Archivi del mese: settembre 2018

Comunicato “mettiamo i puntini sulle I”

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato di risposta a quello pubblicato della band “malepeggio” in merito alle violenze di genere agite da un componente della stessa.

Mettiamo i puntini sulle I

Sentiamo costantemente usare come giustificazione ad un atto di violenza il rapporto intimo tra due persone e scusiamo i gesti violenti o le prassi di violenza psicologica come atti d’ira o come scatti di gelosia : siamo tutti e tutte figli e figlie del patriarcato che ci ha fatto nascere e ci ha divisi tra vittime e carnefici.

La consuetudine deve essere smantellata, tassello per tassello. Un fraintendimento non giustifica una spinta ed una spinta non deve essere sminuita.
Non si tratta di una questione personale tra gli attori di questa vicenda, chi ha subito non è solo la persona tirata in causa ma sono state tante donne a essere vittime di questa sua violenza.
La violenza non è solo fisica ma anche psicologica e non dobbiamo e non vogliamo dimenticare che accanto a chi ha perdonato ed è andata avanti ci son tante altre che ancora fanno i conti con ciò che hanno passato.
Anche noi speravamo che non ci fosse altro da aggiungere, ma a quanto pare la sofferenza di diverse donne vale meno di un concerto e noi a queste regole non sottostiamo.
Premettendo che la decisione di mandare via la persona sia stata presa dalle compagne, incluse le compagne soggette di violenza, e premettendo che la decisione che lui non fosse presente all’assemblea sia stata presa dalle compagne che hanno vissuto in prima persona queste molestie e che non se la sentivano di averlo accanto in un momento così difficile, vogliamo ribadire che il complotto non è contro il mostro ma è per la nostra libertà di non ricevere pressione fisica e mentale, toccatine di culo, lingue in bocca o semplici insulti. Pretendiamo di non dover giungere ad un compromesso per la nostra libertà.
Da quel momento si è chiesto alle persone che portano avanti le lotte condivise di prendere posizione, che non è con o contro di lui, ma con o contro la violenza di genere spesso banalizzata  e portata sottilmente avanti da tante persone, con argomentazioni che spesso giusficano solo dei fatti specifici.

Siamo tutte abituate  a subire, siamo tutte abituate a perdonare perchè siamo figlie sane del patriarcato anche noi.
Non vogliamo raccontare tutte le cose che ci sono state fatte, perchè aprire un vaso di pandora che siamo riuscite a chiudere  con grande difficoltà non è piacevole.
Non essere credute, essere sminuite, è un ingiustizia e dover sottostare ai giochi mentali per cui dobbiamo sempre accantonare le nostre sofferenze  è un processo che vogliamo demolire, la decisione perciò stavolta è nostra perchè decidiamo con coscienza di riprenderci ciò che c’è stato tolto tantissimi anni fa: la decisione di essere libere e di non avere più paura di stare in strade buie, discoteche e tutti gli altri luoghi che viviamo, compresa la casa e ancora di più gli spazi liberati.
L’antifascismo e l’antisessismo si dimostrano con i fatti, non basta il ritornello di una canzone.
Non esistono episodi lievi o non lievi di sessismo, dal patriarcato ci si deve liberare e non fingere di farlo, perchè se fossimo tutti redenti allora non avremmo bisogno di una lotta di liberazione di genere, invece purtroppo la lotta è appena iniziata.
La nostra lotta contro chi crede di potersi comportare come vuole con il genere femminile, non è boicottaggio ma rabbia. Siamo donne stufe e arrabbiate di chinare la testa e fino a quando ogni persona non si libererà del macigno che si porta a presso noi continueremo con i nostri pipponi femministi.
Noi continueremo a stare nelle strade, nei quartieri di questa città rivendicando ogni giorno la scelta che abbiamo preso l’anno scorso.
Noi staremo con le donne che difendiamo dagli sfratti, che conosciamo nelle università e in tutti i posti che frequentiamo.
La rivoluzione sarà femminista o non sarà.
Siamo disponibili per ogni chiarimento e alleghiamo comunicato pubblicato subito dopo l’accaduto.

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=632005246993801&id=315212415339754

Le compagne di Cagliari

Per chi volesse leggersi la porcheria che hanno scritto i Malepeggio può visitare la loro pagina facebook.

Per dovere di cronaca: i fatti risalgono a un anno e mezzo fa, quando vennero a galla le ripetute violenze di genere che un componente della band aveva agito su diverse donne. Questo individuo, mai pentito delle sue azioni, è stato allontanato da tutti i giri e spazi di movimento della Sardegna e in alcuni casi anche nel resto della penisola. I tentativi di chiarimento con il resto della band si sono verificati inutili, o meglio hanno mostrato come l’Oi sia per queste persone ben più importante dell’etica e degli ideali di libertà e giustizia che dicono di avere. Il comunicato pubblicato da poco è il maldestro e patetico tentativo di recuperarsi una credibilità, per sperare di avere ancora qualche posto dove suonare. Siamo fiduciosi che così non sarà.

Cronaca di un picchetto anti sfratto

Oggi in via Baccaredda si è tenuto un picchetto antisfratto contro il tentativo di sgombero da parte di AREA : l’ente regionale che si occupa di alloggi che vorrebbe riappropriarsi di un appartamento occupato da qualche anno.

Ai danni dell’occupante ragazza madre è in piedi un progetto di sfratto che ormai va avanti da 5 tentativi di accesso. Ormai sembra consolidata la pratica degli ufficiali giudiziari di presentarsi con al seguito una o due pattuglie ed in questo caso ne sono piovute dagli antri della questura ben 3.

Insieme all’ufficiale giudiziario ed alle solerti guardie si è presentato un signore con polo ed occhiali scuri che, dopo diverse insistenze, si è palesato come medico della ASL ed ha certificato che la sfrattanda fosse nelle idonee condizioni di salute per essere sbattuta fuori di casa.

Gli sbirri hanno tentato, senza successo e forse con qualche denuncia, di forzare l’accesso perchè a loro dire avrebbero voluto “verificare le condizioni” ma i solidali del Movimento di Lotta per la casa presenti hanno impedito il loro ingresso con qualche strattone.

L’ufficiale giudiziario ha quindi convocato la Digos e fatto mille telefonate per poi concedere un rinvio al 22 novembre.

Continuano così i tentativi di AREA di riappropriarsi degli immobili occupati attraverso mille sotterfugi : dall’invio dei medici, alla presenza dei funzionari dello stesso ente e degli avvocati di parte trasformando così i picchetti in un braccio di ferro continuo con questi abbietti figuri.

la presenza di solidali è stata fondamentale per evitare lo sfratto e la contrapposizione attiva sembra , per ora, una pratica vincente nel momento emergenziale dello sfratto.

Servirebbe una riflessione per variare le pratiche e spiazzare la repressione.

La casa è di chi l’abita.

Is arenas, un’insolita protesta

I sindacati di Polizia Penitenziaria segnalano un’insolita protesta nella casa di reclusione di Is arenas nei pressi di Arbus. I secondini da diversi giorni si autoconsegnano nell’istituto di pena rifiutandosi o comunque tardando il rientro a casa.Questo per denunciare le condizioni di lavoro pessime e causa di tachicardia, pressione alta e malori, stando agli agenti.

Le guardie così hanno pensato bene di restare nel luogo di lavoro che gli causa tanti malanni oltre l’orario d’impiego per fare pena alle istituzioni o forse come una lenta forma di suicidio.

I sindacati tuonano : Mangiamo panini o facciamo cene improvvisate ed anzi ci rifiutiamo pure di andare a mangiare alla mensa così ci ascolteranno e inoltre hanno tolto anche la navetta dall’istituto al paese. Anche questa è una mossa molto astuta che non puo’ far cadere nel silenzio la protesta, o forse no?

Ma i secondini non hanno tenuto conto che anche le istituzioni di fronte a tanta idiozia tacciono e così nessuno gli da retta.

Possiamo solo auspicare per loro una diserzione collettiva oppure che cuociano nel loro brodo, sempre che se lo portino da casa visto che alla mensa non ci vanno.

fuoco alle galere.

 

FOGLIO DI VIA, UN INSOLITO SALUTO

Il 19 settembre un nostro compagno, mentre lasciava l’isola, è stato raggiunto dalla Digos che , non volendo dimostrarsi maleducata nell’essere avara di saluti, gli ha consegnato un foglio di via da Cagliari e provincia per un periodo di 3 anni.

Il provvedimento è datato 28 Giugno, quindi la polizia è stata paziente come un avvoltoio nella consegna del provvedimento. Forse non gli andava l’idea di rovinare l’Estate al nostro compagno oppure chissà.

Le motivazioni sono racchiuse in un elenco di denunce e anche nella curiosa motivazione di essere stato ospitato da figure dell’anarco insurrezionalismo isolano non meglio precisate.  Ovviamente sono presenti le sempre ridicole supposizioni circa il non avere “gravi motivazioni che giustifichino la sua presenza sul territorio” e da li che la conseguenza sia che :  se sei ascrivibile ad una determinata area politica e vieni in Sardegna lo fai per commettere atti illeciti. Alla faccia della propensione al turismo.

Magari chissà, il nostro compagno lavorava qua, magari era semplicemente un turista attento della fauna degli stagni oppure era semplicemente qua perchè abbiamo un mare molto bello, ma la questura non ha orizzonti ampi e quindi conta cio’ che pensi e non cio’ che fai. Così con l’instancabile Digos ,come ha già fatto piu’ volte in occasioni di cortei o iniziative o anche semplicemnte per il gusto di farlo, commina il foglio di via.

Questi provvedimenti mirati a tutelare il mitologico “ordine pubblico” sono solamente dei tentativi di spezzare le lotte, di isolare anche i semplici rapporti e criminalizzare la sola presenza in un determinato territorio.

I fogli di via sono una pratica a costo zero che ricordiamo è stata utilizzata al corteo di Teulada ed a tante altre iniziative. Sempre piu’ si sente la necessità di una solidarietà forte ed organizzata per far fronte comune contro questi attacchi.

Al nostro compagno va la nostra solidarietà ed un forte abbraccio.

Alla questura il nostro solito ma imperterrito odio.

Per chi suona la campanella

Al carcere di Massama la campanella non suona per ora.  La scuola non apre i battenti per i detenuti, mentre nelle carceri sarde sarebbero iniziati i corsi previsti, nel carcere oristanese il direttore giustifica il blocco scolastico con la dicitura “gavi motivi” senza specificare quali essi siano. I detenuti dimostrano il loro disappunto anche perchè significa ritardare corsi già iniziati o difficoltà nell’intraprendere un percorso scolastico.

Nelle carceri sarde negli ultimi tempi la tensione sembra piu’ alta. Si contano diverse aggressioni ai secondini e le condizioni di vita sono sempre piu’dure. Il sovraffollamento sopratutto nei periodi estivi rende la vita nelle carceri sempre piu’ difficile e sicuramente le angherie di sbirri e direttori non addolciscono la pillola. Dal canto loro i sindacati di polizia continuano una litania ormai giornaliera per rinforzare il personale e addirittura si lanciano nel marasma delLe proposte chiedendo il trasferimento dei detenuti “fastidiosi”. L’autorità si sa, non sopporta voci contrarie.

Nel fantomatico discorso sul reinserimento sociale e sulla rieducazione che sottende al carcere sono palesi le falle. L’illusione che il carcere sia un luogo da cui uscirne migliorati è solo nella mente delle fate e dei folletti dei boschi. La sospensione delle attività come quella scolastica a Massama, o nell’accesso premiale alle attività extra si riscontra un sistema basato solo sulla coercizione fine a se stessa perchè altrimenti, vista l’importanza che viene data a queste attività, non basterebbe certo il prurito di un direttore a sospenderle, anzi.

Il carcere resta sempre un luogo di tortura, resta sempre un sistema da abbattere.

SEGUIRANNO AGGIORNAMENTI

SOLIDARIETA’ CON I COMPAGNI ACCUSATI DI 270 BIS

Il 15 Settembre il DDAT del tribunale di Cagliari ha fatto scattatare un’operazione di “antiterrorismo” fra Cagliari e Nuoro.

Perquisizioni e sequestri di passaporti e materiale vario per chi a detta degli sbirri sarebbe un cosiddetto foreign fighter e coloro che sono indagati come complici.

L’accusa è quella di essere andati a combattere in Kurdistan nelle file dell’YPG, le unità di protezione del popolo curdo, poco importa se il nemico principale contro cui queste combattono sia l’ISIS, il problema per sbirri e magistrati nostrani è che il PKK è inserito nella lista nera dei gruppi terroristici e l’YPG venga visto come una costola di esso. Quindi terroristi.

Al di fuori delle accuse e delle speculazioni intellettuali della repressione, quello che ci interessa notare è che in seguito a questa indagine si sia palesata la volontà di accusare i compagni indagati secondo l’articolo 270-bis del codice penale: associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Una vecchia conoscenza per i compagni sardi e non.

Le costruzioni degli organi repressivi sono sempre altisonanti e fantasiose ma la pesantezza di un’accusa del genere significa ben altro.

La lotta che da anni viene portata avanti in Kurdistan è una delle esperienze più interessanti esistenti al mondo, seppur fra mille difficoltà e contraddizioni è un tentativo reale di opposizione al capitalismo e alle logiche di potere e mercato degli stati occidentali e mediorientali, fatto di guerriglia e autogestione.

Un’indagine fatta con questi presupposti è palesemente un deterrente per chi volesse intraprendere la stessa strada, un’intimidazione verso chi si stava organizzando per partire, un chiaro attacco alla solidarietà internazionale che da sempre è un nemico scomodo per gli sfruttatori.

Una volta di più si conferma come non conta tanto quello che fai, ma quello che pensi. La guerra al terrorismo dell’ISIS va bene solo se la fai con una mimetica di un esercito regolare, se fai parte di una milizia autorganizzata di una nazione non riconosciuta sei anche tu un terrorista, un nemico da reprimere, questo è il significato delle indagini di ieri.

Un simile attacco a chi porta la solidarietà, non solo con parole, ad una causa che ritiene giusta, mettendo a rischio la propria vita e mettendo in discussione gli aspetti della propria vita, non puo’ che suscitare la nostra rabbia.

Rispondere a questi attacchi significa far sentire la nostra vicinanza a chi viene colpito dalla repressione e costruire una solidarietà sempre più forte.

Solidarietà ai compagni accusati di 270-bis. Odio contro la repressione e lo sfruttamento in ogni loro forma.

    Cassa antirepressione sarda

Tre perquisizioni e indagine per 270 bis per tre compagni sardi accusati di aver militato nelle file dell’YPG

Ieri mattina sono scattate le perquisizioni nelle abitazioni di due compagni, un terzo pare che sia stato raggiunto solo in serata, l’obbiettivo di tale manovra era il sequestro dei passaporti, dei telefoni e la notifica di un indagine a loro carico di 270bis, cioè associazione sovversiva con finalità di terrorismo.

Le accuse si basano sulla presunta militanza nelle fila delle Unità di protezione del popolo curdo, le YPG, e di aver quindi combattuto contro l’ISIS. Uno dei tre era sospettato di essere in procinto di ripartire per il Kurdistan.

Una volta di più si conferma come non conta tanto quello che fai, ma quello che pensi. La guerra al terrorismo dell’ISIS va bene solo se la fai con una mimetica di un esercito regolare, se fai parte di una milizia autorganizzata di una nazione non riconosciuta sei anche tu un terrorista, questo è il significato delle indagini di ieri.

Il DdaT (direzione distrettuale anti terrorismo) non ha perso l’occasione di imprimere un ulteriore stretta repressiva a una realtà come quella sarda, che negli ultimi anni ha visto pioversi addosso decine e decine di provvedimenti vari, e solo l’altro giorno era avvenuto un nuovo ritrovamento di microspie in un’automobile di un compagno.

Seguiranno aggiornamenti, nel frattempo esprimiamo tutta la nostra più calda solidarietà agli indagati.

Sempri ainnantis

NBS

Qui di seguito il comunicato di uno degli indagati:

Questa mattina sono stato oggetto delle attenzioni della polizia italiana: questi signori si sono presentati a casa di mia madre, esibendo degli atti firmati da un pubblico ministero che mi accusano addirittura di ‘terrorismo’.

Da quanto ho potuto leggere sull’atto di sequestro del mio passaporto si tratta di un’indagine che riguarda un mio viaggio in Siria dello scorso anno, costruita utilizzando parecchie intercettazioni ambientali in cui frasi e pezzi di discorsi che mi vengono attribuiti sono puntualmente travisati per dimostrare le tesi accusatorie, come è spesso avvenuto nelle indagini architettate dall’antiterrorismo in Sardegna.

Molto prima che terminassero le perquisizioni, la polizia aveva già avvertito la stampa di questa ‘brillante operazione’ corredando le notizie con alcune foto e video che avevano rinvenuto nella memoria di un telefono.

Io non ho nulla di cui vergognarmi e non ho commesso nessun crimine né per la mia coscienza e né per le leggi dello stato coloniale che occupa la nostra terra.

Da indipendentista sardo ho sempre rivendicato la mia militanza internazionalista, e non ho mai nascosto il mio appoggio verso la lotta per l’autodeterminazione del popolo curdo e verso la lotta dei curdi per la liberazione della donna e per costruire una società più giusta e democratica in Medioriente.

Ritengo sia semplicemente ridicolo che le YPG e l’IFB vengano associate al terrorismo. Si tratta di formazioni composte da volontari curdi, arabi, siriaci, turchi e occidentali che in mezzo all’orrore della guerra difendono da anni la popolazione della Siria del Nord dai tagliagole islamisti e dall’aggressione dello stato fascista turco.

L’accusa infamante di terrorismo rivolta alle YPG è surreale e completamente immotivata. Ed è ancora più assurdo che la DDA di Cagliari pretenda di sindacare su quali siano le organizzazioni che debbono considerarsi terroristiche fra quelle che operano nel territorio siriano, lanciandosi in mirabolanti speculazioni di politologia e politica internazionale.

Voglio esprimere la mia più totale solidarietà agli altri perquisiti in questa vicenda semiseria e la mia vicinanza a tutti i compagni che oggi soffrono ben di più per il loro internazionalismo, seguendo l’esempio di Mehmet, Kendal, Orhan, Sahin, Baran e le migliaia di uomini e donne che hanno combattuto e sono caduti difendendo la rivoluzione confederale nella Siria del Nord”.

Censura per Paolo

Apprendiamo oggi che la corrispondenza di Paolo sarà sottoposta a visto di controllo. Nella notifica ufficiale firmata dal giudice Poddighe, tra le varie peripezie giuridiche spunta una stranezza, il fatto che la richiesta si stata inoltrata il 17 aprile e accettata solo il 5 settembre.

Le motivazioni sono i contatti tramite posta con “gruppi anarcoinsurrezionalisti” e la corrispondenza con altri detenuti sottoposti alla censura. Inoltre risulta “molto grave” la: “detenzione di pubblicazioni appartenenti a un movimento (anarco insurrezionalista) che predica la violenza come mezzo per la risoluzione dei conflitti sociali e, quindi, fa apparire effettivamente possibile che costui possa, tramite posta, alimentare, con persone che condividono le stessa ideologia scambio di informazioni su potenziali obiettivi sensibili, ovvero organizzare eventi a sfondo anarchico eventualmente capaci di degenerare in disordini e sommosse”.

La durata della censura è di sei mesi, per chi volesse scrivergli:

PAOLO TODDE

C/O CC. “ETTORE SCALAS”

II STR. OVEST Z.I. MACCHIAREDDU,

09010 UTA (CA)

Dieci giorni di mobilitazione contro le frontiere

Appello a dieci giorni di mobilitazione contro frontiere e razzismo di Stato in occasione del processo per i fatti del Brennero

Il 12 ottobre, presso il tribunale di Bolzano, comincerà il processo contro 63 imputati e imputate per la manifestazione Abbattere le frontiere tenutasi al Brennero il 7 maggio 2016. Si tratta del primo troncone giudiziario, a cui ne seguirà un altro con altrettanti imputati. Nel frattempo, gli arrestati durante il corteo del 2016 a cui è stato fatto il processo d’appello si sono visti confermare la condanna a un anno e due mesi.
Si può dire che il motivo per cui siamo andati al Brennero quel giorno è decisamente, tragicamente attuale. Allo stesso tempo, visto quello che sta succedendo attorno a noi, l’importanza di questa scadenza repressiva impallidisce alquanto. Se ciò che ci rivendichiamo è lo spirito con cui in centinaia siamo andati al Brennero, vorremmo fare anche del processo un’occasione di lotta contro le frontiere sempre più assassine e contro un razzismo di Stato che non ha mai incontrato, se non negli anni Trenta, un simile consenso sociale.
Non servono molte parole per sottolineare quanto sia necessario e urgente agire contro questa ondata reazionaria. Ai campi di concentramento, alla segregazione istituzionale e allo sfruttamento spinto fino alla semi-schiavitù, si accompagna uno stillicidio di aggressioni contro gli immigrati. Siamo ormai al tiro al bersaglio fomentato, legittimato, normalizzato. Difficilmente si potrebbe immaginare una più ignobile (quanto funzionale a padroni e governanti) parodia dello scontro di classe. È come se la rassegnazione e la sottomissione con cui un’ampia parte della società ha accettato tre decenni di attacchi capitalistici si raggrumasse nel rancore verso l’immigrato, delegando al ducetto di turno la maniera forte. Se nazionalismo e razzismo, vecchi ami avvelenati a cui sempre più sfruttati abboccano, non trovano in fretta decisi sbarramenti, infetteranno a lungo le anime morte prodotte da questa meravigliosa democrazia. Educati a pane e tolleranza verso l’intollerabile (tanto tutto è opinione, no?), eccoci qua.
E noi?
L’epoca che richiede alle minoranze ribelli quelle drastiche opzioni di cui parlava uno storico partigiano non è dietro, ma davanti a noi. È qui. Sta salendo giorno dopo giorno.
Nel periodo che va dal 10 al 20 ottobre, l’iniziativa, l’azione e la rabbia contro ciò e chi fomenta tutto questo potrebbe convergere nel tempo e diffondersi nello spazio. C’è bisogno di dare dei segnali, di darsi spunti e coraggio (nonché esprimere solidarietà ai processati per gli scontri del Brennero).

abbattere le frontiere   

Costruire la solidarietà

Corrispondenze straniere…riceviamo e pubblichiamo un contributo tradotto dal francese, più precisamente da Digione.

Questo scritto è stato pubblicato a luglio sul sito Dijoncter.info, tra altri, a riguardo di alcuni fatti accaduti in Francia il 20 giugno. Si tratta di un comunicato/analisi in seguito a un’ondata repressiva che ha visto 8 compagni/e affrontare le manette e il tribunale francese, con l’accusa di formare una associazione a delinquere. Si tratta di un’interessante introspettiva sulle dinamiche antirepressive dei giri dei compagni francesi, dei vari mezzi e strumenti di cui i compagni quotidianamente si dotano nell’oltralpe. Ricorda anche come lo Stato e i suoi birri cercano sempre nuovi modi per mettere i bastoni tra le ruote a chi lotta per un mondo migliore, andando a colpire punti diversi delle strutture a loro avverse, cercando il punto debole. Per fortuna non hanno vita facile.

Questo scritto inoltre sarebbe giusto ricollegarlo al materiale che la Cassa Antirepressione Sarda ha diffuso durante l’iniziativa del 27 luglio a Cagliari e pubblicato sul numero 1 di Nurkuntra, uno scritto chiamato “L’importanza di una solidarietà organizzata” (https://nobordersard.files.wordpress.com/2018/07/pieghevole-limportanza-di-una-solidarietc3a0-organizzata-def.pdf), che invito a leggere.

Giusto un paio di precisazioni contestuali per meglio capire il contributo dei compagni francesi.

A Bure è ben attivo un movimento contro la costruzione di un centro di smaltimento/interramento di rifiuti nucleari (un progetto chiamato CIGEO), un movimento che prende il nome di M.O.N.S.T.R.E.S. (“Malfaiteureuses Organisant le Naufrage des Sous-TRaitants Et Soutiens”: “Malfattori e malfattrici che organizzano il naufragio dei subappalti e sostenitori”) di CIGEO, e in quanto mostri si muovono per essere il peggior incubo del progetto nucleare. I compagni hanno in particolare svolto un lavoro meticoloso di studio, oltre sugli effetti del nucleare sulla loro terra, su tutte le aziende ed enti che da quest’opera di distruzione e morte prenderebbero beneficio: prima fra tutte ANDRA, l’azienda nazionale dei rifiuti nucleari, fino ad aziende minori coinvolte nei lavori. In questo primo momento della lotta i compagni propongono di attaccare, ognuno secondo la propria fantasia e mezzi, l’azienda Ingerop, tra i principali complici di ANDRA. Da quando è uscita la campagna, varie azioni hanno popolato il territorio messo a rischio dall’ennesima minaccia del capitale. Qui il link del blog del movimento di Bure, con dossier dei complici della costruzione del CIGEO (alcuni hanno sedi anche in Italia) nonché notizie riguardo la lotta e azioni: https://lesmonstresdecigeo.noblogs.org/ .

Gerard Collomb è l’attuale Ministro dell’interno del governo francese che, esattamente come il “nostro” Salvini, ha un feticismo per la repressione e un forte amore per le forze dell’ordine, oltre a essere stato il braccio destro di Macron, almeno fino all’affaire Benalla. Pare che adesso non se la passi benissimo. Tuttavia, come cervello dell’apparato poliziesco è responsabile non solo per questa operazione a Bure, ma di tutte le ondate di repressione e violenza avvenute in Francia di recente, come ad esempio gli sgomberi alla ZAD e l’uccisione da parte della polizia di un 22enne durante un controllo stradale a Nantes.

Il “cortège de tête”, qui tradotto come «prime fila del corteo» per facilitarne la comprensione, è in realtà una dicitura dei compagni francesi per quella parte del corteo e delle manifestazioni che ha la curiosa abitudine di vestirsi completamente di nero e di coprirsi il volto, mentre, ad esempio, scorrazza per il centro città lasciando alle sue spalle solo i vetri rotti delle sedi delle multinazionali o macchine in fiamme per ostacolare l’inseguimento disperato dei gendarmi statali. Insomma un “black bloc”. Soprattutto durante le giornate di lotta particolari, questa macchia nera, la più determinata in piazza, nutre una certa avversione verso sindacati e giornalisti, che dal loro conto non esitano a infangare la rabbia che imperversa per le strade di una Francia stanca del governo ultraliberale e europeo-sovranista di Macron, dimostrando che le dinamiche di pacificazione sociale si assomigliano un po’ovunque alla fine.

Solidarietà ai compagni e alle compagne francesi inguaiati.

Contro la repressione e suoi agenti, non un passo indietro.

Buona lettura!

M.

Costruire la solidarietà.

Il 20 giugno a Bure, circa 200 agenti di polizia hanno arrestato 8 persone e perquisito 11 spazi di vita e organizzazione della lotta contro il progetto di interramento di rifiuti nucleari. Le persone arrestate sono accusate di formare una “associazione a delinquere”, un’accusa abbastanza pesante che mira a criminalizzare il fatto stesso di organizzarsi collettivamente per lottare contro questo progetto di sporcizia nucleare e, più strabiliante, la costruzione di legami di supporto medico e legale tra chi vi si oppone.

Noi, diversi collettivi di supporto legale e di lotta contro la repressione, reagiamo insieme a questo attacco, affermiamo che continueremo a mantenere forti le nostre solidarietà e chiamiamo ognuna e ognuno a unirsi a noi.57f9a41ca1fd81bbe9fd517c3f135672

I team legali, le casse di solidarietà o i collettivi antirepressione esistono un po’ ovunque in Francia. Sono stati creati per fare fronte alla repressione giuridica che si abbatte sempre più duramente su tutte quelle e quelli che sono sgraditi allo Stato. Permettono a ciascuno/a di trovare del supporto per costruire una difesa giuridica e di essere sostenuto/a economicamente durante le procedure giudiziarie.

I team legali si confrontano direttamente con le disuguaglianze del sistema giudiziario, che favorisce sempre i più ricchi, individua le responsabilità e le pene e tratta da bambini chi lo subisce. A causa della sua complessità e della sua chiusura verso l’esterno, il mondo giuridico ci strappa tutta l’autonomia necessaria per difenderci, e ci rende ben spesso completamente dipendenti dagli esperti di legge come gli avvocati. Succede pertanto che l’apparato giudiziario rafforza sempre più l’isolamento e l’impotenza della popolazione.

Per fare fronte alla repressione giudiziaria, vi sono dunque due principali sfide: riappropriarsi delle nostre difese (mettendo in discussione il ruolo dell’avvocato e inserendolo in una difesa più ampia) e costruire delle difese collettive. È, certamente, su queste basi che si sono costruite le team legali, che sono diventate degli strumenti indispensabili nel momento del bisogno, quando chiunque può trovarsi in galera per aver manifestato la sua rabbia.

Esattamente come le team mediche, sono l’espressione concreta di una solidarietà incondizionata, irremovibile.

Quello che è successo a Bure non è dunque una cosa da poco conto. Le domande fatte loro durante gli interrogatori e i mezzi dell’inchiesta non lasciano alcun dubbio: l’obiettivo è chiaramente di prendere di mira le strutture che permettono alle nostre lotte di vivere e di difendersi. Tenendo conto delle persone arrestate, sono effettivamente gli strumenti collettivi che rappresentano il sostegno giuridico, i gruppi di assistenza legale o ancora i “gruppi di auto medicazione” a essere puniti.

Per noi si tratta di una nuova strategia repressiva che bisogna prendere molto sul serio. Dopo aver aggredito molti attivisti, poi il loro materiale, lo Stato prende di mira oggi le strutture che permettono alle persone in lotta di rafforzare la loro principale risorsa: la solidarietà. Una solidarietà che diventa istintiva davanti ai livelli sconcertanti di violenza poliziesca e della repressione giuridica.

Proprio come in Germania con la chiusura del sito Linkunten Indymedia, o le minacce di blocco rivolte a Indymedia Grenoble; l’attacco mira a distruggere le nostre reti di mutuo soccorso, di sostegno e di comunicazione, creando al contempo un clima di paura su tutte quelle e quelli che si organizzano politicamente e socialmente.

Non sono alcune persone e neanche una lotta in particolare ad essere stata attaccata le settimane scorse., ma le idee, i metodi e le reti nel loro insieme. Abbiamo bisogno che una solidarietà generale si esprima: la difesa collettiva, come l’aiuto ai colpiti/e o la diffusione delle informazioni, devono diventare problema di tutte e tutti, affinché nessuno/a di noi possa rimanere isolato.

Se Gerard Collomb e i suoi simili sembrano insistere sul criminalizzare le forme più elementari di solidarietà, nel spingere verso la galera le persone che non fanno che resistere naturalmente all’inaccettabile (portando al “delitto di solidarietà”) e nel minacciare delle rappresaglie verso tutti quelli che non si dissociano dalle “prime fila del corteo”, che non si illudano: nessuno Stato, figuriamoci i più totalitari, ha mai avuto e mai avrà ragione su ciò che rappresenta la nostra umanità più altruista. La storia guarda positivamente coloro i quali non vendono la loro anima al migliore offerente o al più autoritario. Gli altri non rimangono altro che nomi su una lunga lista insulsa di uomini del potere e del compromesso, dunque persone di cui non vale la pena ricordarsi.

Noi non ci lasceremo intimidire né abbattere da queste manovre grossolane, usciremo più agguerriti/e, più forti e più determinati/e da queste avversità. Attraverso il suo rincaro e le sue accuse sempre più grottesche, lo Stato ci dimostra che si sforza sempre più a farci tacere. Se i suoi servizi e la sua intelligence sembrano tutto capire e tutto sapere, queste situazioni ci mostrano nientemeno che non hanno capito niente di noi e sono assolutamente incapaci di farci disperare.

I legami che uniscono tutte quelle e quelli che insorgono sono intoccabili.

La nostra solidarietà è la nostra arma.”

Fonte : https://dijoncter.info/?construire-la-solidarite-464