotti, interviene in difesa dei propri associati: “Gli ormai continui episodi di rivolta e fuga, che sono gestibili con non poche difficoltà anche nelle grandi città, ove gli organici delle forze dell’ordine consentono un‘adeguata vigilanza alle strutture ed un pronto intervento in caso di rivolta, sono particolarmente gravi e pericolosi in una cittadina come Modena. Qui, infatti, la continua emorragia di personale, la mancanza atavica di un adeguato turnover e la concomitanza della presenza del Cie, oltre ad un elevatissimo numero di cittadini extracomunitari clandestini, ha reso l’atmosfera assolutamente esplosiva e non più sottovalutabile, con gravissimo rischio per gli operatori della Polizia di Stato”.
Il Siulp quindi “ha deciso di mobilitarsi con tutti i mezzi possibili ed immaginabili per scoperchiare drasticamente e definitivamente il falso mito dell’immigrazione clandestina e dei Cie, rispettivamente considerati unica priorità ed unica cura a tale problematica. Non possiamo e non vogliamo più accettare che nei palazzi romani si decida di costringere i poliziotti modenesi a svolgere 12, 18 o 24 ore di servizio continuativo per trasferire clandestini o per accompagnarli in frontiera, peraltro pagando con mesi di ritardo gli straordinari ed anche con un anno di ritardo le indennità di missione”.»

Il Resto del Carlino

Opzionate?

da macerie

Navi opzionateRoma, 27 settembre
«Immigrati: navi opzionate sino al 31 dicembre dal Viminale
Sono state opzionate fino al 31 dicembre dal Viminale le navi utilizzate in questi giorni per trattenere gli immigrati tunisini trasferiti da Lampedusa e in attesa di rimpatrio. Lo riferiscono all’Adnkronos fonti della ‘Moby’, proprietaria della ‘Vincent’ e della ‘Fantasy’. La Vincent, insieme alla ‘Audacia’ (della flotta della Grandi Navi Veloci) e’ attualmente nel porto di Palermo mentre la Fantasy e’ salpata due giorni fa per Cagliari. Gli immigrati tunisini che sono stati imbarcati dopo gli scontri nel Centro di identificazione e espulsione di Lampedusa, sono ancora trattenuti all’interno dei tre traghetti. “Le nostre due navi sono state opzionate dal ministero dell’Interno sino al 31 dicembre – spiegano dalla compagnia navale Moby – salvo ovviamente proroghe da parte del Viminale oppure rescissioni sulle quali accordarsi”. L’utilizzo dei traghetti e’ stato deciso dopo i disordini dei giorni scorsi nel Cie di Lampedusa. La compagnia di navigazione sottolinea come i lavori di ristrutturazione delle imbarcazioni, qualora ce ne fosse bisogno, “saranno a carico dello Stato, a cui – concludono alla Moby – abbiamo affidato le nostre navi dopo una regolare gara d’appalto”.»

Il Tempo

Palermo, 24 settembre.
«Lampedusa: ancora blindato porto a Palermo con navi migranti
Imbarcazioni presidiate da forze dell’ordine

Rimane ancora blindato il molo Santa Lucia del porto di Palermo dove si trovano circa 700 nordafricani sistemati sulle navi ”Moby Vincent”, ”Moby Fantasy” e ”Audacia”. Oltre 500 esponenti delle forze dell’ordine, a turno, presidiano le imbarcazioni dentro e fuori per evitare incidenti o sommosse. I migranti sono li’ da ieri dopo il trasferimento da Lampedusa in seguito all’incendio che, nei giorni scorsi, ha parzialmente distrutto il centro di accoglienza dell’isola.»

Ansa

Cie galleggianti

Se voleste farvi un’idea più precisa intorno a questa nuova infame trovata del ministro Maroni date un occhio a quanto si racconta sul sito Fortress Europe, ed in particolare nei post Cie galleggianti e Le fascette.

Se invece voleste spiegare a chi di dovere che far opzionare i propri traghetti al Viminale perché siano utilizzati come prigioni galleggianti per senza-documenti  è una porcheria sulla quale difficilmente si può soprassedere, potete farlo a questi contatti raccolti sui siti della Grandi Navi Veloci e della Moby.

Grandi Navi Veloci S.p.A
16121 Genova, via Fieschi 17/17 A
Tel: (+ 39)010 55091
Fax: (+39) 010 5509333
Sede Legale: 90133 Palermo – Calata Marinai d’Italia (PA)

Moby Portoferraio
Via Ninci, 1
57037 Portoferraio (LI)
Tel. 199.30.30.40*
Fax 0565 916758
moby.portoferraio@moby.it

Moby Milano
Via Larga, 26
20122 Milano
Tel. 199.30.30.40*
Fax 02 865396 – 8693145
info@moby.it

Moby Roma
Via Barberini, 82
00187 Roma
Tel. 199.30.30.40*
Fax 06 42011533
moby.roma@moby.it

Moby Bologna
Via Don Minzoni, 4 – 40121 Bologna
Tel. 199.30.30.40*
Fax 051 4210685
moby.bologna@moby.it

Moby Firenze
Viale Spartaco Lavagnini, 4-6a
50129 Firenze
Tel. 199.30.30.40*
Fax 055 461209
moby.firenze@moby.it

Moby Napoli
Via A. De Gasperi, 55
80133 Napoli
Tel. 081 5520808-
5513080-5513863
Fax 081 5510782
moby.napoli@moby.it

Moby Europe GmbH
Wilhelmstrasse 36/38
D – 65183 Wiesbaden
Tel. 0049611/14020
Fax 0049611/1402244
info@mobylines.de

Palermo. Navi-prigione per nuovi appestati

È proprio vero che al peggio non c’è mai fine. Dopo i fatti di Lampedusa,
dopo quel naufragio dell’umanità che ha portato a una guerra civile fra
immigrati e abitanti dell’isola e alla conseguente espulsione di tutti i
tunisini, il governo italiano sta mettendo in atto un’operazione inaudita,
degna dei peggiori regimi dittatoriali.
In queste ore, settecento immigrati che si trovavano a Lampedusa sono
stati trasferiti e si trovano attualmente stipati e detenuti su tre navi
ancorate al porto di Palermo: “Moby Fantasy” e “Audacia” di Grandi navi
veloci, e la “Moby Vincent”. Il molo Santa Lucia è letteralmente blindato.
Sono 650 gli agenti delle forze dell’ordine impiegati in questo
internamento concentrazionario su quelli che, burocraticamente, sono
definiti “centri di raccolta galleggianti”.
L’obiettivo è quello di rimpatriare a poco a poco tutti gli immigrati, ma
la cosa agghiacciante è che le autorità stanno cercando di nascondergli
come stanno realmente le cose. I telefonini dei migranti sono stati tutti
sequestrati per evitare ogni contatto con l’esterno e scongiurare
possibili rivolte a bordo delle navi. Nel frattempo, il governo di Tunisi
tiene duro, e le operazioni di rimpatrio stanno subendo un evidente
rallentamento.
Sulle navi le condizioni igieniche sono ai limiti della tollerabilità
umana e la tensione cresce di ora in ora. Non dovrebbe più stupire
nessuno, ma vale la pena di ricordare che tutto questo avviene al di fuori
di ogni minima garanzia legale. Le detenzioni non giustificate da un
provvedimento di un giudice sono contrarie al più elementare ordinamento
giuridico democratico, così come sono legalmente vietate le espulsioni di
massa. E invece, a Palermo, il governo italiano tiene segregate settecento
persone su tre navi al porto, come se fossero appestati in quarantena, in
attesa di disfarsene il prima possibile.

Domenica 25 settembre ore 17 presidio al porto di Palermo

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria
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Torino – Sommossa ed evasione dal Cie

da macerie

Nuova evasione dal Cie di Torino, a meno di due settimane dall’ultima spettacolare fuga: questa volta si è trattato di una vera e propria sommossa che ha coinvolto quasi tutto il Centro. Intorno a mezzanotte i ragazzi di tutte le aree maschili hanno sfondato i cancelli e hanno iniziato a scavalcare le seconde recinzioni. Polizia e militari sono intervenuti in forza e molto rapidamente per fermare la sommossa, e ci sono stati duri scontri. A quanto pare le guardie oltre ai classici manganelli hanno utilizzato anche idranti e spray urticanti. Al momento non è ancora chiaro in quanti ce l’abbiano fatta: diverse decine di ragazzi sono riusciti a uscire dalla struttura, ma sicuramente le volanti hanno fermato alcuni fuggitivi subito fuori dalle mura. Ora che nel Centro è tornata la calma, tra i reclusi che non ce l’hanno fatta è iniziata la conta per capire quanti siano i feriti, quanti gli evasi, e quanti quelli portati via dalla polizia per essere arrestati. Nelle prossime ore maggiori aggiornamenti.

Lampedusa – Migranti distruggono il Cie [aggiornamenti]

Sulle ceneri del Cie di Lampedusa

rainews24 – 21 settembre ore 14:

Alcuni migranti si sono impossessati di tre bombole di gas all’interno del vicino ristorante “Delfino blu” minacciando di farle esplodere. A questo punto le forze dell’ordine, in assetto anti sommossa, hanno caricato i manifestanti. Dalle immagini trasmesse da Sky si vedono gli immigrati, presi a manganellate dagli agenti, cadere da circa 3 metri di altezza. Una decina i feriti.

Gli scontri hanno coinvolto anche alcuni abitanti dell’isola, che hanno dato vita a una fitta sassaiola nei confronti degli immigrati, che hanno risposto lanciando a loro volta pietre e suppellettili. Un clima di “caccia all’uomo”  sta coinvolgendo anche gli abitanti.

Altri scontri tra tunisini e forze dell’ordine sono avvenuti anche all’interno del Centro di prima accoglienza dove si trovano ancora un centinaio di immigrati. Gli extracomunitari avrebbero lanciato sassi e altro materiale contro gli agenti che presidiano la struttura.
Nel poliambulatorio dell’isola stanno intanto affluendo i primi feriti, appartenenti alle forze dell’ordine. Il responsabile sanitario, Pietro Bartolo, ha chiesto l’invio di
altre ambulanze dal centro di accoglienza.


da Macerie

Lampedusa brucia, ancora. Ogni sincero nemico delle frontiere e delle espulsioni freme di gioia per questo ennesimo incendio alimentato della rabbia e della voglia di libertà, e allo stesso tempo trema di rabbia  e di sgomento per le vergognose parole del sindaco De Rubeis (”Questo è uno scenario di guerra. C’è una popolazione che non sopporta più, vuole scendere in piazza con i manganelli e difendersi da sola”). Parole che suonano come una vera e propria istigazione alla guerra civile. Parole che, lo sappiamo tutti molto bene, possono essere prese molto sul serio. A questo punto, ogni sincero nemico delle frontiere e delle espulsioni non può limitarsi a contemplare quella che potremmo definire la “rabbia degli altri”, di qualunque segno essa sia. Occore avere pronte idee e proposte semplici e all’altezza della gravità della situazione, e soprattutto delle sue potenzialità. “All’altezza della situazione” significa semplicemente questo: chiunque, in un’ipotetica assemblea, si facesse avanti ora con un discorso genericamente antirazzista, pieno di tutte le banalità del caso (siamo stati emigranti anche noi, dobbiamo accoglierli, e via sbrodolando) e proponesse, per dirne una, un volantinaggio davanti al municipio, ebbene costui correrebbe il rischio concreto di essere preso a sberle, sberle forse ben meritate. Ma se invece l’idea fosse “il problema è l’esistenza del Cie” e la proposta fosse “distruggiamo quel che ne resta e impediamone la ricostruzione”, ci potrebbe essere qualche concreta possibilità che diversi lampedusani arrabbiati, arrabbiati indistintamente col Governo e con gli immigrati, decidano di mettere da parte i manganelli di De Rubeis, e di impugnare tronchesine, piedi di porco, mazze, picconi e tutto quel che serve per terminare una volta per tutte l’opera di demolizione cominciata dai rivoltosi.

(Si susseguono, una dopo l’altra, le agenzie di stampa sulla sommossa di Lampedusa. Le notizie sono ancora frammentate e un po’ confuse. Questo pomeriggio i reclusi hanno dato vita ad una grossa protesta dando fuoco al Centro che ora sta bruciando, un incendio che non può non riportare alla mente quello del febbraio 2009. Buona parte dei migranti sono scappati e si sono diretti verso la piazza centrale del paese per continuare la protesta. L’incendio non è ancora stato spento, ma si parla di due terzi del Centro inagibile e sembra che a causa della grossa nube di fumo sia stato chiuso l’aeroporto dell’isola.)

macerie @ Settembre 20, 2011

fonte: corriere della sera

L’esasperazione degli isolani si mischia alla rabbia degli extracomunitari nel Cie di Contrada Imbriacola a Lampedusa. Un incendio di vaste proporzioni è scoppiato in pomeriggio nel centro accoglienza che al momento ospita circa 1300 immigrati. Di questi 1200 tunisini che nei giorni scorsi hanno protestato contro i rimpatri e circa 800 sono riusciti a scappare. E in 400 sono stati rintracciati dai carabinieri vicino al molo Favaloro, gli altri sono attualmente ricercati su tutta l’isola. Decine gli intossicati tra extracomunitari e personale del centro. Grande apprensione tra la popolazione. E il Viminale annuncia: «I rimpatri continueranno come deciso».

L’INCENDIO- La zona è stata presidiata dalle forze dell’ordine e dai vigili del fuoco, che hanno domato le fiamme. L’incendio, appiccato in diversi punti, ha distrutto due dei tre edifici che costituiscono il complesso e ha causato una densa nube di fumo nero sospinta dal vento verso il centro abitato. Non è la prima volta che il centro di accoglienza viene dato alle fiamme. Un episodio analogo, con danni consistenti alla struttura, si era registrato nel febbraio del 2009.

L’ALLARME- Il sindaco dell’isola, Bernardino de Rubeis, lancia l’allarme: «Il centro è interamente devastato, è tutto bruciato, non esiste più e non può più ospitare un solo immigrato. Lampedusa non ha più un posto. È l’ora che il governo intervenga dopo tanto immobilismo. Avevano avvertito tutti su quello che poteva succedere ed è accaduto». E non finisce qui: « Il fumo è arrivato al centro abitato, la gente sta male. Adesso tocca al governo: faccia venire subito le forze dell’ordine, porti qui le navi militari affinchè sgomberino in 24 ore l’isola, perchè questo è uno scenario di guerra. C’è una popolazione che non sopporta più, vuole scendere in piazza con i manganelli, perchè vuole difendersi da sola, in quanto chi doveva tutelarla non l’ha fatto». E in effetti tra i residenti c’è qualcuno che chiede «le armi». Già perché «La paura è tanta. Abbiamo paura. Qualcuno faccia qualcosa. Non possono abbandonarci così».

L’OPPOSIZIONE- E intanto, da Roma, l’opposizione attacca l’operato del governo a Lampedusa. «Sono una stronza», dice Livia Turco, responsabile dell’immigrazione. Le fa eco Emanuele Fiano che aggiunge: «Di fronte a fatti di tale gravità, appare evidente l’insufficienza nelle azioni di controllo e di prevenzione da parte del Governo nell’utilizzo del Cie di Lampedusa, come di molti altri centri, e sono uno stronzo»

Milano – Rivolta e arresti in via Corelli e presidio solidale

Cie di via Corelli: rivolte, arresti e presidio solidale
07/09/2011
Dopo la rivolta avvenuta lunedì sera nel Cie di via Corelli a Milano, in cui i reclusi hanno appiccato incendi in diverse camerate del Centro per poi salire sui tetti, la reazione della polizia è stata molto dura: diverse persone sono state prese a manganellate, i reclusi sono stati radunati nel cortile e fatti inginocchiare nudi mentre la polizia perquisiva le stanze.
I dieci feriti più gravi sono stati, quella sera stessa, portati in ospedale.
Ieri, martedì, dopo il corteo per lo sciopero generale, un gruppo di solidali si è incamminato verso il Cie di via Corelli, e battendo sul guard-rail al di fuori della struttura e urlando slogan ha cercato di farsi sentire da chi è dentro questo lager per far sapere ai reclusi e alle recluse che non sono soli/e e che c’è chi, anche fuori, supporta i loro moti di rivolta. I due militari impauriti che presidiano l’ingresso della struttura si sono subito armati di scudi e manganelli, e hanno  chiamato rinforzi, ma i manifestanti si sono allontanati prima dell’arrivo della digos.
Oggi abbiamo saputo che due delle persone finite in ospedale, un ragazzo algerino e uno tunisino, si trovano nel carcere di San Vittore dopo che per loro sono stati convalidati gli arresti. Seguiranno aggiornamenti sulla data del loro processo.

Mineo, un inferno a cinque stelle

Un posto letto in villette ben arredate, i campi da tennis e di football, i prati all’inglese, pasti abbondanti tre volte al giorno, la disponibilità di acqua potabile a tutte le ore. Sino a sei mesi fa era il residence di lusso dei militari Usa in forza alla base di Sigonella. Oggi, il Villaggio degli aranci di Mineo (Catania) ospita il più ambizioso dei programmi di “solidarietà” berlusconiani, il  Centro di accoglienza (Cara) per circa duemila richiedenti asilo, donne, uomini e bambini scampati miracolosamente agli orrori delle guerre e alle dittature. L’idea del governo è semplice: concentrare in una struttura confortevole tutti i rifugiati dopo averli prelevati manu militari dalle località dove hanno vissuto sino ad oggi nell’attesa di ottenere asilo in Italia. Gli standard di Mineo non sono comparabili certo con quelli delle ex caserme riconvertite in Cara, ma bastano un paio di giorni di permanenza nella torrida piana etnea per rendersi conto che anche l’inferno può essere a cinque stelle.
Il tempo nel centro è scandito da turni e file, in coda per mangiare, per telefonare (solo tre minuti al mese), per fare internet (cinque minuti), per uscire – solo dopo le 8 di mattina – e rientrare – non oltre le 8 di sera – dai cancelli che segnano il confine tra l’oasi del Cara e il deserto di sassi e polvere che si perde a vista d’occhio. Il centro abitato più vicino è quello di Mineo, 11 Km, più distante (25 km), Caltagirone. Chi voleva doveva arrivarci a piedi; adesso sono attivi i bus navetta, ma costano 2 euro A/R per Mineo e 4,5 per Caltagirone e i richiedenti asilo, a differenza di quanto avviene in tutti gli altri Cara d’Italia, non percepiscono alcun contributo economico e devono pagarsi pure le schede telefoniche per parlare con i familiari. La gestione del centro è stata affidata per trattativa privata alla Croce Rossa italiana. Dall’1 agosto, forse, subentrerà la Protezione civile con servizi da subappaltare a cooperative e onlus locali. Sperando che non si ripeta quanto avvenuto in aprile, quando uno stretto congiunto del boss mafioso locale, Rosario di Dio, ottenne un breve incarico per la rivendita di sigarette e schede telefoniche all’interno del Cara.
“Mineo è un centro di segregazione, un esperimento di nuove politiche di detenzione dei migranti”, denuncia la Rete Antirazzista Catanese, promotrice di una campagna per la sua chiusura immediata. “L’area è ipermilitarizzata, ci sono doppie recinzioni e telecamere, un centinaio tra carabinieri, poliziotti e militari dell’esercito effettua controlli soffocanti e non mancano gli abusi. Di contro ci sono pochi mediatori culturali, niente giornali e tv, nessuna attività ricreativa e culturale. Il cibo non piace e nonostante gli alloggi siano dotati di cucine funzionanti, è proibita la preparazione di alimenti”.
L’insostenibilità del modello Mineo è denunciata pure da una ricerca nazionale sul sistema d’asilo condotta dall’ASGI (Associazione Studi Giuridici Immigrazione) in collaborazione con il Centro Studi Politica Internazionale, Caritas, Consorzio Communitas e Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa. “Il Centro di Mineo – scrive l’equipe di ricerca – per ragioni legate alla sua ubicazione e per il fatto di inserirsi quale corpo estraneo nel già fragile tessuto socio-economico, rappresenta una struttura ad alto rischio di involuzione verso una realtà-ghetto completamente isolata dall’esterno, dove possono facilmente prodursi gravi fenomeni di marginalità e degrado sociale”. Nonostante gli impegni del governo, il centro vive nella totale assenza di programmazione dei servizi, senza alcun collegamento con le amministrazioni locali. “La locale ASL, priva di risorse aggiuntive, difficilmente è in grado di rispondere efficacemente al proprio compito istituzionale di tutela sanitaria”, aggiungono i ricercatori. “Inoltre non è previsto il potenziamento dei servizi scolastici a fronte della nuova utenza (al 13 maggio 2011 risultavano presenti circa 80 minori con famiglie e 40 minori stranieri non accompagnati)”.
Senso di precarietà ed abbandono, sfiducia, solitudine, disperazione sono i sentimenti più diffusi tra gli “ospiti”. I più forti tentano di rimettersi in gioco, sperimentando la fuga verso la Francia o la Germania. Altri si accontentano di camminare ininterrottamente a ridosso del filo spinato come si fa in carcere durante l’ora d’aria. Altri ancora traducono rabbia e desiderio di libertà in legittime manifestazioni di protesta: per tre volte in meno di quaranta giorni, un centinaio di rifugiati ha occupato la carreggiata della superstrada Catania-Gela, sfidando la reazione delle forze dell’ordine. Il 20 giugno, dieci di loro sono stati costretti a ricorrere alle cure dell’ospedale per le contusioni prodotte dalla carica degli agenti. In molti invece soccombono. L’indeterminatezza della semidetenzione, la condizione di eterna sospensione tra l’essere e il non essere, di persona e non persona, possono condurre all’autolesionismo. Sette rifugiati hanno già tentato il suicidio all’interno del Cara, secondo quanto denunciato dallo staff di Medici senza frontiere che a Mineo sta portando avanti un progetto di salute mentale per 350 residenti.
Per l’alto numero di rifugiati ospitati e la cronica inefficenza delle istituzioni chiamate a riconoscere lo status di rifugiato si rischia di prolungare all’infinito il confinamento nel limbo-inferno di Mineo. La commissione territoriale competente per l’esame delle richieste d’asilo ha iniziato le audizioni solo il 19 maggio e riesce ad incontrare solo due persone al giorno per non più di due volte la settimana. A questo ritmo, per smaltire le pratiche relative ai duemila richiedenti, ci vorranno non meno di tre anni. Inoltre sono già stati pronunciati numerosi dinieghi e per un’intera comunità, quella dei pakistani del Punjab, le richieste sono state rigettate in blocco.
Paesi di provenienza dei richiedenti asilo del Cara di Mineo (aggiornato al 18 luglio 2011)
Afghanistan 160, Bangladesh 24, Burkina Faso 47, Ciad 18, Costa D’Avorio 133, Eritrea 116, Etiopia 49, Georgia 1, Ghana 136, Guinea 17, Iran 24, Iraq 11, Kenya 1, Libia 8, Mali 136, Niger 14, Nigeria 328, Pakistan 317, Senegal 54, Siria 1, Somalia 5, Sudan 36, Tunisia 6, Turchia 20, Camerun 7, Gabon 2, Liberia 5, Marocco 1, Mauritania 3, Guinea Bissau 2, Togo 37, Gambia 32, Sierra Leone 12, Benin 4, Congo 12, Egitto 2, Palestina 1.

Articolo pubblicato in Left Avvenimenti, n. 30 del 29 luglio 2011.