Archivi del mese: agosto 2014

COLPO MANCATO

Il direttore Pala, a capo del carcere di Buoncammino , non si aspettava che durante il giro di routine un coltellino in plastica potesse rovinargli la giornata, invece e’ quello che è successo.

Un detenuto armato del suddetto coltellino ha cercato di ferire il direttore ma e’ stato bloccato dai secondini.

I sindacati di polizia non lesinano sulle dichiarazioni lamentando le condizioni del personale penitenziario ma ovviamente non accennano alle condizioni detentive.

L’esasperazione per i detenuti, magari stranieri, soggetti a ricatti e punizioni, a condizioni di vita inumane e alla mercè degli umori dei secondini o quant’altro, non sempre resta una paziente attesa del fine pena ma sfocia , fortunatamente, in gesti che mirano ad attaccare, in un modo o nell’altro, i luoghi di tortura legale dello Stato.

Per ora un altro colpo mancato, per il futuro, chissà…

 

 

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CPA DI ELMAS, SI RINNOVA LA GARA D’APPALTO ALMENO SINO AL 2015

Il CPA di Elmas nonostante le voci sulla sua chiusura continua il suo nefando compito.

Scaduto il contratto della siciliana Sisifo , che gestisce anche Lampedusa, la prefettura rinnova la gara d’appalto per circa 3 milioni di euro e sta vagliando le domande dei candidati in queste ore.

Nonostante le proteste da ogni parte circa le condizioni del centro, sia da parte delle istituzioni che da parte del personale in divisa, continua l’esistenza di un centro che esiste dal 2008 e che e’ stato protagonista di rivolte, fughe riuscite o meno, malattie, suicidi riusciti o meno e fulcro di tanti tanti soldi che vengono giustificati con il termine emergenza.

In questo periodo con l’operazione Mare Nostrum in pieno svolgimento lo Stato,anzichè porsi dubbi sulla sua politica migratoria, continua a costruire o rinnovare lager per migranti facendo poi la vittima di fronte alla U.E. circa la propria posizione sulle faccende dei migranti.

Gli “ospiti”del centro di Elmas che sorge all’interno della struttura dell’aereoporto militare continuano ad essere come dei pacchetti, che possono essere custoditi. trasportati o smistati in posti sperduti negando così anche la minima possibilità di contatto con il mondo esterno e disperdendo nel tunnel burocratico della deportazione chi arriva qui con la speranza di una vita migliore.sant_antioco_fermati_sei_clandestini_sono_stati_trasferiti_al_cpa_di_elmas-0-0-375024

La visione del lager di Elmas, in mezzo alla struttura militare, circondato da recinzioni e plexiglas vorrebbe tenere lontana la possibilità di una solidarietà attiva nascondendo così alla popolazione l’esistenza di un lager legalizzato all’interno della città.

Lontani dagli occhi lontani dal cuore, dice il proverbio, ma il cuore che batte e si dibatte nel cuore dei migranti e dei solidali è un cuore forte e scandisce sempre piu’ forte la parola LIBERTA’!

Sadali, continua la ribellione dei 47 migranti Il vicesindaco: “Li hanno presi con l’inganno”

Da L’unione sarda:

Chiedono di essere riportati nella penisola, in una grande città, o almeno a Cagliari, i 47 migranti africani che da ieri notte rifiutano l’ospitalità dell’Hotel Janas a Sadali. Durissimo il vicesindaco Margherita Marci: “Soggiornavano in un albergo di Napoli, li hanno spediti qui con l’inganno”.

Il vicesindaco, Margherita Marci, sentita ai microfoni di Videolina ha detto “Sono tutti ragazzi che hanno il permesso di soggiorno e che prima stavano in una albergo di Napoli dove potevano avere diverse opportunità. Ora si trovano qui, in un albergo in aperta campagna e vogliono tornare in città, di fatto – ha sottolineato il vicesindaco – sono stati presi con l’inganno”.

COSA E’ SUCCESSO – Sul posto sono intervenuti gli uomini della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri. I 47 migranti sono tutti maschi, giovani ed in buona salute: arrivano da Nigeria e Mali. I proprietari dell’albergo si sono prodigati per farli mangiare e bere e per offrire loro tutto ciò di cui hanno bisogno. Ieri notte gli stranieri, una volta giunti a Sadali, si sono rifiutatati di entrare in albergo e hanno inscenato una protesta contro la destinazione loro assegnata. I 47 migranti hanno passato la notte davanti alla struttura alberghiera, in piena campagna. La protesta è ripresa questa mattina: sono determinati nel non voler accettare l’alloggio nell’albergo di Sadali e nel chiedere di essere riportati a Cagliari.

Lettera di Francesco

Cremona, 2/8/14

Il racconto, il racconto per intero!
(un + a chi ha colto l’oscura citazione)

Mi è stato dato ad intendere che ci siano idee vaghe sul mio luogo di detenzione, ammetto che io per primo quando mi hanno portato in matricola a S. Vittore per il trasferimento e mi hanno detto: “Cremona” ho sgranato gli occhi e ho ripetuto incredulo: “Cremona?” Non sapevo neanche che ci fosse un carcere!
Durante il tragitto mi hanno dato l’opportunità di diventare nostalgico: Piazza Napoli, Ticinese, lo svincolo per Alessandria… Dopodiché, mi sono addormentato per risvegliarmi a Caorso e di lì a poco alla nuova dimora. Dopo un’attesa che a me è sembrata infinita, in una cella microscopica con dentro niente se non scritte di tutta la gente passata di lì, mi hanno fatto la visita di rito, perquisa e mi hanno detto che sarei andato nella sezione “C”, me l’hanno detto come se dovessi sapere cosa fosse.
A quanto pare la sezione “C” è l’unica sezione a celle chiuse di tutto il carcere, dove ci sono definitivi di lunga durata (anche 15-18 anni) e la gente che ha fatto casino nelle altre sezioni.
Dopo due settimane a S. Vittore con celle aperte 12 ore al giorno e, per quanto affollate, più ampie del 4×2 (a essere generosi) in cui sono ora, l’impatto è stato forte. Il mio compagno di cella (uno zingaro di 23 anni) mi ha ribadito, come molte scritte sui muri, che questo è un carcere di merda dove non funziona niente…
Due giorni dopo l’hanno messo in un’altra cella ed è da allora che sono da solo. Superato l’impatto iniziale, però, mi sono abituato. Il fatto che le celle siano chiuse non rappresenta in realtà un grosso problema e tutti i detenuti della sezione (o quasi) affermano che si sta più tranquilli qui. L’ala nuova con celle aperte e da 3 persone (qui son da due, anche se ci sono stati tempi dove riuscivano a fare un tetris da 3), doccia in cella e tavolo dove mangiare, vengono descritte come più casiniste e infatti la maggioranza di quelli che hanno fatto casino durante i saluti erano proprio lì.
In molti mi hanno giurato che farebbero carte false pur di star soli in cella, e devo dire che non hanno tutti i torti. La sera tengo la tv spenta e con un sottofondo di cicale rispondo alle vostre lettere!
Ci concedono 4 ore d’aria al giorno + 2-3 di socialità. 3 volte alla settimana al posto dell’aria (che è un cubotto di cemento 15×20 con muri da 5 metri) si va in un simpatico campetto con calcetto, campo da tennis e mezza pista d’atletica: sì, è divisa in due.
Il cibo del carrello è spesso improponibile, si salva giusto l’insalata, la frutta (difficile farle male), le uova sode e poco altro. Tutti quelli che possono si cucinano per i fatti loro con il sopravvitto, anch’io mi sto organizzando in tal senso, anche se con i tempi della spesa ci vorrà un po’. Inoltre qui, per qualche assurda regola, non entrano i cibi fatti in casa, cosicché dovrò rinunciare alle leccornie che mi entravano a S. Vittore.
Se a S. Vittore si trovava qualche secondino esaltato o comunque convinto del suo ruolo (all’arrivo in matricola ne ho visto uno con una collanina d’argento con le manette… giuro!), qui tali elementi sembrano assenti. Svolgono il loro lavoro con lo stesso automatismo e la stessa naturalezza con cui lo farebbe un impiegato delle poste e, effettivamente, qui sembra che la tua vita sia in mano a degli impiegati comunali… Detta così fa rabbrividire, e un po’ a ragione, ma la burocrazia è oltremodo ordinaria, così si riescono ad attuare delle strategie di sopravvivenza e a entrare nel ritmo.
Devo dire subito che la rassegnazione qui è massima, talmente alta che sembra a volte che in molti cerchino di far finta di non essere in galera e sono disturbati da qualsiasi cosa glielo ricordi. Le grida di libertà arrivate da fuori sono state accolte da alcuni con molta indifferenza e, io credo, quasi fastidio. Libertà qui è una parola sussurrata (come “cazzo” alle elementari) che il vero detenuto, quello che sa farsi la galera (odiosa espressione del linguaggio carcerario), non pronuncia.
Ammetto che ci sia di sottofondo un’intenzione difensiva, se sai che devi stare chiuso come una gallina in un pollaio per degli anni, cerchi di mettere in atto degli strumenti psichici difensivi che ti permettano di resistere. C’è chi sta sulle sue e chi fa gruppo, chi fa il capo e chi il gregario, l’obiettivo non è il riscatto ma la sopravvivenza.
A questo bisogna aggiungere la questione dello sconto sulla pena. Ignoravo, prima di venire qui, che ci fosse una legge che garantisce 75 giorni di sconto per ogni semestre passato senza rapporti. Questo vuol dire 5 mesi di abbuono per ogni anno trascorso in buona condotta, non è poco per chi si deve fare le annate. Un siciliano oggi mi ha mostrato orgogliosamente i suoi 9 semestri di buona condotta. Se aggiungiamo a questo il fatto che ti possono fare rapporto per qualunque cazzata, dal litigio con un detenuto fino a rispondere male a una guardia, si capisce come con questo sistema siano riusciti a pacificare completamente la situazione nelle carceri. Sebbene un detenuto qui in sezione si vanti dei suoi 37 rapporti maturati in quasi 6 anni di detenzione.
I detenuti di lunga esperienza mi raccontano di una galera completamente diversa prima dell’introduzione di questo sistema. Pestaggi di guardie, rivolte scioperi. Tutto questo, per quel che ho potuto vedere, è del tutto sparito. Sono riusciti a scambiare la rabbia per la rassegnazione, rendendo per loro più gestibile tutto il carrozzone.
A S. Vittore avevo trovato qualche detenuto che usava la parola “compagni”, ma se già lì faticavano a mettermi a fuoco, qui non riescono proprio a capire chi io sia. Il più informato mi ha detto che una volta ha letto un articolo sulla Torino-Lione. Per farmi capire un po’ devo tradurre compagni con amici e solidarietà con famiglia.
Generalmente sono tutti sorpresi dai saluti e dalla mole di posta, nonché da qualche mio racconto sulle attestazioni di solidarietà: dalle raccolte di soldi ai numeri delle manifestazioni, non so dirvi quanto tutto questo sia apprezzato, ma genera molta curiosità, vedremo se si può infilare qualcosa di più.
I motivi della contestazione per i quali sono dentro sono abbastanza oscuri, anche alle guardie, ma la cosa in sé non è vista male e viene generalmente ricondotta ad un immaginario di rivolta. C’è chi mi chiama No Tav, BR o Acab, a seconda delle giornate. Gli stranieri sono quelli più solidali, e quelli meno avvezzi ai compromessi. Molti italiani che si atteggiano a “veri detenuti” ridono e scherzano con le guardie in un rapporto semi-amicale che a me lascia molto perplesso, ma d’altro canto molti dei secondini provengono dalle stesse zone d’Italia e condividono la stessa cultura, cultura si fa per dire, in senso sociologico più che letterario.
Questo è un luogo d’attesa. Sembra una bolla temporale rimasta al diciannovesimo secolo, un tempio della burocrazia dove ciecamente vengono applicate decisioni prese altrove da qualcun’altro. Il tempo non ha lo stesso significato che ha fuori. Si potrebbe fare un parallelo con la teoria della relatività, altrimenti non saprei come spiegarvelo. Le giornate passano lente, ma il tempo sembra volare, forse perché lo si spreca. Non c’è l’ansia di fare che c’è fuori, o meglio, c’è (di ansia ce n’è moltissima), ma sai anche che, se chiedi tramite modulo un manico di scopa, potrebbero passare anche 5 giorni. Vissuta per anni, una condizione del genere fa molti danni, basta guardare in faccia i miei compagni di sventura. Al momento io cerco di vivermela al meglio, come una specie di Erasmus nell’Ancièn Regime.
Un detenuto veneto una volta mi ha detto che qui mi sarei laureato anche in pazienza, e va bene, prendiamo anche questo titolo, non posso permettermi di farmi avvelenare il sangue, ne uscirei distrutto in pochi giorni. Ma non posso neanche dissociarmi al punto di non ricordare quanto mi facciano cagare questi posti e le persone che li amministrano.
Sarà un difficile equilibrio, ancora più difficile in una guerra di nervi quale è la galera, ma vincerò, ne sono sicuro.
Ora vi saluto perché vedo che la grammatica, l’ortografia e la lucidità stanno diminuendo rispetto alle prime righe. A far niente ci si stanca moltissimo.
A sarà düra!
Un abbraccione gioioso a tutti e tutte!
Fra

 

PER SCRIVERGLI:

Lucio Alberti Casa Circondariale via Cassano Magnago 102 – 21052 Busto Arsizio (Varese)

Francesco Sala Casa Circondariale via Palosca 2 – 26100 Cremona

Graziano Mazzarelli Casa Circondariale via Paolo Perrone 4 – Borgo S.Nicola – 73100 Lecce

Aggiornamenti da Lucio e Graziano

GRAZIANO
Dall’11 luglio è rinchiuso nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce. Da allora si trova in isolamento di fatto: blindo chiuso tutto il giorno e aria da solo, che per sua scelta si rifiuta di fare, solo e in un buco piccolo e sporco. La responsabilità di questo trattamento è della Direzione del carcere, che lo motiva con il fatto che sono gli altri detenuti della sezione a non poter incontrare nessuno. Il 3 agosto è stato spostato di cella, cosa che ha peggiorato la sua situazione: la cella è più piccola, meno pulita e la televisione non funziona, inoltre le celle accanto alla sua sono vuote. Posta e libri arrivano regolarmente o quasi ed è riuscito a sentire i presidi fatti in sua solidarietà.

LUCIO
Si trova nel carcere di Busto Arsizio, trasferito sabato 26 luglio, nella prima mattina. L’ingresso in carcere è stato suggellato dal colloquio con il vicecomandante delle guardie, che ci ha tenuto molto a dirgli chiaramente che, a patto che lui faccia il bravo e si attenga al regolamento, la sua persona non è di nessun interesse per il carcere in questione.
Lucio è in cella con due ragazzi più o meno coetanei, con i quali si trova bene. Il blindo è chiuso, sempre, eccetto per le 2 ore d’aria del mattino e le 3 ore d’aria del pomeriggio, che si possono alternare alla socialità o alle attività. Le quattro sezioni del carcere possono utilizzare gli spazi dell’aria, che sono uno per sezione (6mx10m), le salette per la socialità e, a rotazione, i due campi da calcio. C’è anche una palestra, alla quale si può accedere solo tramite domandina che, come per ogni altra richiesta relativa alle attività e ai beni di lusso come orologio, cintura e scarpe di ricambio, ha tempi di risposta superiori a un mese. Più in generale Lucio ci fa sapere che le guardie sono molto formali, molto rispettose del regolamento e più distaccate nella relazione con i detenuti, rispetto a S. Vittore, cosa che non lo turba affatto, anzi: tale distanza corrisposta gli semplifica di non poco la vita in sezione, rendendo più semplice la sua intenzione di ridurre ai minimi termini i rapporti con secondini.

Occupate due case popolari a Capoterra

Due madri con i loro figli hanno occupato ieri due case popolari vuote e sfitte del comune di Capoterra, purtroppo non sappiamo niente di più, cercheremo aggiornamenti.

Naturalmente sono state immediatamente denunciate dalla sbirraglia. Poco importa, ben vengano autonomia e determinazione.

La lista della Spesa

 

fare-la-spesa-da-casa-con-un-click-comodo-e-veloce«Brissogne, 22/07/14

Lo spesino passa il lunedì per tabacchi e bolli, il mercoledì pomeriggio inizia con qualcosina, il giovedì è il giorno più emozionante, arrivano i beni più sostanziosi, infine il venerdì è il giorno delle verdure e della carne. Ma il tuo libretto (dove ci son segnati i conti di entrate e uscite) e il foglietto su cui c’è la spesa settimanale, sotto forma di codici e quantità, lo consegni il giovedì e la spesa arriva la settimana dopo, secondo il ritmo descritto. È un buon esercizio studiare la lista delle cose acquistabili. Chissà se ogni carcere ha la sua (di sicuro, chissà allora da cosa dipende).


È affascinante immaginare come sia nata, il lento lavorio “figlio dei tempi” che acquisisce qualcosa e depenna qualcos’altro, il risultato di stratificazioni di lotte, di concertazioni, di richieste di commissioni di detenuti, di concessioni bonarie dell’amministrazione.
Un po’ come tutto qua dentro dall’arredamento cellulare alla fornitura del prigioniero, dallo spazio all’aria alle attività frequentabili.

Un tira e molla, costante, a volte silenzioso, a volte deflagrante, a volte sancito da strette di mano, a volte concesso a denti stretti.

Le prime nove voci hanno nomi e costi inavvicinabili.
Amino Gainer, Glutamina, Power Vit, Tri Arginina, da € 14,99 fino a 79,50.
Mi vengono in mente quei loschi barattoli di polveri da ingollare diluite in acqua, limacciose e potenzianti, in grado di fare alzare dischi e dischi di ghisa per un perfetto
physique du role.

Iniziano poi i prodotti più vari, di largo consumo e tutti rigorosamente di marca.
Stupisce la quantità di merendine, dolcetti, caramelle, patatine, bibite, cioccolati… Ho poi capito che sono articoli da colloquio.
Dal mio lassismo estetico (i pantaloni, che devono essere lunghi per regolamento, son di tuta) posso apprezzare invece i risultati di una meticolosa preparazione: in saletta si arriva con una rasatura perfetta, camicia, scarpe fiammanti, pantalone elegante (spesso bianco). E mai a mani vuote: bibita, bicchieri di carta, dolci o patatine… tavola imbandita, a volte perfino il gelato. La ricerca di normalità, il carcere non prostra, sei ospite, ma in entrambi i sensi.

Il cuscus, i datteri, la carne halal (pollo, agnello, bovino) son lì a testimoniare che il carcere sa ammodernarsi, strizza l’occhio al multiculturalismo tollerante. C’è posto per tutti, qua rispettiamo vezzi e tabù.
Il lievito per dolci e per pizze. Un sapere e un gusto segreti, in una bustina. Il primo è una conoscenza, un’arte liminare, che oscilla sapiente tra il divieto (per il forno in galera è meglio usare due fornelletti, più il cappello di stagnola, tutto vietato) e il segreto (non è da tutti, la lievitazione). Il secondo, non intaccato dal tacito placet dei controllori, è il gusto della condivisione, magica, di una fetta di torta tiepida, il giro pizza croccante che compare nel sussurro del lavorante: «
manda cella 3».

La lunga sequela di prodotti per il corpo: creme, oli, shampoo, bagnoschiuma, unguenti da rasatura… forse il gradino inferiore delle polveri da bodybuilder, ma la cura per il corpo, la voglia e il piacere di lavarsi (abluzioni che spezzano la giornata cellulare) e ungersi, di profumare in sé e per sé, qua dentro hanno un peso particolare.

Se da una parte sono un aspetto di quella «cura del sé» che è percorso disciplinare che produce il soggetto (che, come tale, è anche assoggettato), dall’altra ci vedo il contraltare del carrellino della terapia, la psico-farmacia ambulante che somministra gocce e goccine. Un’opposizione dove si scontrano esteriorità e interiorità, ribaltando la versione comune per cui il dentro è più importante del fuori. No, qua no. Chi si spacca di sonniferi la doccia la fa molto meno, ecco tutto.

Il gelato. Piacere galeotto, cibo infantile, consolazione che si spartisce (da soli, una vaschetta da 500 g produrrebbe un accampamento notturno presso la tazza), ma anche fiche per scommesse temerarie e pegno in palio per briscolate roventi. Una delle poche cose non fabbricabili dall’ingegno (e il tempo) carcerario.

Tra i prodotti da pulizia ambienti ve n’è uno inquietante: la cera per pavimenti. Sono indeciso se interpretare la presenza in lista come sofisticazione della dignità di vivere in un luogo pulito e decente o piuttosto metterlo, come abbagliante esempio, tra i fiori che ornano le catene che ci trasciniamo dietro. Difficile decidere, i nostri slogan sono spesso – sempre – estemporanei e fuorvianti.

Chiaramente nessun contenitore è di vetro o di latta.
Pesto, tonno, acciughe, salse arrivano o in
brik o in bustine di tetrapack. La schiuma da barba è in tubetto, le carni in vaschette di polistirolo, la grattugia (2 ) di plastica, così come le bottiglie di olio e aceto.
L’unica cosa che taglia sono i rasoi: o usa e getta o il
Mach 3.

E il gas, in lattine. Ogni volta che finisce, per averne un’altra, devi consegnare quella finita. Non puoi averne più di cinque a settimana (e le tengono loro).
Certo, come ogni lista merci, divide i suoi acquirenti.

Ma dal poco che so e che vedo, sono più i prodotti che si comprano per dividerli (spese ad incastro tra più celle, uno piglia la pasta, uno il sugo e il terzo i piatti di carta), che quelle che si comprano per rosicchiarle da soli. C’è anche chi non può comprare niente, ma son certo che accede a beni inavvicinabili molto più spesso di quanto, fuori, uno che non ha soldi accede alle merci di un supermercato.

Questa breve notarella non voleva essere sociologia da tre soldi, un proclama di agitazione, uno scritto incendiario. Se non è troppo lo inscriverei in una storia in controluce della prigione e, incidentalmente, in una delle fiabe che ascoltiamo e raccontiamo più volentieri, quella infinita e pulsante della lotta per la libertà.

Toshi»

Per scrivere a lui e agli altri arrestati per l’operazione del 3 giugno:

Paolo Milan e Toshiyuki Hosokawa C.C. Località Les Iles, 14 – 11020 Brissogne (Aosta);

Andrea Ventrella e Michele Garau C.C. Strada Quarto Inferiore, 266 – 14030, località Quarto d’Asti, Asti (Michele non è più in isolamento);

Fabio Milan C.C. Via del Rollone, 19 – 13100 Vercelli;

Niccolò Blasi C.C. San Michele strada Casale, 50/A – 15121 Alessandria;

Zenobi Chiara C.C. “Rebibbia” Via Bartolo Longo, 92 – 00156 Roma;

Alberto Claudio C.C. via dell’Arginone, 327 – 44100 Ferrara.

 

da macerie