Archivi del mese: novembre 2019

Rimuovere il rimosso – Comunicato di solidarietà dal Trentino

Riceviamo e pubblichiamo:

Rimuovere il rimosso

Cominciamo decisamente a perdere il conto. Le operazioni repressive contro gli anarchici si susseguono senza sosta: “Scripta manent”, “Panico”, “Scintilla”, “Renata”, “Prometeo”, “Lince”…

Più l’arresto di Juan e Manu, di Amma, Uzzo e Patrick. Senza scordare l’“ordinaria amministrazione” di processi e condanne per singoli episodi di lotta, le perquisizioni e lo stillicidio di misure cautelari, di detenzione domiciliare e di “misure di prevenzione”. Un sistema articolato di strumenti giudiziari e polizieschi finalizzato a togliere dalle scatole quanti più compagni possibile e di isolarli anche all’interno del carcere. Se diamo una lettura complessiva, la natura sia “reattiva” sia “preventiva” della repressione emerge chiaramente.

Di più, siamo di fronte a un processo di normalizzazione, in cui l’aspetto strettamente repressivo è solo una parte. L’obiettivo è quello di togliere alla ribellione ogni dimensione storica e sociale, trasformando tanto le pratiche quanto gli individui in “figure di reato” prive di qualunque sfondo in cui possano essere collocate. È come se, mentre la società è attraversata da un sentimento inconfessato da finale di partita – con la percezione diffusa di qualcosa che incombe –, lo Stato compendiasse tutte le forme di repressione che ha accumulato nella storia. Ci sono singole azioni che danno indubbiamente fastidio, a cui l’apparato reagisce con la solerzia di attribuirle a tutti i costi a qualcuno, forzando se del caso la realtà all’interno delle ipotesi di Digos e Ros. Ci sono interi percorsi di lotta, di cui scompare l’ingiustizia che li genera, per diventare mera realizzazione di un “progetto criminoso” di un pugno di sovversivi.

Non è l’esistenza stessa dei CPR a spingere chi vi è internato a ribellarsi, a tentare la fuga, a distruggerne il funzionamento: no, sono gli anarchici all’esterno a sobillare gli animi e a istigare le rivolte. Non è lo storico processo di servitù militare a cui sono sottoposti interi territori a suscitare le mobilitazioni antimilitariste, bensì le trame di qualche anarchico. Non è la brutalità delle politiche anti-immigrati a fomentare l’azione contro le sedi della Lega, bensì una “campagna di lotta contro il fascio-leghismo” teorizzata da una rivista anarchica. Per cui in varie inchieste torna con insistenza il reato di “istigazione”, il cui veicolo sono riviste, giornali, opuscoli. Ma siccome dietro le lotte e le pratiche di azione diretta ci sono individui che, persino nell’èra della democrazia digitale, mantengono delle relazioni umane – e, tra queste, dei rapporti di affinità –, l’Apparato colpisce anche il tessuto di relazioni di solidarietà.

Dal momento in cui anche per reati di piazza si possono accumulare anni e anni di carcere, diversi compagni potrebbero decidere in futuro, come altri in passato e nel presente, di sottrarsi al carcere. Ecco allora gli sbirri sguinzagliati nelle case di amici e parenti alla ricerca di chi è uccel di bosco e, contemporaneamente, giudici emettere condanne spropositate – con tanto di “aggravante di terrorismo” – nei confronti di chi è accusato di aver aiutato un compagno latitante. Come monito per eventuali solidali e come ingiunzione: non c’è fuga dall’apparato di cattura delle vite. Più in generale, siccome resta piuttosto complicato, nonostante le intercettazioni, i pedinamenti, le perquisizioni, capire esattamente chi fa cosa, si attaccano a lana grossa contesti e raggruppamenti umani di cui le lotte e le azioni sono parte. Quest’ultimo aspetto rievoca, benché il contesto sia molto diverso, la legislazione dello Stato liberale contro gli esordi dell’Internazionale in Italia e del nascente associazionismo proletario – proprio da quell’epoca provengono anche misure come il divieto o l’obbligo di dimora e la sorveglianza speciale. Il regime fascista si è incaricato poi di stroncare fino alla paranoia quanto e quanti si collegavano a quella storia ribelle. Per la democrazia, infine, che è la forma politica dell’intubamento privato delle vite, dietro il sovversivo non dev’esserci più alcuna storia, ma solo una catena più o meno lunga di reati. Ora, visto che lo Stato democratico, rispetto ai precedenti strumenti repressivi, non ha buttato via nulla, il  risultato è appunto un compendio: la “depoliticizzazione” di ogni forma di illegalità antagonista. Così, da un lato, si cancella ogni dimensione storico-sociale del conflitto, mentre si spinge, dall’altro, l’asticella del consentito sempre più in basso.

Tutto questo per dire che, a dispetto dell’album delle figurine allestito dalla polizia politica e dalle Procure, e delle ricostruzioni a loro uso e consumo, come sfruttati in genere e come anarchici in particolare abbiamo una storia assai ricca da giocare contro i nostri nemici. Se è un insieme di relazioni, di strumenti e di pratiche che è sotto tiro, è proprio quell’insieme che va rivendicato e difeso.

Cogliamo l’occasione per mandare un saluto solidale ai compagni e alle compagne sotto inchiesta in Sardegna, in particolare ai cinque per cui verrà esaminata a breve la richiesta di sorveglianza speciale. In questo caso è particolarmente evidente non solo l’uso incrociato di reati associativi e di misure di prevenzione, ma anche il tentativo di far fuori una lotta antimilitarista che ha rivolto contro la macchina della guerra sia le trance e i sassi di tanti sia il fuoco di pochi. Questi compagni, che abbiamo avuto a fianco negli anni, hanno dato un prezioso contributo. La solidarietà nei loro confronti consiste per noi soprattutto nel rimuovere il rimosso della guerra, in un’epoca in cui non si esce dall’angolo senza rilanciare con forza, nel pensiero e nell’azione, una prospettiva internazionalista.

compagne e compagni di Trento e Rovereto

Nasce la Cassa di sostegno per l’anarchico sardo prigioniero deportato Davide Delogu

Riceviamo e pubblichiamo:

La principale accusa contro di me è il tentato omicidio, con una sentenza di 12 anni. Durante questo periodo di morte imposto dallo stato e dai suoi servi, è necessario essere parte attiva e integrante della lotta, tentando di andare contro questa attuale situazione di prigionia con tutti coloro che lottano per la resistenza in maniera progettuale. “

Davide Delogu, 30 Ottobre 2011

Il gesto più coerente per un prigioniero-a anarchico-a è l’evasione, noi abbiamo in questo momento un compagno sardo che sta subendo da anni la deportazione dal suo paese e la censura quasi ininterrotta per il suo tentativo di evasione, per la sua combattività e irriducibilità.”

Alfredo Cospito

Lo scopo di questo progetto è sostenere Davide sotto ogni aspetto della sua attuale condizione di prigionia e in ogni sua necessità, tramite versamenti di soldi mensili, pagamento delle spese legali e degli spostamenti per chi svolge i colloqui, così come in pacchi, libri e in quant’altro lui abbia bisogno. Abbiamo passato svariati mesi a ragionare su ciò, tra noi fuori da quelle infami mura e il nostro compagno Davide, e riteniamo una cassa specifica il modo più consono vista la situazione in cui il nostro compagno si trova da tempo.

Davide sta scontando una lunga condanna di 17 anni di carcere, in seguito al suo ultimo arresto avvenuto nel 2010. Dopo essere stato deportato dalla sua terra, la Sardegna, negli anni ha subito innumerevoli trasferimenti punitivi per le sue battaglie, è stato allontanato dalla sua famiglia e da chi svolgeva i colloqui, ha accumulato tantissime denunce interne, ha vissuto le tenebre dell’isolamento totale e il 14 BIS in maniera continuata per più di 2 anni; e nonostante ciò, lui mai ha chinato la testa.

Davide in questi anni, non solo ha portato avanti una guerra senza esclusione di colpi contro il sistema carcere, ma ci ha dimostrato come la piena coscienza di una lotta anarchica rivoluzionaria indeterministica e senza mediazione alcuna continui a restare viva, nonostante la bassezza dei tempi in cui viviamo. Non si è mai sottratto dal continuare a dare il suo contributo teorico per quanto riguarda il contesto anarchico sardo e inter-nazionale, come dal portare avanti azioni interne alle varie galere in cui è stato rinchiuso. Ad oggi il suo fine pena è previsto per il 2027, senza contare i vari processi che si trova ancora ad affrontare, uno tra i tanti quello in merito al tentativo di evasione dalla galera di Siracusa nel maggio 2017, che potrebbero portare a nuove condanne. Considerando ciò, riteniamo che un progetto di questo tipo ci permetta di riuscire a stargli a fianco con più costanza e a lungo termine, avendo un fondo cassa più sostanzioso per le varie spese odierne e future.

Sempri Ainnantis!

Alcuni Anarchici Sardi

17/11/2019

Il conto è intestato a: Laura Gargiulo

IBAN: IT27E0306967684510327514549

Per informazioni e contatti: SardegnaAnarchica@tiscali.it

Adesione e chiamata di A FORAS al corteo del 30 novembre

Riceviamo e pubblichiamo:

A Foras, movimento contro l’occupazione militare della Sardegna, aderisce ed invita militanti, associazioni, organizzazioni politiche e tutti i cittadini e le cittadine sarde a partecipare al corteo del 30 novembre “DALLA PARTE DI CHI LOTTA”, con partenza alle 15 da piazza Giovanni XXIII a Cagliari. L’operazione Lince, promossa dalla procura di Cagliari poco prima della manifestazione di Capo Frasca, ha lanciato accuse pesantissime contro tutto il movimento. Queste accuse sono state restituite al mittente il 12 ottobre da una moltitudine che non si è fatta intimorire regalando un’altra giornata di lotta popolare e determinata. 45 indagati, 5 dei quali sono accusati di terrorismo e hanno ricevuto una richiesta di sorveglianza speciale, misura disponibile a PM e giudici che punta a distruggere la vita di chi la subisce con limitazioni fortissime alla libertà personale.

La migliore solidarietà è continuare a lottare”. L’appuntamento del 30 novembre di Cagliari sarà un momento importante per lanciare una serie di proposte e restituire dignità a tutti e tutte coloro che in questi anni hanno generosamente lottato per la nostra terra e per questo sono represse dalle forze dell’ordine.

“SARDIGNA 2020 L’UNICA GRANDE OPERA #stopesercitazioni #bonifiche #giustiziasociale” recita lo striscione che accompagnerà lo spezzone indetto da A Foras per il 30 novembre. E’ in corso in questo momento la campagna muraria “Stop Invasione, un manifesto per paese”, che sta attraversando l’isola per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle esercitazioni militari nell’isola; parallelamente abbiamo avviato un dialogo con i comuni sardi interessati dall’attracco delle navi militari pronte alle esercitazioni e dallo sbarco dei mezzi corazzati, per attivare delibere e mozioni comunali utili a tutelare sicurezza e viabilità cittadina davanti alla ingombrante presenza militare. Dal punto di vista accademico sia a Sassari che a Cagliari si sta attivando una campagna volta a far finanziare nel minor tempo possibile un corso specialistico in bonifiche, dedicato al futuro dei siti industriali e militari che una volta dismessi saranno lavoro e sviluppo per la nostra terra. Nel 2020 torneremo nelle strade, ci sporcheremo le mani, proveremo ad avviare una serie di “bonifiche, simboliche e autogestite”. Da una parte portando alla luce una serie di siti militari dismessi e lasciati a marcire sul territorio sardo, dall’altra testando un modo di coinvolgimento popolare e inclusivo, alternativo a cortei e manifestazioni di piazza.

Dalle scuole ai poligoni, dai porti alle università A FORAS SA NATO DAE SA SARDIGNA!.

30nova

Manifesto in formato stampa: A Foras – Dalla parte di chi lotta

ASSOLTI PERCHE’ IL FATTO NON SUSSISTE

Oggi 25 novembre si è svolta l’udienza del processo per la violazione del foglio di via ai danni di 11 compagni/e.
I fatti riguardano il corteo del 3 novembre 2015 a Teulada dove più di duemila persone presero parte alla giornata che aveva come obbiettivo quello di bloccare l’esercitazione militare NATO più grande dal 2002, la Trident Juncture.
Pochi giorni prima però la questura, dopo aver negato l’autorizzazione a fare un corteo e aver invece autorizzato un presidio statico con moltissime prescrizioni, decise di applicare 11 fogli di via dai comuni di Teulada e Sant’Anna Arresi alle persone che erano state identificate nei pressi del poligono di Teulada “con fare sospetto” appena qualche giorno prima della manifestazione.
Il 3 tutti i destinatari della misura partirono da Cagliari con destinazione Porto Pino luogo di concentramento e di partenza del corteo. Durante il tragitto le forze dell’ordine bloccarono i pullman per portare via tutti e 11 i titolari dei fogli di via al commissariato di Giba dove vennero identificati e denunciati. Da questa denuncia venne poi emesso il decreto penale di condanna contro il quale fu presentata un’opposizione che oggi ha trovato la sua discussione nell’aula del tribunale.
Nell’udienza di oggi hanno parlato i 3 testimoni della difesa che, con l’uso di tavole grafiche e racconti personali, hanno spiegato che il luogo in cui sono stati fermati i pullman non si trovava all’interno del confine del comune da cui erano banditi, anzi era abbastanza lontano.
Una volta ascoltata la testimonianza dei primi due testimoni ancora prima che si sedesse la terza il pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione di tutti gli imputati perché il fatto non sussiste in quanto “le forze dell’ordine hanno fermato i pullman con all’interno i manifestanti ancora nel territorio di Masainas e non di Sant’Anna arresi, per cui gli imputati non hanno violato la misura”.
Il punto su cui però si sono concentrati nell’arringa finale gli avvocati della difesa era che, il fatto non sussiste non perché le forze dell’ordine hanno fermato gli attivisti prima ancora di arrivare a Sant’Anna Arresi ma perché quei fogli di via erano, nella maggioranza dei casi, non erano sorretti da nessuna denuncia o segnalazione di polizia per cui non c’erano elementi per sostenere che le persone destinatarie della misura erano pericolose per l’ordine o per la sicurezza pubblica e quindi avevano l’unico scopo di scoraggiare la manifestazione di dissenso e di opposizione alla presenza militare nell’isola.
Una volta rientrata il giudice ha emesso la sentenza “ASSOLTI PERCHE’ IL FATTO NON SUSSISTE
Gli avvocati della difesa hanno quindi chiesto la disapplicazione dei fogli di via, per sapere se la richiesta verrà accolta bisogna aspettare il deposito delle motivazioni della sentenza che avverrà entro 60 giorni.

Baunei – Quando la legge è provocazione la resistenza è giusta

I giornali di oggi riportano la notizia di un anziano allevatore di Baunei che ieri quando si è trovato di fronte i militari della forestale, che armati di fucile volevano abbattere i suoi maiali, non si è arreso ha impugnato anch’egli il suo fucile e ha sparato dei colpi in aria, dopodiché ha fatto perdere le sue tracce nei boschi del supramonte.

Sembra una storia del secolo scorso, ma non è così. Le provocazioni di leggi assurde difese con le armi dagli uomini in divisa dello Stato sono più attuali che mai.

A parte l’ovvia empatia con quest’uomo per la sua determinata ed efficace resistenza (i forestali si sono ben guardati dal procedere con gli abbattimenti) ci sembra molto importante rilevare come sia continua e capillare l’omologazione violenta che lo Stato italiano vuole imporre sui territori. Ieri era l’allevamento brado ma se ci guardiamo intorno è pieno di casi similari a questo, basti pensare all’accanimento con i venditori definiti abusivi, italiani o stranieri che sia, o con i parcheggiatori.

Ci schieriamo ovviamente dalla parte di chi si auto-organizza per fare ciò che gli serve, di chi sa scegliere nel rispetto degli altri cosa sia giusto fare anche se non fa rima con legale, di chi messo alle strette non cede e sceglie di resistere.

Qui la notizia sull’Unione: https://www.unionesarda.it/articolo/news-sardegna/ogliastra/2019/11/22/baunei-allevatore-spara-in-aria-durante-l-abbattimento-dei-suini-136-955793.html

Un trucco in cui non cadiamo

Tratto da Rompere le righe

Un trucco in cui non cadiamo

Qualche mese fa il Parlamento italiano ha dato lo stop all’esportazione di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti rispetto alla vendita di bombe costruite a Domusnovas in Sardegna dall’azienda tedesca Rwm. Tale scelta, dovuta alla guerra contro lo Yemen, vale solo per gli armamenti “pesanti” e non per le armi “leggere”.

Ora per i lavoratori sardi si prospettano 1600 posti di lavoro a rischio (di questo argomento, e della presa di posizione degli operai in merito alla produzione bellica, abbiamo già parlato su questo blog Lettera dei lavoratori RWM, qualcuno ha ancora voglia di chiamarli vittime?.)

Vogliamo soffermarci sulla posizione ipocrita dell’Italia in campo internazionale.

Allo Stato interessa poco degli operai, e poco potrà fare la Regione Sardegna per loro: il problema del lavoro nelle zone del Sulcis-Iglesiente va ben al di là della singola fabbrica, e ben altre risposte ci vogliono che interpellare il ministro degli Esteri attuale.

Una cosa è evidente, se si mettono assieme gli avvenimenti nella zona del Golfo Persico.
Che una azienda tedesca chiuda è un problema di poco peso, mascherato sotto il velo di una scelta etica, rispetto alla sanguinosa guerra nello Yemen. Ricordiamo che ci sono milioni di bambini denutriti, milioni di persone che muoiono di colera e fame, persino i giornali nostrani hanno approfondito la storia di questo conflitto.
Ma questa scelta del parlamento italiano va sovrapposta ad altri fatti rilevanti.
È ancora una volta l’azienda di Stato Eni che fa la voce grossa. Pochi giorni fa l’AD Claudio Descalzi ha annunciato che sono stati sottoscritti cinque nuovi accordi per aggiudicarsi concessioni e licenze esplorative negli Emirati Arabi Uniti, e il 20 % della società di Stato Adnoc Refinering è stata acquistata rafforzando la presenza di Eni nel paese arabo.

Questa mossa di Eni è fondamentale nello scacchiere geopolitico attuale, entrando in competizione con Total, con gli inglesi e gli statunitensi.
Lo scontro nello Yemen ha valicato i confini del piccolo paese dopo l’attacco alle raffinerie saudite, mettendo in mezzo l’Iran e i conseguenti accordi internazionali riguardo al nucleare, fatti questi ancora da decifrare.
A noi pare che la scelta “etica” di stoppare la vendita di armi all’Arabia sia più che altro una scelta di profitti, quelli più proficui, quelli del petrolio. Nonostante l’Eni continui a promuovere, con le sue campagne pubblicitarie, una soluzione energetica “green”, il petrolio rimane fonte di enormi interessi. Non c’è nessuna transizione energetica, e non c’è nessun blocco ai finanziamenti a paesi come gli Emirati Arabi Uniti, tra i principali responsabili della guerra in corso in Yemen.

A noi non bastano le “scuse” come quelle del governo britannico per la violazione dei “diritti umani” in merito alla vendita di armi all’Arabia Saudita dopo la sentenza del 20 giugno dell’Alta Corte di Appello: le scuse sono un pro forma per far finta di essere interessati al problema della guerra nello Yemen.
Non c’è nessun passo successivo che vada in direzione della risoluzione del conflitto.
Noi continuiamo a vedere la sofferenza di milioni di persone, e non cadiamo nel trucco delle finte scelte del “nostro” Parlamento, anzi, è proprio perché conosciamo i suoi vecchi trucchi che continueremo a sbugiardare la propaganda di Stato ed inciteremo ad una costante lotta contro i responsabili dei massacri sauditi, che siano emiratini o italiani.

Cagliari – Danneggiato veicolo di Nurjana Technologies

Riceviamo e pubblichiamo:

Passano gli anni e la repressione colpisce ma le pratiche rimangono vive per chi ha voglia di lottare. Mettiamo i bastoni tra le ruote a chi guadagna con le tecnologie di guerra, da vendere agli eserciti che occupano la nostra terra.
La notte del 12 novembre sono state tagliate le gomme di un veicolo Nurjana e sopra gli è stato scritto “complici delle guerre”.
In solidarietà agli indagati dell’operazione Lince e a coloro per cui è stata chiesta la sorveglianza speciale.

Immagine

Feltre (BL) – Iniziativa di solidarietà per gli antimilitaristi indagati nell’Operazione Lince

AD6FF410-FF35-4DB9-8020-3ED408B8027D

Sabato 30 Novembre – Corteo: Dalla parte di chi lotta!

Sabato 30 novembre ore 15
Corteo dalla parte di chi lotta!
Piazza Giovanni XXIII

Dalla parte di chi lotta perché ciò che ci circonda continua a non andarci giù: guerre imperialiste, governi sempre più follemente securitari, proteste soppresse con la violenza dagli Stati, poveri sempre più emarginati nei quartieri e nelle carceri, arricchimento di pochi a discapito di molti, politiche di sfruttamento del pianeta che fanno i primi passi verso il punto di non ritorno, omologazione forzata della popolazione alle leggi di Stato e mercato.
In varie parti del pianeta queste imposizioni stanno trovando filo da torcere: sono numerosi i casi di ribellione, più o meno generalizzata. Dai combattenti del Kurdistan, che dopo aver dato vita all’esperienza rivoluzionaria del confederalismo democratico si trovano a difendersi dall’invasione turca, ai giovani di Hong Kong che si sono rivoltati contro la legge sull’estradizione, ai cileni che in questi giorni affrontano i militari strada per strada, fino alle barricate in Catalunya per la liberazione dei prigionieri politici,
passando per la Palestina dove da tanto tempo si difende il proprio territorio dall’invasione israeliana.
Tutti questi episodi, seppur diversi e geograficamente lontani tra loro, ci insegnano che  lottare contro le ingiustizie è possibile, e che solo da una rottura della sanguinosa  “normalità” può nascere qualcosa di diverso.

Anche la Sardegna è carica di esempi, nella sua storia il ruolo di colonia delle varie potenze che ne hanno devastato i territori e represso o comprato le genti che l’abitano ha lasciato delle tracce indelebili. Intere comunità spopolate, monti, pianure e mari devastati e inquinati, intere coste assalite dal turismo di massa, enormi porzioni di terra occupate da militari che si esercitano a uccidere e distruggere lasciando in cambio solo tumori e devastazione.
Sentirsi antimilitaristi, ora più che mai, significa perciò questo: lottare per un mondo libero da imposizioni, senza oppressori, potendo scegliere per la propria vita, comunità e territorio, senza dover subire prepotenze da chi vuole comandare.
Per questo ci sembra fondamentale ritrovare la gioia di lottare assieme, dando forza a ciò che ci accomuna nei percorsi di lotta, dando spazio alle varie pratiche che ci rappresentano, cercando complicità con chi subisce le angherie dei più forti.
Ed è per questo che ci sembra importante lottare nei territori in cui viviamo, perchè sono stracolmi di contraddizioni e violenze specifiche: liberandoci da esse daremo importanti contributi a tutta quella fetta di mondo che si batte per i medesimi obiettivi.

Per questo motivo in una giornata come questa vogliamo sentirci tutti e tutte  rivoluzionari curdi, giovani palestinesi, ribelli cileni e antimilitaristi sardi…
Vogliamo stare a fianco di tutti i 45 indagati nell’operazione Lince, che hanno   accompagnato tanti di noi nelle recenti lotte contro l’occupazione militare della  Sardegna dimostrando come “tanti modi, un’unica lotta” sia non solo uno slogan, ma una prassi incisiva e arricchente.
Vogliamo portare solidarietà ai 5 indagati per 270bis, già giudicati dai giornali nostrani come terroristi, sui quali pende la spada di Damocle della sorveglianza speciale in quanto persone desiderose di lottare per la libertà.

Le loro accuse non ci fermeranno, le sorveglianze non hanno nulla di speciale, noi dobbiamo essere più forti e la solidarietà è l’arma migliore per dimostrarlo.
Urliamo a gran voce da che parte stiamo.

Il 3 dicembre alle 9 inoltre invitiamo tutti e tutte ad essere presenti davanti al Tribunale in occasione dell’udienza per la sorveglianza speciale, per far sentire a chi ci vuole a testa china che nessuno di noi sarà mai solo.

Assemblea per l’Autodeterminazione
Kasteddu, autunno 2019

 

Chiamata in formato stampa: Dalla parte di chi lotta

BLACK HAWK DOWN

Le esercitazioni militari non vanno sempre a buon fine. Dopo anni in cui la serenità dei vertici della difesa viene messa a rischio dagli antimilitaristi, non poteva mancare un segnale forte da parte degli stessi militari, come a dire Ehi siamo qui!Sappiamo sabotarci anche da soli!

Infatti un elicottero bello grosso ha pensato bene di modificare le normali manovre d’atterraggio schiantandosi sul cacciatorpediniere Caio Duilio, durante un’esercitazione a Capo Teulada.

Le autorità parlano di appontaggio pesante, dalle immagini sembra piu’ un cetaceo spiaggiato. Ma si sa, i militari sono modesti, sia di fama che di intelletto e sminuiscono l’accaduto. Nel frattempo solerti parlamentari chiedono conto alle camere ed al ministro Guerini.

Scherzi a parte, non è da poco la spada di Damocle che grava sulle teste dei Sardi costretti a vivere momenti da film con magari un elicottero gigante che ti piomba sulla testa perchè si stava esercitando alla guerra. Così come non è da poco il protrarsi di esercitazioni per addestrarsi ad uccidere ed esportare nel mondo non certo la pace, ma la guerra assoluta, perchè, diciamocelo , con la pace i soldi veri non si fanno.

Non lasciare in pace chi vive di guerra è ancora un concetto importante, che liberarsi delle servitu’ militari e delle fabbriche di morte sia una necessità è un dato di fatto.

per chi volesse ecco il link della notizia :

https://www.unionesarda.it/articolo/news-sardegna/provincia-cagliari/2019/11/13/capo-teulada-precipita-elicottero-militare-a-bordo-sei-persone-vi-136-952200.html